Non se ne parla più di tanto, ma nelle Filippine lo stillicidio di morti ammazzati è costante. Tra i fatti più recenti, il 26 giugno una unità della sesta divisione di fanteria si è scontrata con un gruppo di maoisti a Palimbang, nella provincia di Sultan Kudarat. Non si conosce il numero delle eventuali vittime, in quanto i guerriglieri sono riusciti a sganciarsi portandosi appresso i feriti (ma abbandonando diverse armi: AKM, M16, lancia-granate, ordigni rudimentali).
Dieci giorni prima, il 16 giugno, una unità dell 91° brigata aveva attaccato un campo del Bagong Hukbong Bayan (nuovo esercito popolare) sulle pendici della montagna denominata Apo-apo (Butuan), approfittando del fatto che in quel momento i guerriglieri si accingevano a mangiare mentre altri si trovavano presso un vicino ruscello intenti a lavarsi i panni. Questi reagivano prontamente aprendo il fuoco contro i soldati. In appoggio ai militari intervenivano anche alcuni elicotteri da combattimento T129B di fabbricazione turca. Mentre la maggior parte dei guerriglieri (una quindicina) riuscivano a sganciarsi e rifugiarsi nella vegetazione, tre di loro, tra cui due donne, venivano abbattuti, probabilmente dai colpi provenienti dai velivoli militari.
Il 5 giugno un portavoce del Bagong Hukbong Bayan aveva rivendicato l’uccisione di Raul Enmacino: il cinquantenne era sospettato di responsabilità nella morte (esecuzione extragiudiziale) di due militanti comunisti nell’aprile 2022. Ne avrebbe, secondo i maoisti, segnalato la presenza alle forze di polizia. A questo tragico evento potrebbe essere collegata l’uccisione di Michael Soledad – ugualmente sospettato di essere un informatore – nel corso della settimana successiva a Barangay Carabalan. Al momento comunque non risulta che l’attentato sia stato rivendicato.
Alla fine di maggio il nuovo esercito popolare subiva un autentico tracollo nell’area delle Visayas eorientali. Una mezza dozzina di suoi dirigenti, tra cui Rosita Solayao Taboy (Laling, segretaria di dipartimento dell’organizzazione regionale e membro del comitato esecutivo) e suo marito Beto erano stati arrestati mentre almeno quattro guerriglieri venivano uccisi a Catarman (nord di Samar) due giorni dopo.
Solo pochi giorni prima altri cinque guerriglieri avevano perso la vita nei combattimenti con il 62° battaglione di fanteria nel Negros Occidentale. Un primo scontro era avvenuto a Sitio Napiluan e un altro poco lontano, a Sitio Oway-Oway. Qualche ora dopo se ne sarebbe registrato un altro (non se ne conosce l’esatta località).
Andando ancora a ritroso, il 3 maggio, in tre episodi distinti, altri tre maoisti venivano abbattuti dai soldati nelle province di Kalinga e di Cagayan. Il primo scambio di colpi di arma da fuoco tra maoisti e militari del 50° battaglione di fanteria era avvenuto a Barangay Poswoy (Balbalbalan, Kalinga) causando una vittima. Successivamente, qualche ora dopo, un altro avveniva a Barangay Cielo (Buguey, Cagayan) con un reparto del 95° battaglione di fanteria (altri due maoisti uccisi).
Risale invece al 21 marzo la notizia dell’uccisione di un sottufficiale (un caporale sembra) da parte di presunti maoisti con cui si sarebbe scontrato casualmente (per cui il fatto non è necessariamente riconducibile al conflitto tra governo e guerriglia) nell’isola di Masbate.
Poco prima c’era stato uno scambio di colpi tra soldati e persone armate non meglio identificate.
Venti giorni prima, il 2 marzo, altri tre guerriglieri erano stati uccisi a Sitio Isuko nel villaggio di Banali (provincia di Sultan Kudarat).
A pagare sono gli innocenti
E la tragica sequenza potrebbe continuare. Naturalmente è probabile che non tutti i “maoisti” (veri o presunti) uccisi siano guerriglieri. Come da manuale a farne maggiormente le spese, venendone coinvolta anche suo malgrado, è la popolazione civile.
Un’ulteriore conferma dalla recente uccisione, o meglio massacro, di una intera famiglia nella provincia di Negros occidentale (una delle due in cui è divisa l’isola). Il 16 giugno quattro persone, appartenenti al medesimo nucleo familiare, sono stati uccise a colpi di arma da fuoco a Himamaylan City. Ritrovati oltre una cinquantina di bossoli, presumibilmente di M16, arma in dotazione all’esercito. Si tratta di Roly e Emelda Fausto (52 e 50 anni) e dei loro figli Ben e Ravin (15 e 11 anni): poveri contadini, coltivatori di canna da zucchero, legati non a qualche gruppo clandestino ma semplicemente alla “Baclayan, Bito, Cabagal Farmers and Farmworkers Association”, una associazione di agricoltori.
Per le ong operanti in zona, alcune di matrice cristiana, le responsabilità dell’eccidio ricadrebbero sui militari. In particolare si sospetta della 94° brigata di fanteria operante nell’isola, che si sarebbe già resa responsabile di crimini contro la popolazione con il pretesto di ritenerla in qualche modo legata al movimento comunista. Un metodo già applicato – e a livello di massa – all’epoca del massacro di un milione e mezzo (per difetto) dei contadini indonesiani. Già in passato i membri di questa famiglia erano stata minacciati, avevano subito perquisizioni, e in almeno una circostanza erano stati sottoposti a maltrattamenti e tortura.
E comunque i coniugi Fausto risultavano ufficialmente schedati come “ribelli”. Con l’aggravante di fare anche parte della Iglesia Filipina Independiente, ritenuta – per insondabili ragioni – “sovversiva” dalle autorità.
Significativo il fatto che gli altri abitanti del villaggio, evidentemente terrorizzati, non avevano osato dare l’allarme. Infatti i cadaveri sono stati scoperti solo il giorno dopo dalla figlia in visita dai genitori.
Come è noto l’Isola di Negros è stata per anni (in particolare durante la dittatura di Marcos, padre dell’attuale presidente Ferdinand Marcos Jr, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso) sottoposta a repressione, rastrellamenti, rappresaglie. Con migliaia di vittime a cui ne vanno aggiunte altrettante come desaparecidos. Si calcola che nella sola Isola di Negros nell’ultimo anno siano stati uccisi dalle forze militari almeno 24 contadini. Altri invece sono stati rapiti e risultano desaparecidos.
Per l’organizzazione “International Coalition for Human Rights in the Philippines” andrebbe innanzitutto cancellata la legislazione d’emergenza che consente di applicare la legge marziale in buona parte dell’Arcipelago.