In genere quando si parla di popolazioni particolarmente longeve si citano i leggendari hunza del nord del Pakistan che – stando almeno a quanto si diceva e scriveva fino a qualche decennio fa – raggiungerebbero mediamente i 130-140 anni. Oltretutto attivi e in buona salute, grazie al lungo digiuno (secondo alcuni geografi-etnologi si dovrebbe parlare di carestie invernali) a cui erano sottoposti annualmente, all’alimentazione in gran parte vegetariana e all’acqua alcalina caratteristica di quei territori.
O almeno, va precisato, li avrebbero raggiunti fino a qualche decennio fa. Visto che poi le modernità (al plurale) – dal servizio militare nell’esercito pakistano all’inquinamento, dai cambiamenti climatici e alimentari all’invasione di turisti-alpinisti – avrebbero fatalmente invertito la tendenza.
Tornando tra noi (nel “Veneto profondo”), qualche mese fa avevo, in maniera informale, contattato l’anziano del paesello vicentino dove spesso, incautamente, soggiorno. Superati da poco i 101 anni, ma ancora – compatibilmente con l’età – vispo, autonomo e soprattutto lucido, aveva tante cose da raccontare, un’autentica “memoria storica” per questa porzione di pianura veneta costellata di rilievi collinari di origine sia vulcanica (gli Euganei) sia calcarea-sedimentaria (i Berici). Un tempo rurale e classificata “depressa”, forse a torto, e ora ricoperta (massacrata, violata) da capannoni, basi militari, autostrade, pedemontane, e via dicendo.
Una serie di impegni non procrastinabili e di contrattempi avevano allontanato la scadenza dell’incontro e solo il 28 gennaio tornavo a percorrere la stradina (una “caresà”) della sua fattoria; imbattendomi nella figlia intenta a tagliar legna e intuendo dallo sguardo che qualcosa non andava. L’anziano genitore – che non aveva mai voluto andare all’ospedale, giustamente – si era spento solo qualche giorno prima. Rimasto interdetto, oltre che dispiaciuto, pensavo poi che in fondo andava bene anche così. Avevo comunque avuto l’onore di conoscerlo se pur brevemente, alcune cose le aveva raccontate anche a me. E soprattutto molte altre ai figli, ai nipoti, ai vicini…
Proprio come per secoli e secoli la memoria e la storia locale erano state tramandate a voce. Narrando, passando un testimone di ricordi e testimonianze che poi magari venivano elaborati, integrati, ampliati e arricchiti di significato…
Coincidenza: proprio mentre ripensavo a cosa poteva aver rappresentato una vita lunga oltre un secolo, ho inciampato in una notizia che ha dell’incredibile, ma che riporto ugualmente per dovere di cronaca. Anche perché le fonti (vari giornali e centri studi curdi di livello internazionale) sono serie e attendibili.
Notizia che tra l’altro sconfessava quanto venne scritto e ribadito al momento della scomparsa, il 13 gennaio scorso, della Decana d’Europa Sœur André (Lucile Randon) a 118 anni: ossia che era morta la persona più anziana del pianeta.
Invece una donna curda yazidi, Rawché Qassim, attualmente sfollata nel campo di Kebertol (distretto di Sêmele, provincia di Duhok) quel record l’avrebbe già superato da tempo. Stando ai documenti in suo possesso sarebbe nata il 1° luglio del 1887 in un villaggio del cantone di Shengal (in Bashur, Kurdistan iracheno). Qui era vissuta fino al 2014 quando fu costretta fuggire con i suoi familiari a causa dell’attacco delle milizie jihadiste di Daesh. Nonostante l’età e le ultime traversie, il suo stato di salute si mantiene discreto, soddisfacente.
Dalla stampa locale e da alcune associazioni curde è stato lanciato un appello agli specialisti (medici, antropologi, eccetera) affinché si rechino a Kebertol, innanzitutto per garantirle cure e assistenza adeguate, ma anche per contribuire (nell’assoluto rispetto della sua persona naturalmente) alla conoscenza dei misteriosi meccanismi biologici, culturali, identitari, che le hanno consentito di vivere così a lungo.
Fermo restando che, per quanto questo eccezionale, non sarebbe il primo caso di veneranda età raggiunta da persone di etnia curda. Si parla da tempo di decine di casi documentati di centenari curdi e di alcuni in particolare. Circa un secolo fa raggiunse una certa notorietà Zaro Agha, un curdo di Bidlis (nel Kurdistan sottoposto alla Turchia, il Bakur) che avrebbe vissuto fino a 157 anni. Negli anni trenta venne invitato in Europa e negli Stati Uniti incontrando molte autorità e specialisti, scienziati incuriositi e desiderosi di indagarne il segreto di lunga vita in buona salute.