Negli ultimi mesi, la piccola comunità germanofona tra le Dolomiti ha goduto di un’insolita fama per aver votato a favore del trasferimento dal Veneto al Friuli Venezia Giulia. Si tratta del primo caso di distacco da una Regione a statuto ordinario per entrare in un’altra a statuto speciale: una scelta etno-culturale o, piuttosto, l’aspirazione a maggiori benefici economici?

 

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Sappada – o Plodn nella lingua locale – è un comune di circa 1300 abitanti che si sviluppa in una valle attraversata dal fiume Piave. Posta tra le imponenti vette delle Alpi, all’estremità nord-orientale delle Dolomiti, incastonata in uno scenario naturalistico meraviglioso al confine tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Austria, Sappada è una rinomata stazione turistica estiva e invernale, nota anche per essere una delle isole germanofone in territorio italiano grazie al suo particolare dialetto: si tratta di una varietà austriaco-bavarese importata dai primi coloni della valle che, secondo la versione più diffusa, provenivano dall’Austria e avevano valicato le Alpi in epoca medievale.
Ma Sappada è salita agli onori della cronaca anche per un altro motivo: è stata protagonista di un clamoroso trasferimento dal Veneto, regione cui apparteneva amministrativamente, al Friuli Venezia Giulia, in seguito a un iter lungo e complicato durato ben dieci anni e conclusosi positivamente in modo ufficiale solamente il mese scorso.
Nel 2007 il consiglio comunale aveva indetto un referendum per il passaggio alla regione autonoma nell’àmbito della provincia di Udine, accolto favorevolmente dalla quasi totalità dei sappadini al momento della votazione nel marzo 2008. Soltanto nel settembre 2017 il Senato si è espresso formalmente sulla questione, accogliendo la richiesta con 168 voti favorevoli, quindi via libera dalla Camera con l’approvazione del disegno di legge il 23 novembre scorso, e successiva firma di Mattarella a inizio dicembre a sancire il compimento finale del percorso burocratico.
Sebbene non molto frequenti, non è la prima volta che avvengono passaggi interregionali legalmente approvati, tuttavia il caso di Sappada è decisamente importante in quanto rappresenta un’assoluta novità: mai si era verificato il “trasloco” di un comune da una regione a statuto ordinario a una a statuto speciale.
Il comune di Sappada è situato nella sezione nord-orientale delle Dolomiti in un’area di transizione tra le diverse regioni di Cadore (Veneto), Carnia (Friuli) e Carinzia (Austria). Sorge a un’altitudine di 1245 m e si estende longitudinalmente in direzione est-ovest lungo tutta la valle solcata dal fiume Piave, le cui sorgenti si collocano proprio nel territorio comunale a un’altezza di circa 1800 m alle falde del monte Peralba. È per l’appunto lo stesso Piave, che ha origine in cima alla Val Sesis, 1) a modellare l’intera valle conferendole la caratteristica conformazione morfologica che ha contribuito a un altrettanto particolare insediamento: l’abitato si snoda addirittura per circa 5 km a nord del corso d’acqua. Il territorio comunale risulta quindi compreso tra le maestose vette dolomitiche, sulle quali svetta il monte Peralba (2694 m), la seconda cima più elevata di tutte le Alpi Carniche. Oltre ai massicci rocciosi non mancano rigogliosi prati dedicati al pascolo, fitti boschi di conifere ricchi di piccole cascate e incantevoli laghetti alpini, in un idilliaco scenario generale che richiama un paradisiaco locus amoenus.
L’ambiente montano sappadino risulta pressoché incontaminato, con un’ampia gamma di biodiversità vegetale e animale: foreste di abeti e larici all’interno delle quali vivono galli cedroni, fagiani di monte, pernici bianche, ermellini, volpi, lepri alpine e scoiattoli. Alle altitudini più elevate si trovano esemplari di marmotte, camosci, cervi e caprioli e due coppie di aquile reali, mentre tra i fiori protetti crescono il raponzolo di roccia, l’erica, la genziana, il ranuncolo e il ciclamino.
Il clima è facilmente classificabile come alpino, dominato da estati fresche (buona piovosità in particolare nei mesi di agosto e settembre) e inverni estremamente rigidi e nevosi, con la neve che solitamente comincia a cadere nei primi giorni di dicembre per scomparire solo all’inizio di aprile. Le altre stagioni sono invece ventilate e abbastanza piovose. La conformazione della valle con orientamento est-ovest garantisce un eccezionale soleggiamento per tutto l’anno, tanto che l’intera conca sappadina viene definita “la valle del sole”.

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Blockhaus.

Dalle origini misteriose agli impianti di risalita

Le origini di Sappada vanno ricercate in tempi antichissimi. A causa dell’assenza di documenti, non si hanno prove certe e definitive a sostegno di una singola teoria; esistono piuttosto ipotesi differenti, per alcuni aspetti sovrapponibili. La versione maggiormente conosciuta e riportata narra di un gruppo di contadini provenienti da una valle austriaca più a nord i quali, nell’XI secolo, si insediarono nella conca sappadina su autorizzazione del patriarca di Aquileia e su invito dei conti di Gorizia, in cambio del pagamento di una somma annuale.
Questa ipotesi deriva dalla tradizione orale e prenderebbe spunto da una leggenda: i primi coloni sarebbero appartenuti ad alcune famiglie austriache che risiedevano nel paese di Villgraten, presso Sillian, nel Tirolo orientale, un’area dominata dallo strapotere dei conti Heimfels, i quali avrebbero instaurato un duro regime vessatorio costringendo molti contadini a emigrare per sfuggire ai ripetuti soprusi.
Una delle poche certezze riguarda il primo documento scritto giunto fino a noi, datato 1296, la cui importanza è capitale in quanto vi si afferma che il patriarca di Aquileia, Raimondo della Torre, investe come suoi feudatari i contadini dei masi e delle terre abitate di Sappada, aumentando però la tassa in vigore rispetto a quanto “solevano corrispondere dai tempi antichi”. Il riferimento a tempi antichi lascerebbe quindi supporre che i contatti con gli abitanti dell’area fossero di vecchia data e i primi insediamenti collocabili a qualche secolo prima.
Uno studio riguardante invece gli spostamenti di popolazioni nella zona in età altomedievale è alla base di un’ipotesi differente per la genesi di Sappada. Tra i secoli VIII e IX, le diocesi di Aquileia e di Salisburgo erano impegnate nell’opera di evangelizzazione delle popolazioni alpine: gli sloveni cantarani furono cristianizzati dai missionari della diocesi di Salisburgo e contemporaneamente subirono anche un processo di germanizzazione. Secondo questa ipotesi sarebbe stato proprio un gruppo di sloveni cantarani ad aver dato origine al primo nucleo sappadino. Le prove andrebbero ricercate nei toponimi a forte componente slavofona, diffusi nelle valli immediatamente a nord di Sappada, insieme ad alcuni vocaboli del dialetto sappadino che presentano tracce di antiche radici paleoslave.
L’origine sarebbe dunque da anticipare rispetto all’XI secolo, mentre nei secoli successivi a questo primo nucleo fondatore slavo-cantarano si sarebbe sovrapposta, in seguito ad altre migrazioni, quella componente più specificatamente germanofona riconducibile all’area di Sillian, come sostenuto dai linguisti, destinata a prevalere nettamente sul primo substrato slavo, influenzando interamente il nuovo ibrido linguistico venutosi a creare, decisamente unico e originale.
Riguardo ai toponimi, alcuni luoghi del territorio sappadino presentano un’etimologia collegabile all’attività mineraria ed estrattiva, testimoniandone l’importanza in particolare tra il monte Ferro, i laghi d’Olbe e il vallone Rio della Miniera; e suggerendo l’ulteriore ipotesi, leggermente diversa dalle precedenti, della presenza di accampamenti stagionali legati all’attività pastorizia ed estrattiva nelle più orientali valli del Cadore, i quali con il tempo, tra i secoli VIII e X, si sarebbero trasformati in residenze fisse e insediamenti permanenti.
Qualunque sia la reale genesi dei primi coloni sappadini, è certo che hanno attuato una precisa e puntuale opera di disboscamento e di coltivazione, insieme con altrettante importanti attività di pastorizia ed estrazione mineraria, e costruito le proprie case sul versante settentrionale, quello più soleggiato. È anche lecito pensare che l’abitato originario sia localizzabile a Cima Sappada, per la posizione favorevole all’imbocco della Val Sesis e per la morfologia pianeggiante e relativamente ridotta, congeniale a un primo nucleo insediativo, nonché per la posizione dominante sull’intera vallata.
Non è neppure da escludere che la nascita di Sappada sia collegata a quella di Sauris, paese friulano a sud di Sappada dal quale è separato dalla Val Pesarina. Di fatto, anche Sauris è un’isola germanofona, e probabilmente tra i due abitati deve esserci stata una notevole comunicazione fin dai primi secoli del loro insediamento, come attestato dalla presenza di toponimi comuni.
Un’altra data certa e importantissima è il 3 aprile 1077, quando l’imperatore Enrico IV procedette all’infeudamento dell’intero Friuli, inclusa l’area del Cadore, al patriarca Sigeardo di Tengling: l’avvenimento è estremamente significativo in quanto da questo momento siamo sicuri che il territorio sappadino rientra sotto la giurisdizione del patriarcato di Aquileia.
È invece del 1334 il primo documento in cui vengono citate le miniere di ferro di Sappada di cui alcuni cittadini di Caprile chiedono lo sfruttamento al patriarca Bertrando di San Genesio. Nel 1347 lo stesso patriarca riconobbe ai sappadini il bosco della Digola (chiamato bosco nero): il documento a riguardo è di rilevanza fondamentale, dal momento che menziona Sappada come dipendente dalla “gastaldia della Carnia”, giurisdizione territoriale sotto la quale il comune rimarrà anche con il dominio veneto della Serenissima, quello francese di Napoleone e quello austriaco degli Asburgo. È un fatto di non secondaria importanza in quanto testimonia, almeno a livello amministrativo, una reale appartenenza e un legame con una parte di territorio friulano come la Carnia, pur sotto il dominio, durato diversi secoli, di altre potenze “straniere”.
Crollato il Patriarcato nel 1420, infatti, Sappada passò insieme ai precedenti possedimenti di Aquileia sotto la sovranità della Repubblica di Venezia, continuando tuttavia ad appartenere alla gastaldia della Carnia.
Nel 1431 venne eretta la pieve matrice di Gorto, al cui interno si trovano due iscrizioni che celebrano la dipendenza di Sappada dalla stessa pieve che controllava e garantiva la presenza spirituale tramite l’invio di sacerdoti. 2)
Nel XVI secolo, sotto il dominio della Serenissima, la cittadina di Sappada visse un periodo di pace e prosperità: alle già sviluppate e floride attività agricole, pastorali e minerarie si affiancarono anche i primi commerci, in particolare di legname: la Repubblica veneziana richiedeva costantemente questa materia prima per la costruzione delle navi della sua flotta. Molti sappadini trovarono lavoro nel trasporto del legname e diversi membri della comunità si arricchirono proprio grazie a questo intenso scambio commerciale.
In questa fase è evidente l’intensificarsi del rapporto con Venezia e il Veneto, in quanto l’intera economia sappadina gravitava sostanzialmente sull’asse del Piave dove si contavano addirittura 27 segherie per la lavorazione del legno destinato alla Repubblica. La dipendenza politica ed economica dalla capitale creò un indiscutibile legame tra Sappada e Venezia, oltre a quello già esistente con l’area della Carnia friulana. Per esempio, nel 1776 il doge Alvise IV Giovanni Mocenigo fece edificare un cippo, situato presso l’attuale municipio di Sappada, recante un’iscrizione che indicava la fine del Cadore, legando quindi la località ancora al Veneto. Nel 1732, invece, era stata costruita la chiesa di Sant’Osvaldo a Cima Sappada, il cui titolo ricalcava precisamente quello della parrocchiale di Sauris, la cittadina germanofona friulana, testimonianza significativa, stavolta, della stretta relazione con la Carnia.
Sappada rimase parte del territorio della Repubblica di Venezia fino al 1797, quando passò sotto i francesi. Il dominio transalpino non durò a lungo, tanto che nel 1814 la zona divenne possedimento austriaco: in questi anni vennero inaugurate le prime scuole e realizzate le principali opere pubbliche della cittadina. È infatti con la monarchia asburgica che, nel 1823, fu aperta la prima scuola elementare con sede in borgata Muhlbach.
In àmbito religioso, sempre in questo stesso periodo si tenne il primo pellegrinaggio al santuario di Maria Luggau, sito nella valle del Gail, per onorare un voto per la protezione del bestiame dalle frequenti e terribili epidemie, inaugurando quella che è perdurata fino ai giorni nostri come una delle tradizioni più importanti e sentite dell’intera comunità.
Sappada rimase ancora legata amministrativamente alla Carnia fino al 28 marzo 1852, allorché venne scorporata dalla provincia di Udine per essere integrata in quella di Belluno, diventando di fatto, qualche anno più tardi, parte del Regno d’Italia con l’annessione del Veneto nel 1866. Con l’ingresso nella circoscrizione amministrativa bellunese, Sappada aderì alla Magnifica Comunità di Cadore, istituita nel 1338, anche se i suoi confini non venivano fatti rientrare completamente nell’antico e storico territorio cadorino. Quanto a giurisdizione ecclesiastica, invece, continuò a dipendere direttamente dalla diocesi di Udine (erede del defunto Patriarcato di Aquileia), come al giorno d’oggi.
Il passaggio allo Stato italiano fu inizialmente segnato da un periodo di progresso collettivo della comunità, con le prime imprese alpinistiche che contribuirono alla diffusione del turismo montano e alla creazione di buone strutture ricettive. Lo sviluppo si arrestò bruscamente allo scoppio della prima guerra mondiale a causa dell’attacco delle truppe austriache. Non furono combattute battaglie decisive all’interno del territorio sappadino, ma il conflitto coinvolse interamente la popolazione locale per motivi soprattutto logistici, data l’estrema vicinanza del confine, controllato in modo costante dagli alpini che venivano riforniti incessantemente dagli abitanti del comune a partire dalla fine di maggio 1915. Molte donne sappadine divennero “portatrici carniche”, distinguendosi per numerose azioni eroiche: ogni giorno percorrevano centinaia di metri su e giù per i pendii montuosi per portare viveri e munizioni ai soldati italiani al fronte, collocato nei pressi del contesissimo monte Peralba. A queste imprese contribuirono anche giovani e anziani i quali, nella primavera del 1916, riuscirono addirittura a trascinare a braccia due cannoni per diversi chilometri.
In seguito alla disfatta di Caporetto, il fronte venne immediatamente abbandonato e il paese di Sappada prontamente evacuato: più di 800 sappadini furono trasferiti ad Arezzo – dove venne istituita la sede provvisoria del Municipio di Sappada, e vissero dal 30 ottobre 1917 al 22 marzo 1919 – altri in Campania e Sicilia. Nel 1919 molti fecero ritorno nella loro terra d’origine, altri preferirono emigrare in Germania e Svizzera.
Nell’immediato dopoguerra, l’incremento del turismo alpino invernale ed estivo comportò un ulteriore cambiamento infrastrutturale di Sappada, che si adeguò alle nuove esigenze: si completò così il definitivo passaggio da realtà agricola a località terziaria turistica, vocazione ormai manifestamente accettata e condivisa, culminata nel 1929 con il riconoscimento, per decreto ministeriale, di stazione di soggiorno e turismo, seconda in provincia solamente a Belluno e a Cortina d’Ampezzo.
La seconda guerra mondiale sconvolse nuovamente l’entroterra sappadino, il paese entrò a far parte della Repubblica Libera della Carnia e fu teatro di feroci scontri tra partigiani e tedeschi. 3) Questi ultimi, illusi di trovare nei cittadini locali facili alleati grazie alla lingua comune, furono decisamente smentiti dalle circostanze, che videro i sappadini combattere strenuamente gli invasori e successivamente suonare a festa le campane il 2 maggio 1945, quando i tedeschi, prossimi alla resa, abbandonarono la cittadina. Purtroppo, negli anni precedenti parecchi abitanti erano stati prelevati con la forza e mandati nei campi di concentramento.
Nel secondo dopoguerra, a causa delle numerose difficoltà, i posti di lavoro scarseggiavano e alcuni sappadini scelsero la via dell’emigrazione verso Germania, Svizzera, ma anche Stati Uniti e Australia. Negli anni Cinquanta si assistette a una celere espansione industriale e a un nuovo sviluppo del turismo, con l’ulteriore moltiplicazione delle strutture ricettive e la fondamentale realizzazione degli impianti di risalita per gli sport invernali.
La vocazione terziaria della località rappresentava ormai il principale punto di forza, e quello turistico l’unico settore su cui si era deciso di puntare… Tuttavia, nonostante i crescenti benefici di carattere economico, a partire dagli anni Settanta si cominciò a pensare che questa tendenza avrebbe finito per compromettere seriamente l’identità, il carattere, la memoria storica e le tradizioni culturali del luogo. Nacquero così svariate iniziative volte alla salvaguardia etnica, come la creazione del Museo Etnografico “Giuseppe Fontana”, per conservare e valorizzare il patrimonio culturale sappadino. Oggi, dunque, Sappada è una rinomata località turistica estiva e invernale, che possiede anche la consapevolezza del proprio eccezionale patrimonio etno-linguistico e intende custodirlo gelosamente.

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Chiesa di Santa Margherita.

Un’isola linguistica germanica

Le particolari vicende storiche che hanno influenzato fin dai tempi antichi la nascita e l’evoluzione del comune, insieme alla posizione geografica – di confine ma anche assai isolata – hanno contribuito alla presenza di una precisa identità etnica, unicamente “sappadina”: Sappada, infatti, si differenzia nettamente dal territorio circostante, veneto, friulano e austriaco, e può essere definita un’isola culturale a sé stante.
Il tratto più rappresentativo è sicuramente quello linguistico. A Sappada si parla il dialetto sappadino o plodarisch, classificato come austriaco-bavarese o pustero-carinziano: prova che testimonia, se non l’origine austriaca dei primi coloni, quanto meno una forte immigrazione di persone da quell’area oltre le Alpi, nonché successivi intensi contatti con la Val Pusteria, il Tirolo orientale e la stessa Carinzia.
La lingua è la stessa parlata nelle altre due comunità germanofone friulane della Carnia, Sauris (Zahre) e Timau (Tischlbong), e rappresenterebbe una sopravvivenza del medio-alto tedesco, portato per l’appunto dai primi abitanti della conca, tramandata e conservata perfettamente fino al XX secolo, con piccole contaminazioni lessicali dal tedesco e dal ladino.
La grammatica sappadina ricalca quella tedesca nelle principali costruzioni morfologiche e sintattiche e, nonostante le influenze esterne e alcune semplificazioni introdotte con il tempo dai fruitori, la parlata, grazie all’isolamento, risulta decisamente più fedele all’ancestrale matrice teutonica rispetto ad altre enclavi linguistiche.
Il sappadino viene parlato tutt’oggi, principale elemento di specificità della culturale locale, anche se l’idioma ufficiale è diventato l’italiano, utilizzato negli uffici pubblici, a scuola e in chiesa. Il dialetto è stato parlato fluentemente fino agli anni Quaranta del Novecento nella vita quotidiana e religiosa, con i parroci che conoscevano il tedesco, inviati da Sauris. I contatti con l’esterno erano rivolti, oltre a Carnia e Cadore, soprattutto alla Val Pusteria, tra l’Alto Adige e il Tirolo orientale, territorio spiccatamente germanofono. In questo modo l’idioma è stato tramandato dagli abitanti per mille anni senza difficoltà e la sua forma si è conservata sostanzialmente identica, subendo, come sottolineato, pochissime modifiche.
Negli ultimi decenni la situazione è mediamente cambiata: la componente linguistica originaria è stata in parte intaccata dalla lingua italiana. La popolazione sappadina è stata costretta a importare da fuori parole per designare concetti nuovi utilizzando prestiti neolatini; inoltre l’elevato grado di scolarizzazione delle nuove generazioni e la diffusione del mezzo televisivo hanno incrementato notevolmente l’utilizzo della “nuova” lingua ufficiale. Il dialetto sappadino, sempre meno utilizzato negli scambi linguistici tra genitori e figli, ha dunque cominciato a conoscere un certo declino, anche in seguito alla progressiva apertura del paese al turismo italofono e all’aumento dei matrimoni misti.
L’emergere dell’italiano ha dato vita anche a particolari fenomeni di mescolanza, con termini e modi di dire ibridi. Grazie ai contatti ripetuti con la Carnia, alcuni abitanti hanno imparato anche diverse parole in friulano. In generale il sappadino viene ancora utilizzato soprattutto dai membri più anziani della comunità, mentre i giovani privilegiano indiscutibilmente l’italiano: il dialetto viene parlato all’incirca dal 30% della popolazione. Tuttavia, molti giovani che non hanno avuto la possibilità di studiare il sappadino a scuola, stanno dimostrando da qualche tempo un rinnovato e sincero interesse per la storia e le tradizioni locali, tra cui anche la lingua. Per questa ragione l’amministrazione ha voluto organizzare, supportare e incentivare qualsiasi tipo di iniziativa volta alla salvaguardia dell’idioma. Inoltre, negli anni Ottanta Sappada è stata ufficialmente riconosciuta dal governo italiano come minoranza linguistica e storica, godendo dei finanziamenti della legge regionale 73/94 e della legge nazionale 482/99, che comporta l’insegnamento obbligatorio nelle scuole.
Nel 1995 è nata l’Associazione Plodar, che ha come obiettivo primario la tutela e la valorizzazione dell’intero sistema culturale sappadino, e realizza tra l’altro importanti volumi a carattere scientifico sull’argomento. Nel 2004 sono iniziati i primi corsi di lingua locale, con grande successo anche tra i più giovani.
Da un punto di vista demo-territoriale, si riscontra come il dialetto presenti differenze addirittura tra le diverse borgate in cui è suddiviso il paese, in particolare tra quelle centrali e Cima Sappada – fattore che non aiuta la conservazione della lingua – e il sappadino risulti decisamente meno sviluppato nelle sezioni più urbanizzate e densamente popolate rispetto a quelle più isolate dove il numero di fruitori aumenta considerevolmente.
Tra gli abitanti si riscontrano due diversi tipi di atteggiamento: c’è chi, mosso dal viscerale amore per la propria patria e le proprie origini, mostra un interesse reale e propositivo; e chi invece ritiene superflua la valorizzazione del dialetto, destinato a essere completamente fagocitato dall’italiano. In ogni caso è innegabile come il tratto linguistico abbia contribuito a cementare la peculiare identità culturale valligiana e rappresenti, ancor oggi, un inequivocabile segno distintivo della società, ritenuto da molti elemento fondamentale e imprescindibile dell’individualità locale.

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Il gruppo degli Holzhockar.

Borgate, antichi mestieri e gastronomia

Anche il nucleo insediativo di Sappada risulta particolare: si tratta di un comune sparso. La cittadina è divisa in 15 borgate (heivilan), posizionate su livelli altimetrici differenti compresi tra i 1250 e i 1290 metri. Nei secoli scorsi esse rappresentavano sezioni abitative separate chiamate masi, ma con il tempo si sono allargate e ampliate unendosi tra loro; poche borgate si presentano ancora nella forma originaria, sole e isolate. Ciascuna possiede una propria chiesetta con cappella e fontane; alcune risalgono ai primi insediamenti dei coloni d’oltralpe, altre sono state costruite in tempi più recenti.
La sede comunale si trova in borgata Bach che, insieme con Granvilla e Palù, costituisce il centro del paese, con alberghi, ristoranti e negozi. Le borgate con gli edifici più antichi formano Sappada vecchia, zona caratteristica che conserva ancora le case realizzate con la tradizionale architettura in legno, localizzata lungo il versante settentrionale della vallata, quello maggiormente esposto al sole, da Muhlbach a Cima Sappada, luogo isolato e incredibilmente caratteristico con numerosi rustici in legno.
I toponimi delle borgate appaiono nella versione sia tedesca sia italianizzata, e parecchi cognomi delle famiglie derivano direttamente dai toponimi stessi, alcuni leggermente modificati e italianizzati negli ultimi decenni. I cognomi (in alcuni casi presentati anche nella doppia forma), oltre che dal nome delle borgate, possono avere origine da un avo, dal mestiere del padre, persino da presunti difetti fisici e caratteriali. In passato infatti i mestieri tradizionali e il vivere in borgata erano strettamente connessi: l’isolamento e i pochi contatti con l’esterno erano equilibrati da un sistema pienamente autosufficiente organizzato dai cittadini, i quali spesso lavoravano nei pressi della loro abitazione. Le borgate finivano così per distinguersi le une dalle altre proprio in base alle differenti specializzazioni.
Fino al XX secolo l’economia sappadina era essenzialmente agro-silvo-pastorale, dove emergevano la figure dell’hirte (pastore) e soprattutto del paur (contadino) che lavorava nei campi coltivando cereali e prodotti montani quali orzo, frumento, segale, avena, fave, patate, rape, cavoli, carote, piselli; e provvedeva all’allevamento del bestiame (mucche, maiali, capre e pecore) dal quale si ricavavano carne, latte e formaggio. Altri mestieri erano schuisctar (calzolai), beibar (tessitori), schnaidar (sarti), maurar (muratori), zimmermonn (carpentieri), tischlar (falegnami), schlossar (fabbri), e sendarmendl (casari) i cui prodotti erano alla base della cucina locale. Tra le poche derrate prese al di fuori del territorio sappadino c’era la farina di granturco e di frumento, che spesso veniva acquistata in Carnia o in Cadore e successivamente macinata nei mulini del paese dai milnar (mugnai). Gli alimenti base della dieta sappadini erano quindi polenta, formaggio e patate; come condimento veniva fatto ampio uso del mochate, strutto sciolto e bollito con il lardo e aromatizzato con rosmarino e salvia.
Durante le festività era usanza preparare molti dolci, diffusi ancora oggi, come gli hosenearlan (orecchiette di lepre), vari tipi di frittelle e durante il periodo pasquale il pane dolce, servito tagliato a fette insieme a salame, uova sode e rafano. I prodotti tipici attualmente più consumati e venduti risultano ancora formaggi freschi o stagionati di malga e latteria (ricotte e caciotte), salumi (speck, prosciutti e salami), funghi, marmellata, miele, grappe e liquori alle erbe alpine e ai frutti di bosco.

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Le maschere carnevalesche per la Domenica dei Contadini.

Arte, architettura e religiosità

Anche la componente architettonica è un tratto peculiare che rende il complesso culturale sappadino decisamente caratteristico. L’edilizia tradizionale è dominata dalla presenza di due edifici principali: haus (la casa) e schtol (la stalla), che in passato potevano anche trovarsi accorpate e comunicanti. L’abitazione tradizionale solitamente si estendeva su due o più piani, con una base di pietra dove era situata la cantina e una lavanderia per il bucato; dal portone ad arco si accedeva a un corridoio che divideva in due differenti ambienti la struttura, a sud cucina con focolare a fuoco aperto e il tinello, a nord una camera. Ripide scale conducevano al secondo piano dove si trovavano le rimanenti camere e il gabinetto all’aperto; un’ultima scala portava invece al solaio che fungeva da ripostiglio.
Anche la stalla era generalmente strutturata su due piani: al primo mucche e maiali; al superiore, cui si accedeva mediante una scalinata esterna, il fienile.
L’architettura sappadina è fortemente ispirata alle tendenze nordiche e al sistema tedesco in particolare (netta prevalenza di rustici e case interamente in legno) che formano il particolare e pregiato patrimonio artistico locale. Le abitazioni, nello specifico, sono costruite con l’antica tecnica del blockbau (gezimmert in sappadino), cioè l’utilizzo di travi lignee sovrapposte in orizzontale e incastrate presso angoli e spigoli, poggianti su uno zoccolo di pietra (tschockl). Queste tipiche abitazioni, chiamate blockhaus, si trovano principalmente a Sappada Vecchia e Cima Sappada, e d’estate risplendono di colori brillanti e accesi grazie all’abbondante presenza di fiori sui balconi. Gli edifici più recenti sono invece ubicati in borgata Lerpa e nel centro di Sappada.
Altre testimonianze artistiche sul territorio cittadino sono gli edifici di carattere religioso, quali la Chiesa di Santa Margherita, in borgata Granvilla, d’impronta barocca ricostruita nel 1779, la Chiesa di Sant’Osvaldo a Cima Sappada, realizzata sul modello delle piccole chiese alpine della Carnia con un portico aperto ai lati, e il Santuario Regina Pacis in borgata Soravia. La presenza di queste tre chiese e di numerose cappelle (maindlan) e crocifissi lignei (kraize) sparsi tra l’abitato e nei campi, testimonia la profonda religiosità degli abitanti. L’aspetto spirituale – sia privato che pubblico con preghiere collettive in passato recitate in tedesco – era una volta molto forte e rappresentava un altro tratto distintivo della popolazione, ma con il tempo si è parecchio affievolito: pur continuando a essere devoti, per i sappadini la religiosità è diventata un bisogno meno sentito.

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Tradizioni e riti folclorici: il carnevale e il pellegrinaggio mariano

Accanto agli aspetti linguistici e architettonici, sono i riti legati alla tradizione culturale ad alimentare l’essenza vitale cittadina. Gli usi e costumi più significativi vengono rappresentati dal gruppo folcloristico degli Holzhockar (i “taglialegna”), composto da una quarantina di persone, che ripropone le danze mimiche del passato, mettendo in scena balli che riproducono gli antichi mestieri paesani, animando con i costumi tipici le sagre e le feste. Il gruppo è nato nel 1975 con il chiaro obiettivo di far rivivere le antiche usanze e tradizioni di Sappada, ancora in parte presenti nella quotidianità.
Nel corso degli anni l’impegno, la dedizione e la bravura dei “taglialegna” ha permesso loro di prendere parte a numerosi festival europei e internazionali. Dal 1999 il gruppo organizza il Festival Internazionale del Folklore, evento assai conosciuto e sentito essendo l’unico nel suo genere in area dolomitica: fondato sulla piena consapevolezza del valore delle identità e delle tradizioni, il festival diventa anche occasione di incontro e scambio tra culture differenti, con ospiti provenienti da altre regioni. Dal 2013 è stato spostato alla domenica dopo Ferragosto, a conclusione di una festa altrettanto sentita in paese: “Plodar fest, folk a tutta birra!”.
In generale a Sappada sono diverse le festività, sacre e profane, che scandiscono i momenti dell’anno in relazione all’avvicendarsi delle stagioni e alle ricorrenze religiose: a questi momenti sono connesse usanze ancora oggi fondamentali nella realtà e mentalità sappadina. Per esempio, il primo giorno dell’anno inizia con l’augurio direttamente… a domicilio da parte di alcuni bambini che fanno il giro del paese, e di casa in casa recitano una filastrocca che richiama gli ideali del mondo contadino augurando prosperità in cambio di dolci o monete.
La festa più significativa è senza dubbio il carnevale (Vosenocht), celebre in tutta la zona per la sua originalità. L’evento, atteso con ansia tutto l’anno, è accompagnato da balli e divertimenti nelle tre settimane precedenti il Mercoledì delle Ceneri, periodo in cui in passato era possibile accantonare le fatiche del lavoro quotidiano per gustare i deliziosi dolci preparati dalle massaie. Il fulcro sono le maschere (lotter), utilizzate dai sappadini per travestirsi e camuffarsi completamente in modo da non essere riconosciuti da nessuno dei concittadini: si tratta di maschere in legno (lorvn) pazientemente intagliate dagli artigiani locali e in genere tramandate di padre in figlio. Nel caso qualcuno riesca a riconoscere amici e parenti travestiti, la tradizione vuole che non riveli la sua scoperta e non sveli l’identità, ma continui ad assecondare i discorsi e gli scherzi delle maschere, in un gioco reiterato ma divertente per tutti.
Il carnevale sappadino è strutturato in diverse giornate; in particolare sono dedicate ai festeggiamenti tre domeniche, in ognuna delle quali è protagonista un differente ceto sociale: la “Domenica dei poveri” (Petlar sunntach) nella quale si è soliti vestirsi con abiti dimessi e compiere i lavori più umili “per arrivare alla fine del mese”; la “Domenica dei contadini” (Paurn sunntach) in cui vengono celebrati gli antichi lavori agricoli; la “Domenica dei signori” (Hearn sunntach), manifestazione della classe benestante in occasione della quale si indossano costumi eleganti e sofisticati. A seconda delle domeniche si scelgono quindi abiti differenti, inscenando di volta in volta episodi spassosi che coinvolgono le persone da cui ci si reca in visita travestiti. Per non farsi riconoscere le maschere si esprimono in falsetto (goschn).

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Il Rollat.

Altre giornate importanti all’interno del carnevale sono il Giovedì Grasso con la sua sfilata, il Martedì Grasso con una gara mascherata sugli sci, e soprattutto il Lunedì Grasso, interamente dedicato a un altro protagonista della festa, il rollate (rollat). Imponente e misteriosa figura maschile, si tratta di una tipica maschera sappadina in una pelliccia scura di caprone molto pesante che ricorda il pelo di un orso, pantaloni in tela di lino a righe bianche e marroni, e una maschera in legno che raffigura il volto di un montanaro dai lineamenti duri e pronunciati. Il nome deriva dalle rolln, rumorose sfere di bronzo che il rollat porta legate in vita facendole risuonare al suo passaggio. È anche dotato di scarponi chiodati grazie ai quali può rincorrere su neve e ghiaccio i bambini che scappano tra le borgate, e di una scopa di paglia, un tempo realizzata con rami di erica, brandita in modo scherzoso o minaccioso.
Quando il rollat fa visita agli altri sappadini nelle proprie case, scatta una sorta di meccanismo teatrale che alimenta una vera e propria recita tra gli ospiti e la maschera, con quest’ultima che deve per l’appunto evitare di farsi riconoscere. L’evento riesce a coinvolgere l’intera popolazione, tutti quanti indossano gli abiti tradizionali, e il suo valore rituale è percepito da tutti, anche da coloro che non parlano sappadino. Visto il notevole successo del carnevale, che attira turisti e persone dai paesi vicini, la figura del rollat è diventato l’emblema e uno dei simboli di Sappada.
Oltre al carnevale, un rito assai sentito dai sappadini è il già menzionato pellegrinaggio al santuario della Madonna Addolorata nel paese di Maria Luggau, nella regione austriaca della Carinzia. Il pellegrinaggio venne inaugurato nel 1804 da Gregorio Agaro, parroco di Sappada, in seguito all’espandersi di una terribile epidemia del bestiame. Il voto alla Madonna consisteva nel ripercorrere ogni anno questo cammino in cambio della fine dell’epidemia. La ricorrenza venne interrotta per qualche tempo durante la prima guerra mondiale e poi sospesa dal regime fascista, ridotta soltanto a pratica individuale. Venne definitivamente ripresa come rito collettivo e comunitario nel 1961, con cadenza annuale, alla vigilia della terza domenica di settembre, durando così fino ai giorni nostri. In pratica i sappadini, spesso accompagnati da qualche turista, ogni anno percorrono a piedi un tragitto di circa 9 ore su un sentiero che li porta in Austria. Con il passare degli anni il pellegrinaggio è diventata un’usanza culturale, non puramente religiosa, tanto che il cammino viene intrapreso anche da persone non credenti ma fortemente legate ai costumi sappadini. Non soltanto una tradizione paesana, dunque, ma un vero e proprio rito identitario, un simbolo distintivo della specificità locale.

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Il pellegrinaggio a Maria Luggau.

Musei e Associazione Plodar

Sappada conserva ancora con energia la sua particolarissima identità germanofona, integrata e arricchita da una serie di elementi provenienti dall’esterno grazie ai contatti con le altre realtà limitrofe. La posizione geografica strategica, a cavallo di Cadore, Carnia e Austria, ha portato a inevitabili scambi culturali che hanno contribuito all’attuale cultura sappadina, senza peraltro oscurare l’eredità delle origini.
L’identità tradizionale è ben rappresentata nei musei cittadini. Il Museo Etnografico Giuseppe Fontana, a Cima Sappada, è stato fatto costruire e successivamente allestito nel 1972 dal maestro Giuseppe Fontana il quale, preoccupato dal turismo che rischiava di compromettere la memoria storica locale, decise di raccogliere numerosi oggetti, come strumenti agricoli, casalinghi e d’uso quotidiano, da collocare nel museo per arginare la dispersione del patrimonio materiale.
Nel 2009 è stata inaugurata una nuova sezione per illustrare la storia geologica e paleontologica del territorio. Il museo propone oggi un itinerario completo che descrive sia l’ambiente naturale sia il patrimonio culturale della comunità: il visitatore può osservare l’unità organica dell’ambiente della valle, le specie vegetali e animali, la storia della popolazione fino ai giorni nostri e gli oggetti relativi alla vita domestica degli abitanti, attrezzi da lavoro e costumi tradizionali.
In borgata Cretta, la Casa-museo della Civiltà Contadina – completamento del Museo Etnografico – offre un’esperienza diretta delle abitudini e degli stili di vita tradizionali della famiglie: conserva ancora arredi originali e all’esterno è presente un orto dove si coltivano i cereali e le verdure che crescevano in passato nella valle.
Il Piccolo Museo della Grande Guerra, fondato nel 2002 in borgata Bach, nasce dal desiderio di onorare il territorio in cui nasce il “sacro” Piave, e soprattutto i valorosi che si batterono in questa zona durante il primo conflitto mondiale. Si possono ammirare tutti gli oggetti bellici rinvenuti nei pressi di Sappada durante gli scontri tra italiani e austriaci.
Ben integrata nel tessuto sociale cittadino e di fondamentale importanza per l’identità locale è l’Associazione Plodar – Germanofoni di Sappada, massima espressione della tutela e valorizzazione della lingua sappadina e dell’intero patrimonio culturale. Istituita nel 1995, “ha lo scopo di contribuire alla conservazione e allo sviluppo della cultura locale sappadina in tutte le sue forme, con particolare riferimento alla lingua, alle tradizioni, ai costumi e alle usanze. Provvede alla realizzazione di molteplici iniziative, tra le quali la tutela, il recupero, la conservazione e la valorizzazione di testimonianze storiche che legano la comunità al proprio territorio, beneficiando dei contributi della legge regionale 73/94 sulle minoranze linguistiche”.
Avvalendosi dei servigi di esperti collaboratori, l’associazione promuove la ricerca storica e linguistica e s’impegna nella pubblicazione di studi, ricerche e documenti. Il suo presidente, Valerio Piller Roner, sottolinea come negli ultimi anni si sia scelto di andare oltre la pura conservazione della lingua, processo finora importantissimo ma che va sostenuto con iniziative più ampie per evitare di legarsi troppo all’aspetto folcloristico-museale. Nel 2010, Plodar ha cominciato a organizzare lezioni di sappadino presso la scuola dell’infanzia e la secondaria, mentre dal 2014 è stato reintrodotto ufficialmente l’insegnamento della lingua e della cultura sappadina nelle scuole.
Fortunatamente, spiega Piller Roner, l’atteggiamento dell’intera comunità, giovani compresi, nei confronti della lingua è mutato, in particolare rispetto alla seconda metà del Novecento quando, nel pieno del processo di italianizzazione, parlare sappadino non solo era severamente vietato a scuola ma veniva da molti considerato una vergogna.
L’Associazione garantisce inoltre il proprio aiuto all’amministrazione per la gestione dei musei locali e la realizzazione di progetti finanziati dalla legge 482/99 per la tutela delle minoranze linguistiche storiche. Nel 2013, per esempio, Plodar ha affiancato il comune nell’organizzazione di un progetto sull’abbigliamento sappadino tradizionale, frutto di una minuziosa ricerca che ha portato alla codifica in un volume di diversi tipi di abiti da lavoro e festivi. Per i bambini sono invece stati realizzati libretti e dvd in lingua della Pimpa per avvicinarli con i mezzi a loro più familiari.


Marcella Benedetti e Cristina Kratter hanno scritto e pubblicato il nuovo vocabolario del dialetto sappadino per far fronte all’esigenza di uniformarne la scrittura, producendo uno strumento di facile consultazione. Di notevole interesse è anche il documentario I Plodar – una minoranza germanica in cerca di futuro, che descrive la genesi, la storia, le tradizioni e le usanze dei sappadini con una narrazione che si estende nel corso di un anno e si concentra anche sugli eventi più significativi come il carnevale e il pellegrinaggio al santuario di Maria Luggau.
Plodar partecipa all’organizzazione stessa del carnevale sappadino al fine di proseguire la tradizione con notevole attenzione alle generazioni più giovani, e da anni organizza in collaborazione con l’Università di Padova il Convegno di Dialettologia, terreno fertile per confronto e dibattito sui dialetti tra cui ovviamente quello locale.
L’Associazione Plodar fa parte del Comitato Unitario delle Isole Linguistiche Storiche Germaniche in Italia, creato nel 2002, insieme ai rappresentanti di altre comunità alpine come walser, cimbri e mocheni.

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Attrezzi da lavoro tradizionali esposti nel Museo Etnografico Giuseppe Fontana.

Dal Veneto al Friuli

La vicenda politica del trasferimento di regione è stata assoluta protagonista a Sappada negli ultimi mesi: a quasi dieci anni dal referendum, il governo ha approvato il passaggio del comune dal Veneto al Friuli Venezia Giulia. In questi anni tanto si è detto e tanto si è discusso su questa iniziativa e sulle sue reali motivazioni, con posizioni assai diversificate. Non esiste unanimità di opinione neppure riguardo agli eventi storici che avrebbero determinato una maggiore o minore influenza su Sappada di una o dell’altra area.
Indiscutibile è l’iniziale appartenenza al Patriarcato friulano di Aquileia, seguita dal passaggio alla Repubblica di Venezia. Il legame con le due sfere di influenza (Cadore veneto e Carnia friulana) esiste certamente: infatti, dopo un iniziale periodo di relativo isolamento, i contatti con l’esterno sono stati frequenti. Approfondendo la questione, emerge tuttavia come, secondo documenti storici, Sappada fosse dipendente dalla gastaldia della Carnia e, anche al momento della caduta del Patriarcato e del passaggio sotto la Serenissima, abbia continuato a rimanere sotto tale giurisdizione per secoli, durante il dominio veneziano, franco-napoleonico e successivamente austriaco, fino all’effettivo passaggio, nel 1852, alla provincia di Belluno, probabilmente appoggiato da diversi capifamiglia locali.
È importante sottolineare come, pur incorporato dalla provincia veneta, il comune abbia mantenuto stretti legami con la Carnia e il Friuli: la Parrocchia di Sappada ha continuato a far parte della Pieve di Gorto, appartenente alla Diocesi di Udine, con i sacerdoti che pertanto provenivano dalla Carnia. Fatto non trascurabile se si considera la rilevanza che per secoli ha avuto, anche in epoca moderna, l’aspetto religioso nella vita e nella cultura sappadina.
Anche in àmbito sportivo, la squadra locale di calcio milita nel campionato carnico e le squadre di sci cittadine sono aggregate al Friuli Venezia Giulia. È quindi estremamente complicato stabilire con certezza un maggiore legame con una zona rispetto a un’altra, andando a pesare col bilancino quanto Sappada possa considerarsi più veneta o friulana, connessa più al Cadore o pià alla Carnia… senza contare che la quasi totalità dei sappadini si riconosce in un’identità propria, singolare.
Il procedimento istituzionale ha preso avvio nel luglio 2007 allorché l’amministrazione comunale, in seguito a una richiesta sottoscritta da oltre 400 cittadini, indisse un referendum per il passaggio dalla Regione Veneto al Friuli Venezia Giulia. Le motivazioni espresse dai cittadini adducevano principalmente, a seconda dei diversi promotori, motivazioni di carattere geografico, storico e culturale. Le consultazioni si tennero il 9 e 10 marzo 2008 con esiti nettissimi: su un totale di 1199 aventi diritto di voto, si recarono alle urne 903 elettori (75,3%) di cui addirittura il 95% si espresse a favore del sì. Dunque, 860 si dichiararono favorevoli all’entrata nella regione a statuto speciale, 41 invece contrari, più una scheda nulla e una bianca: un risultato eloquente e plebiscitario.
Cominciò un iter legislativo, rivelatosi piuttosto lungo, per determinare il definitivo trasferimento. Il passaggio di un comune da una regione a un’altra è possibile in quanto regolamentato dal secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione:

Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.

Il passaggio deve essere poi normato dalla legge 352 del 1970 che ne stabilisce procedimento e tempi: l’esito del referendum deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale entro 60 giorni e il ministero degli Interni deve proporre un disegno di legge sulla questione da votarsi in parlamento. Questa trafila è stata applicata anche per Sappada, che ha tuttavia rappresentato il primo caso nazionale di comune staccatosi da una regione a statuto ordinario per approdare a un’altra a statuto speciale. Il 18 marzo 2009 il Consiglio provinciale di Udine ha approvato il passaggio e anche il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia (23 novembre 2010) e quello del Veneto (28 giugno 2012) hanno espresso il loro parere favorevole. L’8 gennaio 2014 è stata invece la volta della Commissione parlamentare per le questioni regionali a dichiararsi d’accordo. Si è così giunti al 20 settembre 2017, quando il Senato della Repubblica ha espresso parere positivo con 168 voti contro un unico contrario e 8 astensioni. La palla è passata alla Camera dei Deputati che ha sancito il trasferimento con l’approvazione del disegno di legge il 22 novembre scorso, con 257 voti favorevoli, 20 contrari e 74 astenuti (appartenenti soprattutto a Forza Italia, MDP e Direzione Italia). Nei primi giorni di dicembre, precisamente il 5, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la legge sul distacco di Sappada e il passaggio al Friuli, mettendo la parola fine alla decennale questione. La Legge è quindi stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; il 1° gennaio è stato rilasciato il nuovo codice Istat: Sappada può ufficialmente considerarsi friulana, in provincia di Udine.

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La posizione del comune di Sappada nella regione Friuli Venezia Giulia.

Nonostante il travolgente successo del referendum 2008, nel corso di questi dieci anni sono state numerose le voci contrarie. Ad accomunarle sono le motivazioni di base: i detrattori sostengono che le ragioni del trasferimento non siano riconducibili ai citati fattori storico-culturali, ritenuti marginali, ma piuttosto alle maggiori opportunità garantite da una regione a statuto speciale. Il Friuli Venezia Giulia erogherà infatti sovvenzioni e finanziamenti regionali per le zone di alta montagna, permettendo di sistemare i cinque impianti cittadini da anni in crisi, dando quindi nuovo impulso al turismo locale. L’opportunismo economico-finanziario viene quindi considerato da molti contrari al referendum la principale motivazione. Il sindaco Manuel Piller Hoffer ha ringraziato cittadini e istituzioni definendo questo un momento storico frutto di una ferrea volontà della popolazione e del Comitato, dichiarandosi pronto a collaborare immediatamente con tutti gli enti locali per garantire celerità ed evitare qualsiasi disagio nelle operazioni di passaggio. Si è inoltre detto convinto che Sappada possa rappresentare un grande valore aggiunto per il Friuli Venezia Giulia.
Altre reazioni non si sono fatte attendere.
Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli ed esponente del Partito Democratico, ha apertamente sostenuto il trasferimento come un atto dovuto di fronte a un’appartenenza identitaria, linguistica e culturale molto radicata.
D’altre vedute è ovviamente il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, il quale pur accettando la decisione non crede che le ragioni del trasferimento poggino davvero su considerazioni identitarie e culturali, ma piuttosto economiche: come mai – si è chiesto – tutti i comuni desiderosi di cambiare regione hanno fatto domanda di accorpamento a Trentino o Friuli, regioni a statuto speciale, e non a Lombardia o Emilia Romagna? Inoltre, Zaia si è detto preoccupato per un possibile effetto domino da parte di località come Cortina d’Ampezzo.
Abbiamo raccolto anche i pareri di chi vive quotidianamente la realtà sappadina, scoprendo ulteriori possibili motivazioni. Per esempio, risolutamente contraria è la posizione di Massimiliano Pachner, ex sindaco di Sappada, assessore e vicepresidente emerito della Provincia di Belluno, il quale a partire dal 2008 aveva espresso il suo disaccordo con la volontà dei referendari, sostenendo che la consultazione fosse stata indotta soprattutto dai proprietari degli impianti sciistici a causa della crisi del settore: un voto di protesta contro le tasse, in particolare contro la disparità di trattamento tra le diverse zone di montagna a seconda delle regioni d’appartenenza.
Motivazioni quasi esclusivamente di carattere economico-finanziario, dunque, senza alcuna spinta etno-culturale. Anzi, Pachner si è battuto con forza per smontare la teoria che vede Sappada maggiormente legata alla Carnia friulana, definendola addirittura un falso storico. Le sue idee hanno avuto eco su diversi quotidiani locali, dalle cui pagine ha dichiarato che il tanto ostentato ritorno al Friuli è un ingannevole errore in quanto “fino alla fine del 1700 abbiamo fatto parte tutti quanti, Friuli e Veneto, prima del Patriarcato di Aquileia e poi della Serenissima Repubblica Veneta”; spiegando come, secondo lui, il rapporto con Venezia sia sempre stato fortissimo sul piano civile, tanto che le contese private e pubbliche che insorgevano nel comune venivano sempre esaminate da giudici inviati dal tribunale della Repubblica di Venezia. 4)
Inoltre, nel 1776 il doge Mocenigo aveva fatto costruire la strada San Marco che passava per Sappada, dove venne collocato un cippo, attualmente a lato del municipio comunale, recante la scritta “fine Cadore”, legando simbolicamente la località a quel territorio veneto di cui rappresenterebbe l’estrema propaggine. Pachner avvalora l’ipotesi secondo cui il passaggio, avvenuto nel 1852, dal Distretto di Rigolato a quello di Auronzo deve essere stato evidentemente voluto dagli stessi sappadini. Inoltre, guardando l’ambito economico, “Sappada ha sempre gravitato lungo l’asse del Piave. Pensiamo solo ai commercianti di legname che attraverso lo sbarramento di borgata Lerpa inviavano i tronchi verso Pesarolo e le segherie di Castellavazzo e Longarone per prendere poi la via di Venezia”. 5)
In tempi recenti, Pachner si è anche reso protagonista di una raccolta firme per tentare di bloccare e annullare l’esito della decisione referendaria e il distacco dalla provincia di Belluno: vi hanno aderito circa 230 persone, le cui firme non sono però bastate a ribaltare la situazione. L’ex sindaco ha più volte ribadito che non sarebbe stato per nulla conveniente traslocare in Friuli, dal momento che le leggi delle due regioni sono per loro natura differenti: sanità, urbanistica, tutela ambientale e paesaggistica, commercio, turismo, artigianato, agricoltura… tutte differenze cui Sappada dovrà adeguarsi in un processo burocratico che – ritiene Pachner – bloccherà Sappada e ne sconvolgerà le abitudini. Tanto da dirsi convinto che se il referendum venisse ripetuto, dopo 10 anni, il risultato sarebbe completamente differente.
Anche per Ettore Beggiato, storico della Serenissima e patriota veneto – già consigliere e assessore regionale e della provincia di Vicenza – le principali ragioni che hanno alimentato la vicenda referendaria e il trasferimento di Sappada vanno ricercate prevalentemente nella sfera economica, nei benefici finanziari e fiscali assicurati dallo statuto speciale. Non questioni etno-culturali ma economiche e politiche. Beggiato considera una forzatura le dichiarazioni di legame identitario con il Friuli, pur ammettendo che il caso di Sappada è particolarissimo: la sua popolazione presenta davvero una specificità propria, è un’isola germanofona, ha tradizioni e usanze caratteristiche, in definitiva non è né veneta né friulana.
Beggiato si concentra poi sul “suo” Veneto sottolineando l’evidente difficoltà della regione, unica tra quelle italiane a essere contemporaneamente di confine e a trovarsi tra due altre a statuto speciale. Critica anche il generale disinteresse per la vicenda di Sappada che non ha particolarmente colpito il cuore del Veneto e dei veneti, laddove dovrebbe costituire un campanello d’allarme, un precedente che rischia di alimentare altri tentativi di “fuga” di città venete verso Trentino e Friuli.
Fondamentale è infine la testimonianza a riguardo di Piller Roner: il presidente dell’Associazione Plodar ci ha confermato che, al tempo, il miraggio delle sovvenzioni friulane a favore del turismo montano aveva senza dubbio tracciato la strada del referendum (che in epoche precedenti probabilmente non sarebbe stato indetto). Piller Roner ammette di guardare con curiosità all’evolversi della vicenda, augurandosi sopra ogni altra cosa il benessere della popolazione, a prescindere dall’appartenenza a Veneto o Friuli. Vista l’immediata azione legislativa della regione Friuli volta a disciplinare il trasferimento, è convinto che il passaggio non comporterà sostanziali disagi ai sappadini. Per quanto riguarda la questione identitaria, il presidente ha una posizione interessante: se si escludono fasi storiche primordiali, la popolazione di Sappada ha sempre perseguito, più che l’isolamento, la ricerca di contatti con le aree circostanti, sia venete sia friulane. Da qui i legami con entrambe le realtà, Cadore e Carnia, tra le quali è impossibile (e inutile) stilare una classifica. È vero – ammette – che l’appartenenza alla diocesi di Udine, con preti provenienti dalla Carnia, è stato un forte elemento di caratterizzazione, considerata la profonda (almeno un tempo) religiosità dei sappadini; ma resta il fatto che la popolazione locale ha uno spirito identitario autonomo, non collegabile ad altri: insomma, né veneti né friulani, ma sappadini.

Orgogliosamente sappadini

Il referendum, se non altro, ha alimentato analisi e riflessioni sui rapporti di quest’isola germanofona con le etnie contigue. Ma in sostanza a Sappada la gente non si sente né veneta né friulana, né cadorina né carnica, o bellunese o udinese, né tanto meno austriaca o tedesca, ma solamente e orgogliosamente “sappadina”. Parlando con gli abitanti abbiamo colto una profonda fierezza delle loro origini e l’amore per la loro terra.
La riappropriazione culturale degli ultimi anni – il carnevale, il pellegrinaggio, la ripresa linguistica, la riscoperta degli antichi mestieri – aiuta a contrastare la dispersione e rinforza lo spirito di comunità. L’obiettivo deve quindi essere non solo quello di conservare e tutelare questa specificità culturale, ma anche di valorizzarla al meglio: grazie al contribuito dell’Associazione Plodar, dell’amministrazione comunale e soprattutto di tutti i cittadini, Sappada si sta muovendo in questa direzione.

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N O T E

1) Sesis è la valle che, partendo dalla località di Cima Sappada, sale collegandosi al sito delle sorgenti del Piave. È circondata dal gruppo montuoso del Peralba-Chiadenis-Avanza, versante in cui si trovano quattro rifugi per gli escursionisti.
2) La pieve, chiesa con battistero annesso, nell’alto medioevo era al centro di una circoscrizione territoriale civile e religiosa, esercitava funzioni liturgiche e da essa dipendevano altre chiese e cappelle. Dal basso medioevo queste funzioni proprie della pieve vennero trasferite alla parrocchia. In Carnia esisteva un efficiente sistema territoriale organizzato sulle pievi, costruite a partire dal V secolo sotto la giurisdizione del patriarcato di Aquileia: sorgevano spesso su alture per controllare i fondovalle e le vie di comunicazione. Il loro ruolo di centro di gravità amministrativo, sociale e religioso iniziò a perdere importanza nella Carnia tra il XIV e il XV secolo, con l’edificazione delle parrocchie.
3) La Repubblica Libera della Carnia fu un’entità politica autonoma costituita dai partigiani della Carnia il 1° agosto 1944 e durata fino all’8 ottobre del medesimo anno a causa della controffensiva dei tedeschi aiutati da truppe fasciste. Come capitale venne scelto il paese di Ampezzo, in provincia di Udine.
4) Pachner, M., Ecco perché Sappada deve restare bellunese e veneta. Lettera aperta di Max Pachner, in “Gazzettino”, ottobre 2017.
5) Pachner M., La storia di Sappada non plaude all’accoglienza del Friuli Venezia Giulia, in “Cadore”, gennaio 2018.

Bibliografia

Christian Prezzi (a cura di), Isole di Cultura. Saggi sulle minoranze storiche germaniche in Italia, 2004, pp. 169-174.