Lissa, isola nel mare Adriatico, è la più lontana dalla costa dalmata, conosciuta nell’antichità come Issa e più volte citata dai geografi greci. Fu base navale della Repubblica Veneta fino al 1797.
Il “fatal 1866” iniziò politicamente a Berlino con la firma del patto d’Alleanza fra l’Italia e la Prussia l’8 aprile.
Il 16 giugno scoppiò la guerra fra Prussia e Austria, e il 20 giugno con il proclama del re l’Italia dichiarò guerra all’Austria; la baldanza degli italiani fu però prontamente smorzata poche ore dopo (24 giugno) a Custoza ove l’esercito tricolore fu sconfitto dall’esercito asburgico (nel quale militavano i soldati veneti). Fra il 16 e il 28 giugno le armate prussiane invasero l’Hannover, la Sassonia e l’Assia, e il 3 luglio ci fu la vittoria dei prussiani a Sadowa. Due giorni dopo l’impero asburgico decise di cedere il Veneto alla Francia (con il tacito accordo che fosse poi dato ai Savoia) pur di concludere un armistizio. In Italia furono però contrari a tale proposta che umiliava le forze armate italiane e, viste le penose condizioni dell’esercito dopo la batosta di Custoza, puntarono sulla marina per riportare una vittoria sul nemico che consentisse loro di chiudere onorevolmente (una volta tanto) una guerra.
Gli italiani non potevano certo pensare di trovare sul loro cammino i veneti, ossatura della marina austriaca.
Oesterreich-Venezianische Marine
La marina militare austriaca era praticamente nata nel 1797 e già il nome era estremamente significativo: Oesterreich-Venezianische Marine (Imperiale e Regia Veneta Marina). Equipaggi e ufficiali provenivano praticamente tutti dall’area veneta dell’impero (veneti in senso stretto, giuliani, istriani e dalmati popoli fratelli dei quali non possiamo dimenticare l’attaccamento alla Serenissima) e i pochi “foresti” ne avevano ben recepito le tradizioni nautiche, militari, culturali e storiche. La lingua corrente era il veneto, a tutti i livelli. 1)
Nel 1849, dopo la rivoluzione veneta capitanata da Daniele Manin c’era stata, è vero, una certa “austricizzazione”: nella denominazione ufficiale l’espressione “veneta” veniva tolta, c’era stato un notevole ricambio tra gli ufficiali, il tedesco era diventato lingua “primaria”. Ma questo cambiamento non poteva essere assorbito nel giro di qualche mese; e non si può quindi dar certo torto a Guido Piovene, il grande intellettuale veneto del novecento, che considerava Lissa l’ultima grande vittoria della marina veneta-adriatica. 2) (Ultima almeno per il momento, aggiungo io: cosa sono 130 anni di presenza italiana in territorio veneto di fronte ai millenni della nostra storia, dell’autogoverno veneto ?).
I nuovi marinai infatti continuavano a essere reclutati nell’area veneta dell’impero asburgico, non certo nelle regioni alpine, e il veneto continuava a essere la lingua corrente, usata abitualmente anche dall’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff che aveva studiato – come tutti gli altri ufficiali – nel Collegio Marino di Venezia e che era stato “costretto” a parlar veneto fin dall’inizio della sua carriera per farsi capire dai vari equipaggi.
La lingua veneta contribuì certamente a elevare la compattezza e l’omogeneità degli equipaggi. Estremamente interessante quanto scrive l’ammiraglio Angelo Iachino: “ … non vi fu mai alcun movimento di irredentismo tra gli equipaggi austriaci durante la guerra, nemmeno quando, nel luglio del 1866, si cominciò a parlare della cessione della Venezia all’Italia”. 3)
Né in terra, né in mare i veneti erano così ansiosi di essere “liberati” dagli italiani, come certa storiografia pretenderebbe di farci credere. Pensiamo che perfino Garibaldi “s’infuriò perchè i veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo!”. 4)
Se il buongiorno si vede dal mattino…
La marina tricolore brillava solamente per la rivalità fra le tre componenti, e cioè la marina siciliana (o garibaldina), la napoletana e la sarda. Inoltre i comandanti delle tre squadre nelle quali l’armata era divisa, l’ammiraglio Persano, il vice ammiraglio Albini e il contrammiraglio Vacca, erano separati da profonda ostilità.
E la lettura del quotidiano francese “La Presse” è estremamente interessante: “Pare che all’amministrazione della Marina italiana stia per aprirsi un baratro di miserie: furti sui contratti e sulle transazioni con i costruttori, bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere avariata, blindaggi troppo sottili, ecc. Se si vorranno fare delle inchieste serie, si scoprirà ben altro”. 5)
Si arrivò così alla mattina del 20 luglio.
“La Marina italiana aveva, su quella Austriaca, una superiorità numerica di circa il 60 per cento negli equipaggi e di circa il 30 per cento negli ufficiali. Ma il nostro personale proveniva da marine diverse e risentiva del regionalismo ancora vivo nella nazione da poco unificata e in particolare del vecchio antagonismo fra Nord e Sud.” 6)
E così in circa un’ora l’abilità del Tegetthoff e il valore degli equipaggi consentì alla marina austro-veneta (come la chiamano ancor oggi alcuni storici austriaci) di riportare una meritata vittoria. Le perdite furono complessivamente di 620 morti e 40 feriti, quelle austro-venete di 38 morti e 138 feriti. 7)
La corazzata Re d’Italia, speronata dall’ammiraglia Ferdinand Max, affondò in pochi minuti con la tragica perdita di oltre 400 uomini, la corvetta corazzata Palestro colpita da un proiettile incendiario esplose trascinando con se oltre 200 vittime.
E quando von Tegetthoff annunciò la vittoria, gli equipaggi veneti risposero lanciando i berretti in aria e gridando: “Viva San Marco”. 8)
Degno di menzione è anche il capo timoniere della nave ammiraglia Ferdinand Max, Vincenzo Vianello di Pellestrina, detto “Gratton”, il quale agli ordini di Tegetthoff manovrò abilmente la nave per speronare ed affondare l’ammiraglia Re d’Italia, guadagnandosi la medaglia d’oro imperiale assieme a Tomaso Penso di Chioggia.
Famoso è nella tradizione il comando che Tegetthoff diede a Vianello: “Daghe dosso, Nino, che la ciapemo”. 9)
Alla fine, nonostante le sconfitte di Custoza e Lissa, il Veneto passò all’Italia.
E a Napoleone III, imperatore dei francesi, non resterà che dire riferendosi agli italiani: “Ancora una sconfitta e mi chiederanno Parigi”. 10)
E Giuseppe Mazzini su “Il dovere” del 24 Agosto 1866: “È possibile che l’Italia accetti di essere additata in Europa come la sola nazione che non sappia combattere, la sola che non possa ricevere il suo se non per beneficio d’armi straniere e concessioni umilianti dell’usurpatore nemico?”
N O T E
1) A. Zorzi, La Repubblica del Leone, Rusconi, pag. 550.
2) S. Meccoli, Viva Venezia, Longanesi, pag. 122.
3) A. Iachino, La campagna navale di Lissa 1866, Il Saggiatore, pag. 133.
4) D. Mack Smith, Storia d’Italia, Laterza.
5) Mario Costa Cardol, Và pensiero… su Roma assopita, Mursia, pag. 5.
6) A. Iachino, “Storia Illustrata” 06/1966, pagg. 113-119.
7) ibidem
8) vedi anche A. Zorzi, Venezia austriaca, Laterza, pag. 138.
9) Alberto Vedovato, Il Leone di Lissa, cosa è legittimo fare, “Quaderni del Lombardo-Veneto” n. 48, Aprile 1999.
10) Mario Costa Cardol, Ingovernabili da Torino, Mursia, pag. 349.