Le nuove fonti di studio rivelano un’immagine della realtà storica veneta diversa da quella tradizionale. Lo stato moderno come transizione dalla civiltà cittadina alla civiltà nazionale. Nel ’700 lo Stato Veneto dispone dell’unica classe dirigente in grado di gestire l’industrializzazione della Val Padana. I problemi della politica attuale
È stato per primo uno storico straniero, il russo Tarle, a dimostrare ai primi del secolo, che lo Stato Veneto non è caduto a causa di una crisi economica interna, smentendo una tesi assai radicata, come era stato un altro storico straniero, il prussiano Von Ranke a rivalutare in senso politico l’espansione veneziana in terraferma (considerata elemento indispensabile alla formazione dello Stato veneto e non come vocazione agricola del ceto dominante, tesi altrettanto radicata).
C’è nella lucidità di questi due storici, pur così diversi, una differenziazione qualitativa e uno stacco che vanno fatti risalire al contesto generale in cui collocano le loro tesi (che è quello europeo) con quello esclusivamente locale. Una angolazione che permette di evitare i giudizi della tradizione letteraria ed orale, nel cui solco è finita la stessa tendenza degli studi storici.
La tesi che il ’700 sia un secolo di diffusa crisi economica nasce nel secolo successivo come spiegazione dell’improvviso crollo che fa scomparire a un tratto lo Stato Veneto, le sue strutture, la classe politica che lo gestiva.
Ma una revisione del giudizio sullo Stato veneto non può non partire dal rinnovamento delle fonti di studio. A causa della particolarità delle sue strutture, gestite in maniera collegiale da un corpo specializzato di esperti, non è più sufficiente la conoscenza delle sole istituzioni, ma diventa necessario analizzarne il funzionamento, tenuto conto del fatto che il sistema di governo non è venuto meno per l’insorgere di contraddizioni interne.
E noto che nel 1797 lo Stato veneto cade vittima di una congiura politica che sopprime la sua secolare libertà e indipendenza, sostituite da una tirannia mascherata da travestimenti rivoluzionari.
Sarebbe stata sufficiente l’esistenza di un minimo di solidarietà per ristabilire l’antico equilibrio. Ma il cinismo di un’Europa dominata dalle monarchie assolute, autoritarie e militari, impedirà deliberatamente ogni forma di solidarietà internazionale nell’intento di far sparire non solo un potere rivale, ma la fonte stessa di una libertà tanto più illustre.
Non così nella Francia del 1940, dove la disfatta militare che annienta un paese e la sua classe dirigente senza attenuanti, facendolo sprofondare in una situazione di frustrazione e di impotenza, sarà rimediata dalla solidarietà delle potenze alleate, profusa illimitatamente e non col contagocce come altrove. Tornando al caso di Venezia, è il funzionamento delle istituzioni che può rivelare la presenza degli elementi che fanno dello Stato veneto uno Stato moderno. Questi elementi sono essenzialmente dati dall’esistenza di un partito politico che gestisce le istituzioni, e della banca centrale che emette la moneta necessaria al finanziamento della spesa statale.
La presenza di questi due elementi è essenziale per distinguere la fase moderna da quella pre-moderna qui come in Europa, e non a caso questi elementi sorgeranno a Venezia, il cui modello bancario sarà destinato a diventare il modello di banca centrale dei paesi capitalisti e, più tardi, di quelli socialisti.
Lo stato moderno
La transizione dalla civiltà cittadina, che avrebbe dovuto dischiudere i fervori e i fermenti a nuove realtà, avrà una amara conclusione in Italia, che sarà sottoposta militarmente alla egemonia europea. Diverso sviluppo si avrà nel Veneto, il cui passaggio fra le due realtà avviene nel modo più completo, conservando e convertendo la ricca eredità del passato.
Bisogna spiegare perché la nuova civiltà stenti a farsi riconoscere al di fuori delle dimensioni territoriali e delle forme di potere che altrove si vanno consolidando in modo accentrato e permanente.
Le monarchie assolute si accingono ad assumere il vertice del movimento usando tutti i mezzi politici, provocando in tal modo l’origine di una contraddizione che si rivelerà assai funesta per il nostro paese, fino a determinare il congelamento e la scomparsa della civiltà cittadina non sostituita da quella moderna, per la quale bisognerà attendere più di due secoli.
Si tratta della nascita dell’aristocrazia come ceto sociale, che viene investito delle prerogative politiche proprie del primo stato (il secondo sarà il clero e il terzo la borghesia) allo scopo di rafforzare la base sociale del potere del monarca.
Ma l’investitura di queste prerogative è basata su regole rigidamente classiste che escludono l’iniziativa imprenditoriale e il lavoro in genere, sui quali erano cresciuti i ceti dominanti italiani.
La figura del mercante-banchiere, ispiratore della civiltà cittadina e dominatore delle fiere internazionali europee, sarà direttamente investita, e se l’esaurimento di tali fiere causato dalla formazione dei rispettivi mercati nazionali creerà una crisi di tipo congiunturale, l’assorbimento della posizione sociale aristocratica ne determinerà in realtà la scomparsa.
A Venezia l’allineamento del ceto mercantile alla nuova situazione sociale avverrà in maniera singolare, e l’abbandono della mercatura porterà alla formazione del partito politico che gestisce le istituzioni. Sul piano delle relazioni interne – che sono intensissime in una città cosmopolita come Venezia – sarà la generalizzazione della maschera a far superare gli inconvenienti delle preclusioni sociali.
Proprio in questo momento il Veneto si trasforma in Stato moderno, elaborando una architettura che verrà proposta con Giangiorgio Trissino come stile italiano, ma che diventerà soltanto stile veneto a causa del congelamento in Italia della civiltà cittadina; sarà cioè il Veneto l’unico paese in grado di difendere le conquiste del rinascimento e di trasmetterle attraverso le sue istituzioni.
Venezia si sottrae alla crisi europea e alle contraddizioni dovute alla formazione degli stati nazionali, costituendosi a sua volta – unico a Sud delle Alpi – in Stato nazionale. Schematizzando, i fatti possono essere così riassunti:
I- al congelamento delle città-stato italiane per l’esaurimento delle fiere internazionali, Venezia risponde con la formazione dello Stato a base territoriale, riunificando l’intera nazione veneta e le regioni su questa gravitanti;
II – il territorio diventa elemento costitutivo dello Stato, nell’ambito del quale vengono confermate le autonomie e sviluppata l’integrazione nel commercio internazionale marittimo;
III- ne deriva un equilibrato rapporto fra città e campagna, comprovato dall’aumento dell’espansione demografica in quest’ultima a detrimento della città;
IV – la formazione del Granducato di Toscana avviene per contro, con la dura soggezione della campagna, sulla quale si riverseranno gli effetti della crisi e il declino;
V – l’architettura veneta del periodo del rinascimento, proposta come stile italiano, diventa stile veneto per la mancata espansione territoriale e culturale dovuta al declino italiano;
VI – l’aver salvato la produzione laniera, trasferita quasi per intero in terraferma e che produce circa 40 mila pezze all’anno – l’85% delle quali in fabbriche privilegiate onde permettere il recupero del ritardo tecnologico – dà la possibilità al ceto dominante veneto di rilanciare il proprio ruolo imprenditoriale;
VII – alla caduta della Repubblica vi è un immediato peggioramento nel Veneto del rapporto fra città e campagna. Per tutto l’800 vi sarà una terribile diffusione di pellagra e una dolorosa emigrazione.
Efficienza economica
Persiste nella storiografia, compresa quella locale e quella più recente, l’interpretazione che riconosce alla Lombardia i prodromi dello sviluppo italiano, politico ed economico. Si fa risalire alle riforme dell’imperatrice d’Austria, Maria Teresa, attuate nella seconda metà del 700, l’inizio di quel movimento che aprirà la strada al rinnovamento del paese e delle sue istituzioni, mentre in realtà quelle riforme operano da sempre nel Veneto. Sono tesi nate nel secolo scorso e tuttora presenti nei manuali scolastici e nelle elaborazioni più illustri.
Si tratta tuttavia di giudizi dati a posteriori. Se oggi la Lombardia è diventata un’entità tanto industrializzata, rintracciarvi le origini e attribuirle la paternità esclusiva di tale industrializzazione dovrebbe essere facilmente contestabile. Molto è dipeso anche dalla presenza del gruppo degli illuministi lombardi Verri, Beccaria ecc., che sostengono queste riforme, e di cui divennero anzi gli esecutori come funzionari. Nasce probabilmente da questo fatto il mito della buona amministrazione asburgica, con cui il Veneto dovrà fare i conti suo malgrado nel secolo successivo.
La questione viene sollevata non per una mera disputa storica. Si tratta al contrario di misurarsi con problemi reali e di far intendere che con la liquidazione dello Stato Veneto si è perduta l’opportunità di poter contare sull’unica classe dirigente in grado di gestire l’industrializzazione della Valle padana.
Per tutto l’800 il Veneto, la Padania ed il nuovo Stato Italiano pagheranno questa perdita, e gli stentati progressi della formazione del mercato italiano saranno in gran parte da imputare alla impreparazione di una classe dirigente poco numerosa, senza tradizioni di governo, cresciuta priva dell’indipendenza e delle libertà.
Nel ‘700 lo Stato Veneto è tra i più ricchi d’Europa, con un prodotto lordo superiore di 4 volte quello della Lombardia. Venezia ha inventato la carta moneta ai primi del ’600 e amministra la liquidità, creata nella misura richiesta, necessaria a stabilizzare il ciclo economico e a finanziare gli investimenti pubblici, con la stessa perizia con cui gestisce le altre istituzioni.
A provvedervi è un corpo specializzato di funzionari costituito in partito politico, che si identifica con lo Stato (circa mille persone, i maschi adulti facenti parte del Maggior Consiglio).
Lo stato è autosufficiente dal punto di vista alimentare e ha già affrontato con successo il controllo dell’economia sia sul piano interno (incentivi, agevolazioni ecc.), che sul piano internazionale (trattati commerciali). Il catasto in Lombardia introdotto da Maria Teresa nel 1750 esiste nel Veneto dalla metà del ’400.
Nel ’700 la nostra classe politica rilancia il proprio ruolo imprenditoriale, partendo da una rettifica di condotta che nasce al proprio interno come autocritica, ciò che evidenzia la capacità di rinnovamento del partito che gestisce le istituzioni. Se ne può dedurre che all’atto della formazione del partito politico, l’abbandono della mercatura non è stato affatto determinato dalla vocazione terriera, anche se ingenti saranno gli investimenti in terre. Nessun ritardo politico e sociale può quindi essere imputato alla classe dirigente veneta, accusata gratuitamente di non aver saputo operare un tempestivo rinnovamento. Anzi è possibile ipotizzare quello che sarebbe avvenuto col concorso della solidarietà del Congresso di Vienna. Soccorre in questo caso l’esempio dell’Inghilterra, dove la classe che gestisce l’industrializzazione è quella aristocratica, rappresentata nel Parlamento elettivo, ma rigidamente classista. Quando le tensioni sociali imposte dall’industrializzazione mettono in evidenza i danni del potere privilegiato e strettamente di parte, sarà esteso il principio della sovranità col riconoscimento del diritto di voto, scatterà la regola di delegare agli stessi membri aristocratici il potere di governo attraverso le elezioni.
Si noti che a Venezia la classe politica detiene un grado di rappresentatività superiore a quello inglese, trattandosi non di semplici parlamentari, ma di un corpo specializzato di funzionari che si identifica con lo Stato.
La sua inaspettata liquidazione seguita dalla mediocrità ed insipienza della Municipalità, porteranno troppo rapidamente ad un oscuramento della validità delle istituzioni e del loro funzionamento, fino ad essere accomunato a quelle europee abbattute dalla rivoluzione giacobina.
Tra stato e regione
Le vicende di questi anni sono troppo note. Venezia si è trovata al centro dell’attenzione internazionale, fatto certamente positivo, perché fa rinascere una solidarietà un tempo negata. Questo rappresenta altresì una preziosa se pur ritardata inversione di tendenza, e si sa che è destinata a non salvarsi una città che viene liquidata culturalmente. Come si spiega il declino della città ai nostri giorni? Esso può essere inteso come la differenza di ricchezza prodotta al suo interno, ma non reinvestita, e che lascia la città verosimilmente attraverso il circuito bancario. Abbiamo visto invece che in passato il banco-giro creava la liquidità necessaria all’utilizzo di tutte le risorse che la città produceva. (1) Pertanto il suo modello, opportunamente adattato, potrebbe fornire non solo un motivo di continuità, ma un freno ed il contenimento delle cause del declino.
E sul piano culturale? Sul piano culturale è in atto un confronto a distanza fra tesi diverse, a partire dagli anni ’50. La presenza di analisi critiche che partendo dallo studio della città ne svelano l’intrinseca originalità e bellezza, è stato il risultato più avanzato e l’unico, perchè queste tesi non avranno la forza per imporsi: con il piano regolatore del 1962 non verrà realizzata l’ipotesi di risolvere con interventi illuminati, sotto la responsabilità di esperti e di professionisti di grande prestigio, il risamento edilizio su basi lucrative e imprenditoriali.
Il problema più complesso è tornato al suo punto iniziale. L’emergenza in cui è precipitato il problema della città impone l’urgenza di nuove elaborazioni che rispecchino più da vicino la realtà del momento. Sul piano culturale va notato che procede con troppa lentezza la pubblicazione delle fonti archivistiche, ma sul ritardo di questa operazione pesa probabilmente un giudizio dubitativo sulla loro utilità. Analoghe considerazioni vanno sviluppate per l’intero territorio nazionale veneto, la sua gente e la sua identità, a tutt’oggi colpiti da pesanti pregiudizi storici; un più sereno e scientifico approccio a tali questioni e la conoscenza delle parti essenziali dell’enorme materiale archivistico e di quello relativo alla legislazione, stimolerebbe al contrario una maggiore circolazione delle idee e un confronto più critico delle tesi.
(1) Lucio Balestrieri, Venezia presente e passato per una interpretazione ideologica della storia, Ed. Universitaria Ve 1978.