Considerazioni sulle trattative tra governo e PKK

Pare assodato che l’iniziale proposta delle attuali trattative tra governo e movimento curdo – che per ora ha prodotto lo smantellamento del pkk – sia partita da Devlet Bahceli.
Per alcuni osservatori ciò potrebbe costituire una garanzia della buona fede del governo turco, ma personalmente mantengo qualche riserva in proposito (o se volete “malcelato scetticismo”). Il personaggio è infatti noto non soltanto in quanto leader del movimento della destra nazionalista mhp (Milliyetçi Hareket Partisi, alleato di Erdogan), ma anche come uno dei fondatori dei famigerati Lupi Grigi (Ülkücüler).

Devlet Bahceli fa il segno dei Lupi Grigi.

Comunque sia in un’intervista del 10 agosto, commentando l’appello per la pace e una società democratica di Abdullah Öcalan (27 febbraio 2025), Devlet Bahceli ha dichiarato che “la distruzione delle proprie armi da parte del pkk è un passo positivo”, ribadendo che i popoli della Turchia “sono un tutto indivisibile”, garantendo che il suo partito (mhp) “continuerà a lavorare sinceramente per la realizzazione di un clima di pace” e auspicando che il processo si concluda “entro la fine del 2025”.
Permane comunque il fondato il timore che si finisca con l’assistere al ripetersi del fallimentare copione del 2015. Se non peggio. In particolare per le incognite sul destino dei militanti del pkk e di migliaia di prigionieri politici curdi.
Anche se – va detto – diversamente da quanto accadeva nel 2015, praticamente tutti i partiti sia turchi sia curdi (con qualche eccezione nell’estrema sinistra rivoluzionaria) si sono pronunciati per un accordo tra “belligeranti”, per convinzione o per forza. Accomunati dalla necessità di risolvere una situazione economica e politica sempre più deteriorata.
Volendo cercare qualche segnale positivo, va segnalata la recente liberazione dopo 31 anni e tre mesi, con l’aggiunta di un anno all’effettiva pena di 30 anni, del prigioniero politico curdo Veysi Aktaş, considerato un dirigente del pkk e finora segregato nell’isola-prigione di massima sicurezza di tipo F di Imrali (dove è rinchiuso anche Ocalan).
Il 7 agosto poi è tornato in libertà dopo 15 anni il militante curdo Abdülkerim Varışlı. Rinchiuso nel carcere di tipo S di Samsun Kavak, anche la sua pena era stata prolungata di sei mesi a causa della “cattiva condotta” (nonostante sia seriamente malato). Il suo ritorno è stato festeggiato con fiori e colombe bianche da un gran numero di persone nel quartiere di Cizîr a Şirnex.
Meno del minimo sindacale, d’accordo, ma pur sempre meglio che niente.
Anche se poi, l’8 agosto, è arrivato un segnale di segno opposto. Il consiglio di amministrazione e osservazione del carcere di tipo F di Bolu ha – per l’ennesima volta – respinto la liberazione di cinque prigionieri politici.
La liberazione di Ahmed Mustafa è stata così bloccata per la quinta volta, quella di Hasan per la quarta, di Tuncay Doğan per la terza. Mentre per Keyfo Başak e Nurettin Ataman siamo a sette volte ciascuno. Un prolungamento della pena dovuta al rifiuto dei prigionieri di scambiare la liberazione con il pentimento.
E dato che nelle galere turche non ci sono soltanto dissidenti e ribelli curdi, ricordo che il 31 luglio il prigioniero Serkan Onur Yilmaz annunciava di trasformare il suo sciopero della fame (iniziato il 10 novembre 2024) in digiuno fino alla morte. Militante della sinistra rivoluzionaria turca, Serkan protestava contro le celle denominate “pozzo” (o “fossa”) tristemente note per costringere i detenuti in condizioni disumane, oltre che di assoluto isolamento. Con le stesse rivendicazioni altri otto militanti della sinistra rivoluzionaria (Mithat Öztürk, Ali Aracı, Ayberk Demirdöğen, Fikret Akar, Ümit Çobanoğlu, Fırat Kaya, Tahsin Sağaltıcı e Gürkan Türkoğlu) sono entrati ugualmente in sciopero della fame.