Al 48esimo comunicato stampa di Amnesty International, sempre sullo stesso argomento, a uno cominciano a girare le cosiddette e, invece di lasciar perdere, come sarebbe più saggio fare, viene voglia di rispondere malamente. Il comunicato, diffuso da Istituto Nazionale per la Comunicazione, inizia così:

Buongiorno, per un italiano su 2 la tortura nel nostro Paese non esiste, una realtà riconosciuta solo dal 33% degli intervistati (un restante 17% non sa).
Eppure, la mancanza di rispetto per i più elementari diritti umani viene vissuta dei nostri connazionali come una materia importante su cui intervenire. A tal punto che ben sei italiani su 10 sono favorevoli all’introduzione nel nostro ordinamento di uno specifico reato di tortura. É la fotografia scattata da un’inedita indagine realizzata da Doxa per Amnesty International che interroga gli italiani sul tema dei diritti umani.

Be’, Istituto, complimenti per la comunicazione. Accenti sbagliati a parte, non ti viene in mente che la prima reazione del lettore medio (compreso chi scrive) alla frase “per un italiano su 2 la tortura nel nostro Paese non esiste” è la domanda: “perché… esiste???”. Ora, che l’immenso oceano di organizzazioni mainstream se ne inventi una al giorno – generalmente in difesa di chi tirando un cazzotto si è sbucciato la nocca – è ormai un modo di vivere; ma se si vuole fare comunicazione anche inventata ma ben fatta, sarebbe il caso di cominciare dall’inizio. Per esempio: “Lo sapevate che in Italia vige la tortura? Purtroppo lo sa soltanto un italiano su 2, eccetera”.
Solo più avanti il comunicato tenta di spiegare tecnicamente come e perché l’ordinamento preveda l’utilizzo del martirio: “I fatti di Bolzaneto al G8 di Genova, le torture inflitte a Stefano Cucchi e l’assassinio di Giulio Regeni”. E al lettore medio sorgono alcuni dubbi. Tolto Regeni, cui in Italia non è stato torto un capello, per Bolzaneto e Cucchi il vocabolario ha pronto un termine apposito: maltrattamento. Si poteva usare anche aggressione, violenza, persino assassinio. Ma “tortura” ha un altro significato, e le menti di Amnesty lo sanno benissimo e ci giocano: sarebbe il sistema diffuso e accettato nelle carceri di un regime per punire i suoi nemici e costringerli a confessare atti o rivelare piani e complicità. Risulta ad Amnesty International che le frange violente della cosiddetta sinistra (poiché non ne esistono altre), catturate dopo aver aggredito forze dell’ordine, bruciato arredi urbani e auto di operai, distrutto botteghe, lanciato molotov, minato cantieri, eccetera, vengano torturate in carcere? No, anche perché non ci passano manco un giorno.

 

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