Il Trattato di Losanna, stipulato nel luglio 1923 tra la Turchia e le potenze dell’Intesa, garantiva i diritti civili e politici alle comunità non musulmane, tra cui quella ebraica. In base al trattato, lo Stato non poteva imporre alle minoranze l’uso del turco in ambito privato (art. 39); le varie comunità non musulmane potevano promuovere a proprie spese le istituzioni scolastiche, sociali, religiose e di beneficenza (art. 40); e infine, lo Stato turco doveva proteggere i loro organismi religiosi (art. 42). 1) Tutto ciò malgrado il programma politico del generale Mustafa Kemal (soprannominato Atatürk, padre dei turchi), che dopo la guerra di liberazione aveva assunto il potere e fondato la Repubblica (1923), si basasse su un’unificazione culturale, linguistica e sociale della nazione che non lasciava spazio al riconoscimento delle differenze. 2)
A causa della determinazione e rapidità delle pressioni esercitate dal regime nell’attuare il proprio programma, parte della comunità ebraica fu costretta a emigrare verso Paesi più accoglienti, soprattutto la Palestina; mentre un’altra parte rimase in Turchia, integrandosi nel contesto nazionalista per non perdere il legame ormai secolare con il Paese e i suoi abitanti.
I primi provvedimenti presi dal governo kemalista nel 1926, che andavano a cambiare i connotati culturali della minoranza, riguardavano la turchizzazione dei nomi ebraici e l’obbligo di frequentare le scuole repubblicane. Con l’atto di Unificazione del Sistema Scolastico emesso nello stesso anno, la lingua veicolare dell’insegnamento divenne obbligatoriamente il turco, e il corpo insegnante da quel momento in poi poté essere esclusivamente formato e assunto dal governo.
Con l’approvazione nel 1926 del codice civile svizzero, i matrimoni religiosi furono vietati se non preceduti da una cerimonia civile; la comunità ebraica, come le altre minoranze e organizzazioni straniere, ottenne il permesso di mantenere la propria scuola privata, ma non le fu concesso l’insegnamento dell’ebraico o di qualsiasi altro tipo d’istruzione religiosa dovendo obbligatoriamente seguire i curricula preparati dal ministero dell’Educazione; allo stesso modo dei capi religiosi cristiani e musulmani, i rabbini non poterono più indossare abiti religiosi in pubblico, eccetto per specifiche celebrazioni come i funerali.
Alla comunità ebraica non fu neanche concesso di affiliarsi a organismi esterni alla Repubblica, tra cui l’Organizzazione Mondiale Sionista e il Congresso Mondiale Ebraico, al fine di evitare ogni possibile contatto con gruppi oppositori del governo.
I successivi anni Trenta – la più intensa decade del nazionalismo – registrarono una forte pressione culturale sulla popolazione attraverso campagne per parlare il turco (Vatandaş, Türkçe Konuş! Cittadino, parla turco!) a cui la popolazione ebraica non poté non acconsentire.
Tuttavia, il forte elemento di coesione nella minoranza rimase la religione, sebbene l’osservanza – ritenuta da Atatürk un affare privato – fosse diminuita drasticamente. Pertanto il numero di sinagoghe diminuì e molti ebrei si spostarono in quartieri misti, lontani dalla sinagoga. All’interno della comunità vennero fondate diverse associazioni culturali che promuovevano attività sportive, ricreative e teatrali per rinnovare la socialità e la vicinanza tra i fedeli. Le associazioni occupavano la vita degli ebrei di tutte le età e rappresentavano un momento di solidarietà e di controllo di specifiche dinamiche sociali, tra cui i tanto temuti matrimoni interreligiosi. 3) La stampa ebraica, inoltre, continuò a sopravvivere dall’800 in lingua giudaico spagnola e in francese.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, la Turchia rimase neutrale evitando l’esperienza drammatica di privazioni e di perdite umane della Grande Guerra. 4) Dopo che il regime nazista andò al potere in Germania e in Austria, la Turchia non solo rifiutò le pressioni della Germania nazista di internare gli ebrei nei campi di sterminio, ma favorì il passaggio dei perseguitati da Polonia, Grecia, Iugoslavia ed Europa centrale nei suoi territori. Molti accademici e scienziati ebrei vi trovarono rifugio, dando in seguito significativi contributi allo sviluppo delle istituzioni scientifiche e delle università turche. 5)
I nazisti incoraggiarono alcuni nazionalisti turchi a ravvivare l’interesse per il panturchismo, 6) a stimolare movimenti antisemitici e a diffondere le relative idee tramite libri e giornali, per esempio “Anadolu” e “Milli Inkilap”. Quest’ultimo fu all’origine della formazione del movimento antisemitico in Tracia occidentale, che causò una serie di violenze rivolte agli ebrei residenti a Edirne e in altre città. 7) Circa 15.000 credenti furono costretti a lasciare la regione.4
A tali repressioni il primo ministro turco İsmet İnönü rispose condannando pubblicamente l’antisemitismo e difendendo i diritti di tutti i cittadini turchi. Così, nell’estate del 1940, la Turchia approvò la presenza nel suo territorio del movimento sionista allo scopo di documentarsi e provvedere all’accoglienza dei rifugiati provenienti dagli orrori perpetrati in Polonia, Iugoslavia, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Romania e Cecoslovacchia, e dalle invasioni naziste in Estonia, Ucraina e Russia. Il governo turco permise ai sionisti di attraversare i propri territori, di avvalersi del sostegno dei consoli e ambasciatori turchi per il trasferimento di pacchi di cibo, diamanti, monete d’oro e vestiti appartenenti agli ebrei impossibilitati a fuggire nelle terre occupate dai nazisti. I sionisti facilitarono le immigrazioni degli ebrei verso la Palestina fornendo passaporti e occupandosi del loro accompagnamento su navi illegali.
Nonostante la Germania e la Gran Bretagna avessero deciso di limitare le immigrazioni in Palestina chiudendo l’ufficio Aliya, un’organismo del movimento sionista, il governo turco permise ai sionisti di mantenere l’organizzazione Aliya Bet per facilitare il passaggio verso la Palestina seppur su basi illegali. 8)
Nel frattempo i consolati turchi in Francia, in particolare a Marsiglia e a Parigi, si opposero al governo di Vichy alleato dei nazisti, fornendo ai perseguitati documenti e certificati di cittadinanza turca per avvalersi delle immunità e protezioni concessi dalla Francia ai cittadini turchi. 9)
Nel 1941, quando il governo di Vichy approvò la legge che avrebbe permesso la deportazione di tutti gli ebrei nella Francia non occupata, giustificando che “un ebreo è un ebreo nonostante la sua cittadinanza”, l’ambasciata turca si appellò al diritto di cittadinanza per gli ebrei coinvolti. Il governo turco soccorse anche gli ebrei della Grecia, caduta sotto l’occupazione fascista italiana, facendoli fuggire attraverso l’Egeo e il Mediterraneo, a piedi o a nuoto attraverso il fiume Evros, 10) verso la Turchia e in particolare, verso la Palestina. 11)
Malgrado tutte le dimostrazioni di amicizia verso gli ebrei, la Turchia – che era colpita profondamente dalla crisi economica e dalle condizioni di guerra – approvò nel dicembre del 1942 la Varlik Vergisi, una tassa speciale grazie alla quale si dovevano recuperare l’equivalente di 360 milioni di dollari per il mantenimento dell’esercito turco nell’eventualità di un’invasione tedesca attraverso la Grecia. La tassazione gravò su tutta la popolazione turca, ma fu particolarmente punitiva nei confronti delle minoranze cristiane ed ebraiche, in particolare dei commercianti attivi nelle città. Gli ebrei più indigenti furono condannati ai lavori forzati nel campo di Aşkale, nella provincia di Erzurum, affinché sanassero il loro debito verso lo Stato; altri ancora furono obbligati a vendere i loro averi, a dichiarare bancarotta o a lavorare nei progetti governativi. L’imposizione discriminatoria per i non musulmani causò una nuova ondata migratoria, stavolta verso l’America latina.
La ripresa dell’islam
La fine della guerra portò una distensione dei rapporti tra il governo e la minoranza ebraica, sia nel 1946 con il passaggio al pluripartitismo e la nascita del Partito Democratico, formatosi in opposizione al regime monopartitico kemalista, sia nel 1950 con la vittoria del Partito Democratico. Il nuovo governo, imponendo una politica economica in contrasto con lo statalismo kemalista, mitigò le discriminazioni nei confronti delle imprese private gestite da ebrei e cristiani. Ciò nonostante anche durante il periodo post-kemalista non mancarono episodi d’intolleranza e di violenza verso le minoranze, causando un irrigidimento dei rapporti tra governo e non musulmani. Uno degli episodi più drammatici avvenne durante il cosiddetto Pogrom di Istanbul, il 6-7 settembre 1955, che colpì la minoranza greca istanbuliota. Il pogrom, tollerato dal Partito Democratico al governo, sfociò nel saccheggio di abitazioni e negozi armeni, greci ed ebraici, in violenze fisiche, stupri e assassini.
Con la creazione dello Stato d’Israele nel 1948, la maggioranza della popolazione ebraica meno abbiente si spostò verso Israele, mentre il ceto benestante rimase in Turchia. Le tensioni e le violenze contro le minoranze provocarono nuove consistenti ondate di emigrazione verso Israele.
La fine del periodo kemalista nel dopoguerra comportò maggiori libertà in ambito culturale, come il ripristino dell’insegnamento della lingua e religione ebraica nelle scuole della comunità. Tuttavia ciò non costituì un drastico cambiamento, poiché a livello universitario gli esami d’ingresso, solo in lingua turca, si attenevano specificatamente alle materie insegnate nelle scuole statali. Pertanto la minoranza ebraica fu ancora costretta ad adeguarsi ai programmi ministeriali per non essere esclusa dall’istruzione e a introdurre nelle proprie scuole l’insegnamento del turco.
Per quanto riguardava la lingua, nel periodo compreso tra il 1935 e il 1955 la comunità mantenne ancora il ladino e il francese pur parlando correntemente il turco. Le cerimonie più importanti, tra cui i matrimoni, il Brit milah e il Bar mitzvah, 12) continuavano a essere occasioni molto frequentate. La comunità rimase ancora fortemente legata alle proprie tradizioni e alla propria storia. 13)
La pressoché totale turchizzazione linguistica avvenne nel 1960, l’anno in cui fu introdotto l’obbligo di registrare il turco come madre lingua anche per gli ebrei; tuttavia la comunità riuscì a mantenere una propria fisionomia etno-linguistica, come dimostrano le pubblicazioni ininterrotte dal 1972 del settimanale politico-culturale della comunità ebraica di Istanbul, “Şalom”, che pubblica testi in turco e, dal 1984, anche in giudaico-spagnolo. 14) Infatti dagli anni ‘80 l’identità religiosa comincia a essere espressa molto chiaramente e ad avere importanza politica non soltanto per le minoranze ma anche per i musulmani.
N O T E
1) Stanford J.S., The Jews of the Ottoman Empire and the Turkish Republic, Palgrave MacMillan, 1991, p. 245.
2) Vedi Stanford J.S., lista di giornali apparsi dalla fine del 1800 alla fine del 1900, in francese e in giudaico-spagnolo p. 248-249.
3) Weiker W., Ottomans, Turks and the Jewish Polity, University Press of America, 1992, p. 159.
4) Nella prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano prende parte al conflitto accanto alla Germania, all’Impero austro-ungarico e alla Bulgaria.
5) Stanford J.S., Roads East – Turkey and the Jews of Europe during the World War II, in Levi A., Jews, Turks, Ottomans: a shared history, fifteenth through the twentieth century, p.246.
6) Il panturchismo è un’ideologia nata nel diciannovesimo secolo nei Paesi con forte presenza di popolazioni turaniche, con lo scopo di promuovere la loro unione in un unico territorio. Padre del panturchismo è l’orientalista ungherese Armin Vambery.
7) I pogrom antisemitici del giugno-luglio 1934 in Tracia, nelle città di Tekirdağ, Edirne, Kırklareli, e Çanakkale, sono stati stimolati dal leader panturco Cevat Rifat Atilhan attraverso gli articoli del “Millî Inkılâp”.
8) Stanford J.S., p.255.
9) Levi A., pp. 246-259.
10) L’Evros è un fiume dell’Europa sudorientale che scorre in Bulgaria, Grecia, Turchia.
11) Levi A., pp. 246-259.
12) Il Berit Milah o Brit Milah, letteralmente “Patto del Taglio”, è una cerimonia ebraica con cui si dà il benvenuto ai neonati maschi della comunità. Si tratta di una circoncisione rituale effettuata da un mohel o da un medico che pratica l’operazione secondo il rito.
Il Bar Mitzvah per i bambini maschi e il Bat Mitzvah per le bambine indica la cerimonia del compimento dell’età della maturità (12 anni e un giorno per le femmine e 13 anni e un giorno per i maschi). Durante la cerimonia il bambino legge un brano dalla Torah o dalla Haftarah. Per le bambine invece non c’è la lettura della Torah ma solo un’interrogazione sui doveri sociali e familiari da portare avanti come donna ebrea. In seguito si offre un rinfresco per la famiglia, gli amici e i membri della comunità.
13) Weiker W., p.158.
14) Weiker W., p.161.