Nel 2018, Afrin veniva sottoposta all’occupazione dei militari turchi e degli ascari jihadisti.
Da allora subisce ininterrottamente repressione, violazioni dei diritti umani e pulizia etnica.
È di questi giorni la notizia, diffusa dall’osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, dell’ennesimo scempio alla dignità umana. E, come spesso accade, anche stavolta la vittima è una donna. O peggio, una bambina di dieci anni violentata da Ehmed Memdûh (Ebû Deham), un comandante di Al-Sultan Suleiman Shah “Al-Amshat”, organizzazione jihadista sostenuta da Ankara.
Dopo aver commesso il delitto lo stupratore si sarebbe rifugiato a Kura, un villaggio del distretto di Jindires (località da dove potrebbe essersi già allontanato in quanto accolto dalla rabbiosa indignazione popolare).
Non è ovviamente il primo episodio del genere, come aveva ripetutamente dichiarato il comitato delle donne del cantone di Shehba, denunciando che “le donne sono le principali vittime delle forze turche e dei mercenari loro alleati i quali commettono crimini disumani nei confronti della popolazione curda di Afrin, con uccisioni, sequestri di persona e stupri”. E chiedendo alle organizzazioni internazionali di “prendere coscienza della gravità di tale situazione e di agire a protezione della popolazione civile di Afrin, vittima di questi odiosi crimini”.
Dello stesso tenore il comunicato dell’agenzia Mezopotamya secondo cui “questo stupro ai danni di una bambina non è il primo crimine commesso dalla Turchia e dalle gang sue affiliate contro le donne e i bambini in Afrin sotto occupazione. Stupri, massacri […] e sequestri di persona sono ormai ordinaria amministrazione. Afrin è occupata ormai da cinque anni e tali azioni disumane proseguono senza interruzione”.
Tra gli episodi più recenti, il sequestro in aprile di almeno tre civili nel distretto di Rajo e di Shera da parte della cosiddetta “polizia militare” (una forza paramilitare costituita da mercanti filo-turchi).
Si tratta di Hisên Mistefa Nûrî Hidik (43 anni) del villaggio di Dêrsewanê, di Mihemed Xelîl (36) originario di Meiriskê e di una terza persona, un trentenne pare, di cui non si conosce l’identità.
Sostituzione etnica
Prima dell’invasione turca il cantone di Rojava era abitato prevalentemente da curdi. Nel marzo 2018, nonostante l’eroica resistenza delle ypg/ypj, Afrin era ormai circondata, assediata, bombardata. In un attacco aereo veniva distrutto l’unico ospedale uccidendo 16 civili. Si calcola siano stati oltre 500 i civili di Afrin morti sotto i bombardamenti turchi, senza contare quelli assassinati dalle milizie jihadiste.
E nel frattempo nei distretti del cantone occupato prosegue la creazione di colonie per le famiglie dei mercenari filo-turchi, con l’evidente intenzione di mutare in maniera irreversibile la composizione demografica della regione.
È di questi giorni la notizia dell’inaugurazione nei pressi del centro di Afrin dell’ennesima colonia di 500 unità abitative denominata (come annunciato dal “consiglio locale” sottoposto agli occupanti turchi) “Al-Amal 2”. Opera finanziata con i fondi della cosiddetta “Ansar”, autorità internazionale di aiuto e sviluppo.
Nel 2021 un’altra colonia, “Terra di Speranza”, veniva realizzata nel villaggio di Kafr Kalbin, nell’area occupata di Azaz a nord di Alep, grazie al finanziamento della gestione turca delle catastrofi e delle urgenze e dell’organizzazione internazionale di aiuto “Anser”.
La colonizzazione turca dei territori siriani occupati era stata avviata fin dai primi momenti dell’occupazione. Già nel novembre 2018 a sud di Afrin nasceva il complesso abitativo “Al-Qarya Al-Shamiyya” (già nel nome destinato ai miliziani di “Al-Jabha Al-Shamiyya”). Al momento si calcola che le colonie di popolamento realizzate dalla Turchia siano almeno 25 (in soli cinque anni!).
E non va certo meglio per i curdi che vivono in Turchia. A Istanbul, il 2 maggio è stato assassinato Cihan Aymaz, musicista curdo e attivista di hdp. Sarebbe stato accoltellato da un fascista turco per essersi rifiutato di cantare l’inno Ölürüm Türkiyem (“io morirò per te, Turchia”). Il giorno dopo molti giovani, non solo curdi, che si erano riuniti per manifestare la loro indignazione venivano arrestati. Almeno due di loro sono stati anche torturati. Si tratta di Kafr Kalbin e di Muhammet İkto (militanti dell’assemblea giovanile del partito Yesil Sol).
Nella serata del 7 maggio veniva poi assassinato nel villaggio di Setkar (provincia di Şirnak) il militante curdo Temel Temel, parente dell’ex sindaco di Elkê. Un episodio che fa temere il ritorno dei famigerati squadroni della morte attivi in Bakur (Kurdistan del Nord, sotto occupazione turca) negli anni novanta. Forse riesumati in occasione della campagna elettorale.