Al netto delle infamie democrat e globaliste che hanno contribuito allo scoppio delle ostilità, non dobbiamo dimenticare le radici storiche della guerra tra i due Paesi slavi, soprattutto dal punto di vista ecclesiastico.
L’inizio dell’intervento militare russo del 24 febbraio scorso ha scosso le correnti dell’ortodossia, divisa come sappiamo in Chiese autocefale, alternando denunce reciproche dei misfatti bellici alla Chiesa rivale, a uno spirito di conciliazione per far tacere il rumore delle armi.
Per analizzare il conflitto che oppone negli ultimi decenni l’Ucraina alla Russia, dobbiamo fare un balzo indietro di molti secoli e risalire agli scismi che hanno diviso l’ortodossia. L’Ucraina e la Russia hanno una storia religiosa e politica legata a doppio filo, che ha la sua fonte nel principato medievale della Rus’ di Kiev. Qui, nel 988, il Grande Principe Vladimir I di Kiev abbandonò il paganesimo per convertirsi al cristianesimo facendosi battezzare in Crimea. Kiev – fondata quasi otto secoli prima di Mosca – all’epoca rientrava nella sfera d’influenza del Patriarcato di Costantinopoli, che seguirà nello scisma d’Oriente dopo il 1054.
Con l’ascesa politica della Russia e l’indebolimento della Chiesa bizantina autocefala sotto il tallone ottomano, nel 1686 il Patriarca di Costantinopoli, Giacomo, delegò il potere di ordinare il metropolita di Kiev al patriarca di Mosca: per i russi questo fu un trasferimento definitivo, per gli ucraini no.
La situazione restò congelata fino al 1920. Con l’avvento della rivoluzione, Mosca creò un Patriarcato indipendente sciolto poi da Stalin nel 1930. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, le correnti ucraine crearono delle chiese non riconosciute da Mosca, mentre il fuoco dell’autonomia covava sotto le ceneri e Kiev sgomitava per ottenere l’autocefalia.
Ecco, riassunte, le tappe per la richiesta di autocefalia:
- Il 19 aprile 2018, la Verchovna Rada (il parlamento ucraino) sostiene l’appello che il presidente ucraino Petro Porošenko rivolge al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, al fine di ottenere la concessione dell’autocefalia per la Chiesa ortodossa ucraina.
- Il 22 aprile, il presidente Petro Poroshenko annuncia che il Patriarcato ecumenico ha iniziato a valutare la richiesta.
- Bartolomeo nel mese di luglio conferma la sua intenzione di conferire l’autocefalia.
- Il 7 settembre, il patriarca Bartolomeo I nomina due esarchi in preparazione alla concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina.
- L’11 ottobre, il Sinodo firma ufficialmente il tomos (documento) per concedere l’indipendenza della Chiesa ucraina da Mosca.
- Alla fine del 2018, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli concede l’autocefalia agli ortodossi di Ucraina e le correnti ortodosse del Paese convergono nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev per riunificarsi.
La creazione di un movimento autocefalo si attuò il 15 dicembre 2018. Bartolomeo I istituì una Metropolia autocefala dell’Ucraina, nella persona dell’arcivescovo ortodosso Epiphanius. Tuttavia, nell’ortodossia non esiste il papa ma soltanto primi tra pari, per cui non è canonico l’intervento di un patriarca, per quanto ecumenico, nel territorio di un altro Patriarcato: infatti, il clero ortodosso ucraino e la maggior parte dei fedeli non lo seguì.
Da parte sua, il presidente ucraino di allora, Poroshenko, considerò subito la decisione come una “vera indipendenza dell’Ucraina da Mosca”. Politicamente ciò si traduceva nella realizzazione di un sogno: l’avvento di una Chiesa ucraina senza Putin e senza preghiere per l’armata russa. Nella campagna elettorale (che perse nel maggio 2019 a favore di Volodymyr Zelensky) Poroshenko esultava: “Questa è la caduta della Terza Roma, l’antica formula utilizzata per definire Mosca e il suo dominio sul mondo!”.
La decisione venne denunciata dal Patriarcato di Mosca, che intravedeva il forte rischio di “massicce persecuzioni” contro i suoi fedeli in Ucraina. La Chiesa ortodossa russa aveva avvertito Bartolomeo I che se il Sinodo del 2018 avesse concesso il tomos, ogni rapporto tra Mosca e Costantinopoli sarebbe cessato sfociando in uno scisma. Dmitrij Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin tuonò: “Conoscete bene la posizione della Chiesa ortodossa russa su questo tema, e naturalmente non vogliamo venga presa alcuna decisione che possa condurre a una profonda spaccatura nel mondo dell’ortodossia”. Gli fece immediata eco Aleksandr Volkov, portavoce del patriarca russo Kirill: “Oggi il Patriarcato di Costantinopoli ha preso decisioni catastrofiche, in primo luogo nei riguardi di sé stesso e dell’Ortodossia intera”.
Questo per dire che l’oligarchia russa – Vladimir Putin in testa – soffiando sul fuoco ha utilizzato l’elemento religioso come miccia e concausa dell’attuale intervento militare, che ha preso una svolta drammatica dal 24 febbraio. Lo scorso 21 febbraio scorso, “giustificando” l’invasione dell’Ucraina, Putin dichiarò che Kiev stava preparando la “distruzione della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca”.
I media, scarsamente preparati sulle dinamiche religiose, hanno appena sfiorato il tema limitandosi a trattare l’aspetto geopolitico, ciò che non ha dato un quadro complessivo sulla matrice di questa guerra.
Il 27 febbraio, dopo l’invasione di Putin in Ucraina, il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, ha pronunciato un’omelia denunciando le “forze del male che combattono l’unità della Rus’. […] Possa il Signore preservare la terra russa. Quando dico ‘russo’, uso l’antica espressione della ‘Cronaca dei tempi passati’, l’origine della terra russa: Russia, Ucraina, Bielorussia, altre tribù e altri popoli”.
L’omelia sembra l’invito alla pace e all’unità della Chiesa ortodossa ed è esteso al metropolita Onuphrius, primate di Ucraina, dipendente dal Patriarcato di Mosca. Eppure, dietro l’appropriato uso delle formule, Kirill nasconde una visione politico-religiosa che vede gli altri Stati euroasiatici nient’altro che nell’orbita della santa madre Russia. In altre parole, sotto le mentite spoglie religiose si nasconde il progetto putiniano di restaurazione dell’ex Unione delle Repubbliche Sovietiche. Come sostiene il giornalista Jacques Berset, “questo è il progetto nazionalista russo, uno spazio socio-culturale che comprenda non solo Russia, Bielorussia e Ucraina, ma si estenda ad altri territori dell’Eurasia dove l’ortodossia, la cultura e la lingua russa sono presenti”.
D’altro canto anche Onuphrius, finora considerato filorusso, sostiene il suo Paese sotto attacco: “Che Dio benedica e custodisca i militari che proteggono e difendono la nostra terra e il nostro popolo, per la sovranità e l’integrità dell’Ucraina. Ci rivolgiamo al presidente della Russia e gli chiediamo di cessare subito la guerra fratricida. I popoli ucraino e russo sono nati dal fonte battesimale del Dnepr e la guerra tra questi popoli è la ripetizione del peccato di Caino, che per gelosia uccise suo fratello. Una simile guerra non trova la sua giustificazione né davanti a Dio né davanti agli uomini”.
Posizione, quella di Onuphrius, intollerabile per il patriarca moscovita Kirill, che ammonisce: “Dio non voglia che l’attuale situazione politica in Ucraina, Paese fratello e a noi vicino, consenta alle ‘forze del male’, che da sempre combattono l’unità della Rus’ e quella della Chiesa russa, di prevalere. Dio non voglia che tra Russia e Ucraina si allunghi una linea terribile, arrossata dal sangue dei nostri fratelli”.
Anch’egli ricorda – dal suo punto di vista egemone – come il concetto di “terra russa” nasca dall’appartenenza di Russia e Ucraina alla “comune fonte battesimale”, unite da una spiritualità nata in una civiltà peculiare indissolubile. Tale civiltà – sia per il Patriarcato di Mosca, sia per il Cremlino – è un unicum, distinto e separato dalla civiltà occidentale che entrambi i poteri, di concerto e in piena sintonia, definiscono ormai decadente.
Così il trono di Putin e l’altare di Kirill hanno riportato indietro le lancette della storia, mentre l’umanità minacciata dalle nuove armi tecnologiche assiste alla tragedia di popoli inermi sterminati o sulla via della fuga dalla guerra.
Per i credenti di ogni fede, non impegolati in questioni di potere politico o episcopale, questo è il risultato dell’allontanamento da Dio.