Deforestare, sradicare, abbattere alberi – di questi tempi poi – appare come una sorta di coazione a ripetere con tratti probabilmente patologici. Roba da cupio dissolvi, autodistruzione…
Ovviamente non è un problema che affligge solo il Vicentino o il Veneto. Piuttosto una tragedia universale, oltre che epocale, drammaticamente in atto a ogni latitudine. Dalla Bretagna (emblematica la resistenza vittoriosa condotta a Notre Dame des Landes) alla Turchia (vedi Gezi Park, forse vi ricordate di Berkin Elvan e di Ayse Deniz Karacagil…), dalla California (mi dicono che Julia Butterfly Hill, la militante di ef! rimasta per 738 giorni sulla sequoia Luna, non sta tanto bene di salute) all’Amazzonia per cui si era sacrificato Chico Mendes…
Ma vivendo in questa “terra desolata” rivestita di cemento e contaminata da schifezze come poche, fatalmente il pensiero va soprattutto alla nostrana landa familiare irreparabilmente devastata dal “progresso”.
Ricordando anche qualche episodio del passato come il salvataggio di alcuni platani secolari, tre su quattro, in viale Margherita (nel 1989, interponendosi fisicamente alle motoseghe), o delle querce ultracentenarie nei pressi della collina di Montruglio (dicembre 2016). Arrivati purtroppo quando tre roveri erano già stati abbattuti, riuscimmo tuttavia, protestando vigorosamente e sollecitando l’intervento delle autorità – fino ad allora latitanti e indifferenti – a impedire l’abbattimento di quelle superstiti, una decina.
Brandelli di memoria riemersi prepotentemente grazie alla nobile, disinteressata e doverosa presa di posizione, non solo verbale, dei giovani e non coagulati intorno all’esperienza – evidentemente ben radicata sul territorio – del Bocciodromo e del Caracol Olol Jackson. Certo l’occupazione del Bosco Lanerossi è un evento di ben maggiore portata rispetto alle nostre modeste azioni di qualche anno fa (talvolta addirittura individuali).
Ma forse le piattaforme, i camminamenti aerei (intesi a impedire l’abbattimento degli alberi) e le future prevedibili barricate, realizzati in stile “Notre Dame des Landes” nei due boschi urbani del quartiere dei Ferrovieri (Bosco Lanerossi e Bosco Cà Alte) in qualche modo rappresentano forse una continuità e il “superamento” di iniziative più modeste, spontaneiste e “artigianali” “(come l’aggrapparsi semplicemente al tronco dell’albero nel mirino delle motoseghe o delle ruspe) da noi applicate in passato a Vicenza e dintorni.
Vi riconosciamo comunque la medesima “linea di condotta”. Quella di salvare almeno il salvabile: ogni albero e ogni bosco scampato alle impietose e bronzee leggi del mercato e dello sfruttamento.

Bosco Lanerossi: un’area di circa 11.000 mq all’interno del sito della ex Lanerossi che oggi ospita un bellissimo bosco ed ecosistema. Il progetto ne prevede il completo disboscamento per creare un sito industriale e per il passaggio della nuova strada dell’Arsenale. Un simile ecosistema una volta abbattuto non è ricreabile dall’uomo compensando con la piantumazione di altri alberi.

Come ci ricordano gli attivisti vicentini, il Bosco Lanerossi nasce nell’area del parco dell’ex Pettinatura Lanerossi, sorta nel 1925 e chiusa nel 1994. Un’area piuttosto ampia di circa 60mila metri quadri, che proprio a causa del cosiddetto “abbandono” (come se la Natura avesse bisogno della nostra assistenza) ha potuto ritornare allo stato primordiale. In un trentennio la vegetazione, con molti alberi monumentali, ha potuto prosperare. Con almeno 75 specie vegetali (27 arboree, 16 arbustive, e una trentina tra erbe selvatiche e rampicanti) già identificate (olmo, gelso, pioppo, robinia, bagolaro, ontano, prugnolo, sambuco, sanguinella, pyracantha, rosa canina…). Oltre ad alcune piante monumentali, presumibilmente in passato destinate all’area giardino, come l’ormai ben noto Liquidambar accompagnato da esemplari di Lagerstroemia plurifusto, Photinia, Chamaeciparis e due cedri dell’Atlante.
Si è consentito così il ripristino di una biodiversità anche faunistica quanto mai varia: dal tasso al capriolo, dal picchio verde al moscardino (o forse il ghiro), dai tritoni (!) a una eterogenea pluralità di anfibi ormai difficilmente riscontrabili nei nostri territori devastati e ricoperti di cemento. Oltre a un gran numero di invertebrati di vario genere”.
Per non parlare di ricci, merli, cinciallegre, cinciarelle, fringuelli, peppole… almeno qui al sicuro dagli sparatori seriali, i quali oltretutto vorrebbero reintrodurre cacce in deroga e rocoli per la cattura dei volatili da richiamo.
Nelle intenzioni di rfi e di Iricav Due, a cui è affidata la progettazione e realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità, tale reperto naturale doveva essere abbattuto. Ma provvidenzialmente il 3 maggio 2024 è stato occupato dagli ambientalisti riuniti nel collettivo Cast. Da allora migliaia di cittadini di Vicenza hanno potuto visitarlo, conoscerlo, innamorarsene.

Bosco di Cà Alte: area di circa 14.000 mq che si sviluppa lungo la sponda ovest del Retrone che oggi ospita un bosco e un prato. Con il progetto TAV verrà completamente disboscata e impermeabilizzata. Il progetto comprenda anche una sopraelevata che solcherà il cielo di Via Maganza.

L’altro bosco planiziale, quello denominato di Cà Alte, rappresenta un’area di circa 14mila metri quadri e si colloca lungo la sinistra orografica del fiume Retrone. Con il progetto tav verrebbe ugualmente disboscato, raso al suolo e impermeabilizzato per trasformarlo in parcheggio per i camion e deposto di materiali. Oltretutto solo provvisoriamente, un “cantiere accessorio” per la durata dei lavori per la tav.
Per non parlare della prevista oscena sopraelevata che verrebbe ingombrare il cielo sopra via Maganza.
Inevitabile per chi scrive riandare a quando, ormai 30 anni fa, perlustrammo, tra fanghiglia, bisce e sorci, la riva sinistra del Retrone per lanciare la proposta di un “parco fluviale” (ispirati da quelli visti in Germania, in particolare a Pforzheim, dal 1991 gemellata con Vicenza). All’epoca avevamo suggerito di collegare anche questa area, già allora incontaminata e selvaggia, utilizzando il passaggio sotto il ponte. Ora per fortuna – e dimostrando sicuramente maggiori capacità organizzative – ci hanno pensato gli ambientalisti e i cittadini dei Ferrovieri. Considerato che “destinare spazio alla vita non umana salverà l’umanità”, per impedire la distruzione di queste due preziose riserve biogenetiche sono state raccolte oltre 20mila firme.
La sera del 30 maggio, partendo dal Bosco Lanerossi e arrivando a quello di Cà Alte, si è snodata una partecipata fiaccolata (presenti gran parte delle associazioni ambientaliste vicentine) per chiedere il salvataggio di entrambe le aree boschive. In precedenza, il 19 aprile e il 4 maggio, gli attivisti avevano rimosso le reti arancioni installate per delimitare le previste aree di cantiere.
Alla difesa dei due boschi stanno dando il loro contributo anche altre associazioni. In particolare l’enpa vicentina che in quello di Cà Alte ha inviato le sue guardie zoofile, guidate dall’ispettore regionale Renzo Rizzi, per un sopralluogo, utilizzando apposite piattaforme per controllare la presenza e la situazione dei nidi. Richiamandosi a una direttiva europea per cui è vietato abbatter alberi nel periodo della nidificazione: da marzo ad agosto (ma per alcune specie come i merli la forbice si allarga).
Da parte sua Legambiente vicentina è intervenuta raccogliendo oltre 200 chili di immondizie all’interno del Bosco di Cà Alte (utilizzato suo malgrado anche come discarica in passato).
In un intervento del wwf si sottolineava che in quanto boschi spontanei sono sicuramente molto più resistenti ai cambiamenti climatici (per inciso: assisto in questi giorni all’improvviso  disseccamento di molti esemplari di olmi isolati nei campi, mentre sembrano resistere quelli interni a boschetti e siese). Ricordando anche come Vicenza sia sempre più esposta a fenomeni alluvionali per cui cementificare queste aree in prossimità dal fiume Retrone potrebbe essere quantomeno controproducente. Oltre al fatto che gli alberi rappresentano uno dei pochi, se non l’unico, strumento efficace per ridurre le polveri sottili.
In vista delle prevedibili reazioni delle autorità, nel villaggio di Asterix sorto tra i rami e le frasche regna la calma, ma la resistenza è in attesa. Forse delle ruspe, forse di una presa di coscienza da parte delle amministrazioni locali. Per esempio, si potrebbero espropriare e rendere patrimonio pubblico le due aree per ragioni di salute pubblica.