Disponendo un archivio “etnico” notevole, risalente fino a 35 anni fa, avremmo l’opportunità – che probabilmente prima o poi sfrutteremo – di rispolverare i vecchi resoconti su minoranze e comunità minacciate per metterli a confronto con la situazione attuale. E allora facciamo un tentativo con una popolazione poco conosciuta, gli ainu del Giappone, i “bianchi” aborigeni dell’isola di Hokkaido. Ne parlavamo nel 1982 in un articolo di Italo Bertolasi che potete leggere qui.
Il racconto di Bertolasi descrive un gruppo ridotto a 15-20.000 individui, impoverito, privo di tutele e diritti, confinato in riserve. Come si è evoluta la loro condizione? In meglio o in peggio? Per capirlo, diamo un’occhiata al rapporto 2011 di Cultural Survival, organizzazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni. Secondo gli analisti di CS, il Giappone negli ultimi 20 anni ha compiuto qualche passo legislativo per riconoscere gli ainu come popolo indigeno e per eliminare la discriminazione razziale. Ma gli ainu vivono ancora ai margini della società, a causa della fortissima monoculturalità nipponica. I bambini subiscono discriminazioni nelle scuole, con conseguenti tassi elevati di abbandono e quindi opportunità di lavoro limitate. Esistono nuove leggi per proteggere la cultura ainu, ma la loro attuazione è insufficiente.
“Oggi gli ainu possiedono appena dieci per cento delle terre ancestrali, il che riduce la possibilità di dedicarsi alle occupazioni tradizionali. Il governo si è impegnato a tutelare la loro lingua, ma non l’ha inserita nei programmi scolastici. Poiché il sistema politico giapponese non contempla l’esistenza di minoranze, gli ainu non hanno alcuna forma di rappresentanza parlamentare”.
Le misure di tutela
Nel 1997, il Giappone ha promulgato l’Atto di promozione culturale ainu, che interrompe ufficialmente la discriminazione (condotta dallo Stato a partire dal 1899) e riconosce questo popolo come “minoranza etnica”. In esso si parla di promozione della cultura ainu, cioè lingua, musica, danza, artigianato “e altri aspetti culturali”. Ma non di autodeterminazione, territori aviti, rappresentanza politica o protezione dalle discriminazioni razziali.
L’Atto non ha cambiato di una virgola l’atteggiamento monoetnico della società giapponese. D’altronde la maggior parte dei cittadini nipponici sono convinti che gli ainu siano un ricordo del passato, un popolo ormai completamente assimilato. Lo si capisce dai discorsi degli stessi dirigenti dello Stato, quando definiscono il Giappone “un Paese omogeneo” (Bummei Ibuki, ministro dell’Educazione, 2007) con “una sola nazione, una sola civiltà, una sola lingua, una sola cultura e una sola razza” (Taro Aso, ministro degli Esteri, 2005).
Dichiarazioni governative che possono apparire offensive, ma non violano la legge giapponese. L’articolo 4 della Convenzione per l’eliminazione della discriminazione razziale, deliberata dall’Onu nel 1969, impone agli Stati di reprimere la diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale. Il Giappone, tuttavia, ha espresso riserve su questo articolo, accettando di rispettarlo soltanto quando sia compatibile con la tutela della libertà di riunione, di associazione e di espressione.
L’articolo 14 della Costituzione giapponese vieta bensì la discriminazione razziale, ma non esiste alcuna legge a cui singoli cittadini o gruppi discriminati possano appellarsi per ottenere giustizia. Come osserva Cultural Survival, questo vuoto legale in tema di discriminazione viola l’articolo 27 dell’International Covenant on Civil and Political Rights; l’articolo 5 della Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination; l’articolo 8 e lo spirito degli articoli 18 e 19 della dichiarazione Onu sui diritti dei popoli indigeni.
L’educazione e il lavoro
Anche se l’Atto di promozione prevede la tutela della lingua ainu, lo Stato non ha organizzato alcuna forma di educazione bilingue. Se in passato l’ostacolo era l’assenza di una scrittura, oggi l’ainu viene vergato in un misto di alfabeto latino e di caratteri katakana, l’alfabeto sillabico giapponese. Si stampano così vari dizionari ainu-giapponese, mentre le associazioni locali provvedono a organizzare corsi di lingua.
Secondo gli esponenti di questa comunità è la scuola il luogo di massima discriminazione. I bambini ainu sono spesso vittime di bullismo, emarginati dagli altri studenti e talvolta dagli insegnanti, sicché molti rinunciano prima del diploma superiore. Solo il 16 per cento dei giovani ainu di Hokkaido frequenta l’università, contro il 34 per cento complessivo nella prefettura.
In Giappone, pochi studenti apprendono qualcosa sulla colonizzazione del popolo ainu. In media, i libri di testo del liceo riportano appena due righe sull’argomento.
La discriminazione è diffusa anche nei luoghi di lavoro e nel mondo accademico. Attualmente, a Hokkaido il 57 per cento degli occupati ainu lavora nei settori primario e secondario, rispetto al 28 per cento della popolazione in generale. Molti contano su impieghi stagionali o a giornata, cosicché parecchi anziani non godono di pensioni o altri ammortizzatori sociali e sanitari.
Nessuna rappresentanza politica
Fino a oggi, c’è stato un solo parlamentare ainu in una Dieta Nazionale che conta ben 742 elementi: Shigeru Kayano, dal 1994 al 1998. Nel ‘97, Kayano ha effettuato un intervento in ainu a favore di una nuova legge per proteggere i diritti della sua gente. Il suo successivo appoggio all’Atto di promozione è il primo caso di dibattito politico serio sugli ainu al di fuori della prefettura di Hokkaido. Purtroppo, al termine del suo mandato nessun connazionale ha potuto prendere il suo posto, e l’attuale mancanza di rappresentanti politici a Tokio non fa che peggiorare la situazione della minoranza.
Diritti fondiari e territoriali
Nel corso degli anni, le proprietà terriere ainu si sono ridotte al punto che, oggigiorno, soltanto il dieci per cento di loro vive nelle terre dei propri antenati. La costruzione della grande diga di Nibutani, terminata nel 1997, pur nelle sue tragiche conseguenze materiali ha dato un notevole risalto alla questione dei diritti territoriali della minoranza. Il progetto ha comportato l’allagamento di Nibutani, una delle poche città in Giappone a maggioranza ainu (70 per cento). Sono così andati perduti luoghi sacri e sepolture, compreso il sito del chipsanke, il varo rituale delle imbarcazioni.
La diga ha creato divisioni all’interno della comunità, laddove molte famiglie hanno accettato di cedere le proprie terre al governo spinte dalla povertà. Senza contare la fine della migrazione dei salmoni, tradizionale fonte di cibo per gli abitanti.
Gli ainu non furono interpellati né servirono le petizioni per fermare i lavori. Solo dopo la costruzione, la Corte distrettuale di Sapporo stabilì che le espropriazioni erano illegali. Ma, trattandosi di opera di pubblico interesse, secondo i giudici la diga non poteva essere distrutta.
L’unico aspetto positivo della sentenza fu che, successivamente, allorché si dovette costruire una seconda diga nella regione, le autorità interpellarono i rappresentanti per contenere i danni ambientali e culturali.
La conclusione? A distanza di 32 anni la sorte del popolo ainu non sembra essere migliorata granché…