Novembre 2016, anno bisestile, Stati Uniti in fermento, è tempo di elezioni presidenziali. Martedì 8 infatti l’ex First Lady Hillary Clinton, candidata del Partito Democratico, e il magnate newyorchese Donald Trump, candidato per il Partito Repubblicano, si sfideranno contendendosi la Casa Bianca in quella che si preannuncia un’intensa battaglia elettorale, capitolo finale di uno scontro che, in particolare nelle ultime settimane, si è ulteriormente infuocato.
I sondaggi dànno in vantaggio la Clinton, grande favorita dall’inizio della campagna, ma la partita è da considerarsi ancora aperta: ce la faranno i democratici a ottenere il terzo mandato presidenziale consecutivo? oppure riuscirà incredibilmente a spuntarla Trump, la cui candidatura all’inizio delle primarie non era stata presa troppo sul serio? Staremo a vedere.
Di sicuro è interessante dare un’occhiata alla carta degli Stati Uniti per analizzare la geografia dell’elettorato americano, concentrandoci sulle diverse tendenze di voto – determinate principalmente da motivazioni socio-demografiche – nelle diverse macro-aree del Paese. A partire dagli anni Novanta, infatti, il comportamento elettorale statunitense è andato sempre più radicalizzandosi a livello territoriale e, in particolare negli ultimi anni, abbiamo assistito a una polarizzazione politico-territoriale che vede aree marcatamente democratiche, contrapposte ad altrettante strenuamente repubblicane, dipingendo il quadro di una realtà nazionale divisa a metà. Ma quali sono dunque le tendenze delle diverse macro-aree? E perché determinate regioni sono solite votare in maniera compatta per i democratici, mentre altre per il Partito Repubblicano?
Negli ultimi decenni si è consolidata la tendenza dei cittadini del Northeast a votare per il Partito Democratico, contrapposti a quelli del South che invece si schierano saldamente con i repubblicani. Il West presenta una netta differenza tra gli Stati costieri, interamente favorevoli ai democratici, e quelli interni di montagna, maggiormente inclini a votare repubblicano. Il Midwest è la macro-area politicamente più combattuta, quella che comprende il maggior numero di Swing-States, o Battleground States, i cosiddetti “Stati in bilico” la cui assegnazione risulta decisiva per la vittoria finale.
Tuttavia queste tendenze macro-regionali non hanno origine secolare, ma dipendono molto dalle contingenze demografico-territoriali e sono anche lo specchio dell’evoluzione dei partiti stessi che hanno più volte mutato la propria natura e struttura. È infatti necessario precisare come le posizioni ideologiche dei due principali partiti statunitensi non siano rimaste identiche dalla loro fondazione, cristallizzate nei secoli, ma siano mutate nel corso della storia. Attualmente il Partito Democratico è fondato su un’ideologia liberale e progressista, collocandosi – per usare la terminologia europea – nel centro-sinistra; il Partito Repubblicano è invece più conservatore e tradizionalista, schierandosi a destra e centro-destra: ma non è sempre stato così. Prima di analizzare nel dettaglio le tendenze elettorali delle differenti aree del Paese è quindi opportuno fare un excursus storico sui due partiti.
Storia di due partiti
L’origine del Partito Democratico è da ricercarsi nel Partito Democratico-Repubblicano fondato da Thomas Jefferson nel 1782, rivolto principalmente a una democrazia di piccoli proprietari terrieri che volevano cercare fortuna nel West e, di conseguenza, contrapposto al Partito Federalista che era invece l’espressione del potere finanziario e degli interessi dei grandi capitalisti del New England. Osteggiando il governo centrale, i democratici trovarono l’appoggio anche di latifondisti schiavisti degli Stati meridionali, connotandosi così come sostenitori della pratica dello schiavismo. Nei primi decenni del XIX secolo il Partito Federalista scomparve, lasciando il centro della scena politica nazionale a quello Democratico-Repubblicano. Tuttavia all’interno del medesimo nacque una corrente, ispirata al defunto Partito Federalista e che dunque ancora una volta tutelava maggiormente gli interessi degli Stati del Northeast, la quale pian piano riuscì a prendere il sopravvento. La risposta dell’altra ala del partito, più vicina agli Stati del South e del West, non tardò ad arrivare trovando forma nella figura di Andrew Jackson, candidatosi alle elezioni presidenziali del 1824.
Il partito Democratico-Repubblicano, ormai irrimediabilmente lacerato, si divise in due tra i sostenitori di John Quincy Adams, rappresentante dell’estabilishment e del potere del Northeast, e Jackson, l’uomo dei commercianti, degli artigiani e dei contadini delle “periferie”. Le elezioni furono vinte dal primo, ma quattro anni più tardi Jackson si ricandidò sconfiggendo il Presidente uscente.
Dopo la vittoria e negli anni successivi, si costituì prima il Partito Democratico (1828) e successivamente il Partito Repubblicano o Grand Old Party (GOP). Il Partito Democratico continuò a supportare i piccoli proprietari terrieri pionieri nel West e i ricchi latifondisti del South, il GOP il capitalismo finanziario degli industriali del Northeast. Gli unici voti che i democratici riuscivano a guadagnarsi nel Northeast erano quelli della classe operaia delle grandi città, ostili allo strapotere della borghesia.
In quegli anni uno dei principali temi di scontro era quello della schiavitù: il GOP, fin dalla sua nascita, si era professato antischiavista, mentre il Partito Democratico era decisamente a favore della schiavitù. Queste due posizioni contrapposte riflettevano le realtà socio-territoriali nei quali i due partiti erano più forti: il nord sviluppato, dinamico e industriale e il sud povero e arretrato, dove la ricchezza era nelle mani di pochi e l’economia era incentrata esclusivamente sulla proprietà terriera con le piantagioni di cotone e di tabacco, in cui lavoravano tre milioni di schiavi neri.
Questa situazione sfociò nella Guerra Civile (1861-1865) vinta dai nordisti e coincise con un’inevitabile periodo di crisi per i democratici del South. Il dominio dei repubblicani era basato sulla loro netta prevalenza negli Stati del Northeast che, più popolati rispetto a quelli del South e del West, godevano di un numero maggiore di Grandi Elettori. 1)
D’altro canto dal termine della guerre di secessione si è assistito a un fenomeno, prolungatosi per buona parte del XX secolo, di consolidamento del voto democratico negli Stati meridionali, tanto che è stata coniata la definizione di Solid South: la realtà sudista era ancora dominata dal ceto bianco che adottava una politica segregazionista contraria alla concessione dei diritti civili alla minoranza afro-americana, la quale una volta ottenuto il diritto di voto iniziò ad appoggiare il Partito Repubblicano. La stragrande maggioranza della popolazione bianca, povera e arretrata, era favorevole ai democratici, in quanto si contrapponevano ai repubblicani del nord.
Negli anni trenta del Novecento si verificò un mutamento significativo nella storia politica dei partiti statunitensi: il GOP, che era al governo, venne ritenuto responsabile della crisi del 1929 e l’elezione del democratico Franklin Delano Roosevelt nel 1932 coincise con cambiamenti radicali. Il New Deal, segnato da un ampio programma di interventi dello Stato, permise agli Usa di superare la crisi economica e trasformò il Partito Democratico, indirizzandolo verso sinistra. Si legò ai sindacati, ai gruppi sociali svantaggiati, ai poveri, ai diseredati e alle minoranze, e più in generale emerse la straordinaria capacità di Roosevelt di saper parlare e attrarre il consenso delle masse. Per questi motivi il Partito Democratico si avvicinò alle fasce popolari della cittadinanza, passando da posizioni che non potevano certo essere considerate di sinistra a un orientamento liberal. Gli afroamericani, fino a quel momento fedeli al Partito Repubblicano che gli aveva garantito la libertà dalla schiavitù, si riconobbero nel nuovo corso roosveltiano e iniziarono a votare per i democratici. Essi erano diventati il partito della spesa pubblica, della protezione dei diritti delle minoranze e degli intellettuali progressisti.
Un altro momento fondamentale furono le elezioni del 1964, allorché si assistette a quel rovesciamento geopolitico, iniziato con Roosevelt, tra democratici e repubblicani. Il democratico Lyndon B. Johnson, divenuto presidente l’anno precedente dopo l’assassinio di Kennedy, aveva iniziato una battaglia in favore dei diritti civili delle minoranze, lottando in particolare contro la segregazione razziale e la povertà. Le elezioni del 1964 lo videro vittorioso, e così egli continuò nel solco delle precedenti iniziative culminanti nel Civil Rights Act che dichiarò illegale la segregazione razziale; Johnson varò anche riforme sanitarie in favore dei poveri, nel campo dell’istruzione e a favore del completo diritto di voto dei neri.
Questa incredibile attenzione e vicinanza mostrata dai democratici alle problematiche sociali degli emarginati e delle minoranze contribuì a sancire una nuova geografia elettorale. Da una parte, la base democratica si era spostata sempre più verso nord e nell’ovest pacifico, dove si trovava la maggior parte delle metropoli in cui si erano trasferiti gli afroamericani dal sud e le altre minoranze; dall’altra un South non più “solidamente democratico”, ma che si stava orientando verso i repubblicani, attestatisi su posizioni conservatrici e tradizionaliste.
I repubblicani cementarono le loro posizioni negli anni Ottanta con Regan, il quale stabilizzò definitivamente l’ideologia di partito che doveva essere fondata sul liberismo, l’iniziativa privata e il non intervento dello Stato in campo economico, e creò una nuova maggioranza elettorale basata sul voto del nuovo South, degli Stati centrali e del Midwest rurali e dei WASP benestanti.
Si è così arrivati agli anni Novanta e alla situazione attuale. È quindi evidente come la geografia elettorale statunitense si sia drasticamente modificata a causa di contingenze storiche, politiche e sociali nel corso degli ultimi due secoli, e da qualche decennio a oggi conservi un certo equilibrio (che non è detto rimanga invariato in futuro).
Il Northeast, dove tutto è iniziato
A partire dagli anni Novanta la regione del Northeast costituisce una roccaforte democratica. Quest’area, fortemente repubblicana da dopo la guerra civile, è stata protagonista di un’inversione di tendenza iniziata, come abbiamo visto, nel corso del XX secolo e completata solamente negli anni Novanta. Le motivazioni sono molteplici: innanzi tutto il Northeast, culla della nazione, è la regione dove si insediarono i primi immigrati di origine anglosassone, dove venne dichiarata l’Indipendenza delle tredici colonie dalla madrepatria, dove si è creata una società fondata su valori di matrice illuminista ed europea, come libertà e uguaglianza: è infatti l’area geograficamente e culturalmente più vicina all’Europa.
Nella prima fase della storia della nazione, il Northeast si è da subito caratterizzato come un’area sviluppata, dinamica e imprenditoriale in cui la mobilità a tutti i livelli era una caratteristica fondamentale della società. In aggiunta, malgrado sia stata dominata per decenni dal Partito Repubblicano (allora distante dalle posizioni attuali), è sempre stata una zona progressista, tant’è vero che in quel periodo era proprio il GOP diffuso nel nord ad avere una mentalità maggiormente riformista e a essere fermamente antischiavista. I repubblicani del Northeast erano comunque meno conservatori e più liberali di quelli del South, e quando il GOP si spostò ulteriormente a destra decisero, spinti anche dalla forte recessione dei primi anni Novanta, di convergere nelle fila democratiche.
Un altro elemento importante è il fattore demografico-territoriale: il Northeast è la regione della “Megalopoli Atlantica Bos-Wash”, 2) uno spazio di 300.000 kmq all’interno del quale vivono più di 50 milioni di abitanti (il 16% della popolazione USA) localizzati soprattutto nelle grandi città di quest’area. Le metropoli statunitensi, come noto, ospitano un’alta percentuale di minoranze etniche che sono maggiormente inclini a votare democratico. Infine nel Northeast il livello medio di istruzione è tra i più elevati del Paese, a significare che un buon numero di cittadini, tra cui anche bianchi medio-ricchi, hanno una mentalità più cosmopolita, aperta ai cambiamenti e sono disposti a dare il loro consenso al Partito Democratico. La stessa cosa vale anche per tanti intellettuali “illuminati” che hanno studiato e vivono nel Northeast e per gli studenti delle numerose università della zona. I sei Stati del New England – Maine, New Hampshire, Vermont, Massachusetts, Rhode Island e Connecticut (che portano in dote 33 voti dei Grandi Elettori) – sono saldamente democratici: il Massachusetts viene spesso paragonato dai giornalisti italiani a regioni storicamente di sinistra come l’Emilia Romagna e la Toscana. Le uniche piccole eccezioni sono rappresentate dal New Hampshire, 3) Stato in cui è forte la componente libertaria e tende a votare un po’meno a sinistra degli altri, e dal Maine che insieme al Nebraska è l’unico Stato della Federazione dove non vige il principio del winner takes all o del all-or-nothing, ovvero il principio maggioritario secondo cui se un candidato vince anche solo per un voto prende tutti i Grandi Elettori dello Stato. In Maine c’è un modello semi-proporzionale con il quale due voti vengono assegnati al vincitore del voto popolare e uno è assegnato al vincitore di ognuno dei due distretti congressuali nel quale lo Stato è diviso. Il Maine presenta un discreto numero di elettori registrati come indipendenti e i sostenitori del Partito Democratico sono abbastanza moderati, tuttavia i democratici hanno comunque vinto nelle ultime sei tornate elettorali.
Anche gli Stati del Mid-Atlantic vanno generalmente a costituire una macchia blu (il colore dei democratici) molto compatta. Lo Stato di New York (di cui Trump è originario e dove la Clinton è stata senatrice) è il quarto per popolazione degli Stati Uniti (più di 19 milioni) e ha 29 Grandi Elettori. Rappresenta una delle realtà più liberal del Paese, un vero e proprio bastione democratico: Obama nel 2012 ha vinto con il 63,35% dei voti. Però, nonostante sia uno Stato solidamente democratico in cui la vittoria della Clinton non è in discussione, è interessante notare come vi sia una differenza tra le contee urbane più favorevoli al partito dell’asinello e quelle rurali più vicine ai repubblicani, seguendo un trend che ricalca in generale una situazione diffusa in tutta la nazione. Nel 2012, infatti, Obama ha vinto nella città di New York con un’incredibile 80% e nelle contee dove all’interno sorgono città popolose come Buffalo (Erie), Rochester (Monroe), Yonkers (Westchester) e nella capitale Albany con altrettante percentuali elevate, mentre le contee lontane da grandi agglomerati urbani hanno preferito Romney.
La ragione del successo democratico nell’area urbana di New York a partire dagli anni Novanta si può spiegare con la crescita delle minoranze, ma anche con il cambiamento di preferenza di una buona parte dell’elettorato bianco, in quanto la classe media lavoratrice che negli anni Ottanta aveva abbandonato i democratici è ritornata sui propri passi a causa della recessione del 1991; inoltre il passaggio dell’area da un’economia fortemente industriale a una postindustriale incentrata sull’incredibile sviluppo della tecnologia high-tech e dell’information technology ha portato nuovi professionisti istruiti e aperti ai cambiamenti, più sensibili a tematiche e discorsi progressisti.
Il New Jersey, dove vivono numerosi professionisti che lavorano a New York, è caratterizzato da un comportamento elettorale simile. A completare il quadro degli Stati del Northeast vi sono Delaware, Maryland e Pennsylvania: i primi due 4) rappresentano un blocco di 16 voti elettorali (3 del Delaware, 10 del Maryland più i 3 del District of Columbia, il distretto della capitale federale Washington) in mano ai democratici, mentre la Pennsylvania mostra caratteristiche particolari.
L’isola Pennsylvania
Innanzi tutto è lo Stato della regione più interno e lontano dalle coste e segna il limite del Northeast al confine con il Midwest. È molto popoloso e quindi importante a livello elettorale (20 voti): è tendenzialmente democratico ma profondamente diviso tra due anime opposte al suo interno. La Pennsylvania rappresenta l’estremizzazione della tendenza prima citata, diffusa su tutto il territorio degli Usa, che vede una netta contrapposizione politica tra aree urbanizzate e aree rurali, zone centrali sotto il profilo economico e zone periferiche e marginali, città industriali, terziarie e quaternarie e aree agricole di campagna.
Nello Stato vi sono due grandi aree urbane situate ai due esatti opposti: l’area metropolitana di Filadelfia nell’estrema propaggine sud-orientale al confine con il New Jersey, e la città di Pittsburgh nella zona occidentale, che con le loro aree metropolitane costituiscono oltre la metà della popolazione complessiva dello Stato. Entrambe sono fortemente democratiche, anche se le motivazioni sono differenti. Filadelfia si trova nel cuore della Megalopoli Atlantica e il suo comportamento elettorale è simile alle altre grandi metropoli del Northeast. Pittsburgh è l’ultimo baluardo della regione e gravita nell’area dei Grandi Laghi, tanto che per caratteristiche socio-economiche è maggiormente affine alle grandi città del Midwest: si trova nella Rust Belt ed è la città delle acciaierie (Steel City); il supporto democratico non è dovuto come a Filadelfia principalmente alle minoranze e ai professionisti del terziario avanzato, ma agli operai dell’industria dell’acciaio.
Le zone rurali nel centro dello Stato sono più conservatrici e votano repubblicano. A tal proposito famosa ed esemplificatrice è la definizione dell’analista elettorale di Bill Clinton, James Carville, spesso parafrasata in “Pennsylvania is Philadelfia in the east, Pittsburgh in the west and Alabama in the middle”, a testimonianza del peso e dell’importanza delle due grandi città e dei loro sobborghi progressisti frapposti al tradizionalismo delle contee interne. Per questo la Pennsylvania viene considerato un’importante Swing State, anche se la preferenza democratica è evidente in quanto il GOP non vince dalle presidenziali dal 1988 con George H.W. Bush.
La battaglie del Midwest
Il Midwest è la macro-regione più complessa dal punto di vista elettorale: geograficamente è una zona vasta che comprende gruppi di Stati molto differenti tra loro. Costituisce un’area di transizione tra le coste atlantiche e il West, comprende gli Stati settentrionali dei Grandi Laghi con le loro grandi città industriali profondamente segnate dalla crisi economica globale del 2008, gli Stati agricoli a ridosso del South e The Great Plains States (gli Stati delle grandi pianure) che dal cuore centrale del Paese si estendono fino ai margini delle montagne centro-occidentali.
Si tratta quindi di una galassia eterogenea di Stati che, pertanto, non rappresentano un agglomerato compatto a favore di un partito come le altre macro aree degli Stati Uniti; ma, essendo proprio un’area di transizione a più facce, il comportamento elettorale, in particolare degli Stati ai suoi confini, viene influenzato dai blocchi politicamente più stabili di Stati contigui ma appartenenti ad altre regioni (quelli del Northeast a est e gli Stati di montagna interni del West a ovest).
Il Midwest è la regione più contesa, con il numero più elevato di Swing States che hanno una rilevanza notevole sul risultato elettorale finale in quanto, in particolare quelli del nord, garantiscono un alto numero di Grandi Elettori. Emerge quindi una piccola cesura che suddivide la macro area in due sub-regioni con comportamenti politici simili: gli Stati industriali dell’East North Central (Illinois, Ohio, Michigan e Wisconsin) con il Minnesota e a eccezione dell’Indiana sono più filo-democratici; quelli del West North Central (Iowa, Missouri, Kansas, Nebraska, North e South Dakota) sono invece più inclini al GOP.
Si tratta di una semplificazione meramente teorica, visto che ci troviamo di fronte all’area più combattuta degli Usa, dove ogni Stato presenta caratteristiche ed eccezioni proprie che fanno saltare gli schemi di volta in volta, e il partito che riesce a vincere questa dura contesa la spunta per pochissimi punti percentuali.
Negli Stati dell’East North Central il Partito Repubblicano ha tenuto i suoi primi raduni (Wisconsin e Michigan) nel XIX secolo, instaurando una buona base elettorale che tuttavia si è notevolmente affievolita nel corso del secolo successivo grazie al riallineamento ideologico dei partiti su posizioni differenti, facendo sì che la grande massa di operai delle industrie pesanti e manifatturiere (blue collar) si schierasse con il Partito Democratico.
Questi Stati condividono parametri demografici e di reddito (prevalenza di bianchi appartenenti alle classi medio-basse), a eccezione dell’Illinois dove la presenza di una metropoli come Chicago spiega il numero maggiore di afro-americani. Proprio l’Illinois esercita una grande influenza sulla corona di Stati che lo circondano, in particolare Indiana e Iowa.
Il primo, il più rurale tra gli Stati di questo blocco, è l’unico del gruppo storicamente favorevole ai repubblicani, anche se alcune contee nell’area nord-occidentale sono praticamente sobborghi di Chicago e quindi democratiche. Tuttavia in Indiana i repubblicani hanno sempre vinto dal 1968 (escluso il 2008), e Trump, dopo aver vinto le primarie con il 53,3%, è molto avanti nei sondaggi.
L’Iowa (dove iniziano le primarie) rappresenta in piccolo l’intero Midwest: viene inserito nel West North Central, ma è uno Stato agricolo di transizione tra le due sub-regioni del Midwest di cui costituisce una sintesi anche nell’influenza che subisce da più parti e nell’essere di conseguenza un Battleground State. Appare come una bandiera in balia di venti diversi: le grandi città del centro e le contee orientali vicine all’Illinois sono solite votare democratico; le aree rurali sono più conservatrici e votano il GOP, così come le contee occidentali che subiscono l’influenza degli Stati vicini delle Grandi Pianure, Nebraska, Kansas, North e South Dakota che si posizionano a destra.
Il Missouri, il più meridionale di questi Stati, è anch’esso una realtà rurale, conservatrice e molto religiosa e sembra essere affine al vicino Kentucky, che viene però già considerato South. Tuttavia la sua assegnazione non è mai scontata, ma è un Beelwether State (“Stato banderuola”), avendo sempre votato per il candidato rivelatosi poi vincitore in ogni elezione presidenziale a partire dal lontano 1904; a parte tre volte, due delle quali nel 2008 e nel 2012 quando è andato ai repubblicani Mc Cain e Romney.
Un discorso simile riguarda l’ultimo Stato del Midwest, il più orientale e decisamente il più importante: l’Ohio. A cavallo tra il Northeast e la Regione dei Grandi Laghi, è un’entità fondamentale (18 pesantissimi voti elettorali) costantemente in bilico, che ha spesso deciso le elezioni. Vi si concentrano i maggiori sforzi dei due candidati e rappresenta la quintessenza dello Swing State. Tutti i candidati repubblicani diventati presidenti hanno vinto in Ohio. Lo Stato è diviso tra il voto democratico delle grandi città (Cleveland, Columbus e Cincinnati) e della zona del Lago Erie, e quello repubblicano delle aree rurali. Gli operai dell’industria manifatturiera del nord e quelli dell’industria pesante (automobili), duramente colpiti dalla crisi, hanno sostenuto Obama nel 2008 e anche nel 2012, anche se oggi non sembrano apertamente schierati in modo compatto per Hillary. Gli operai dell’industria carbonifera del sud non hanno invece sostenuto Obama nel 2008 per poi votarlo quattro anni più tardi. Di sicuro il loro voto, come quello di tutta la classe media che lavora nell’industria (tendenzialmente ancora favorevole ai democratici) dell’Ohio, potrebbe essere decisivo non solo per le sorti dello Stato.
Il West dell’interno
Il West è la macro-regione divisa nel modo più netto tra le sue due principali aree geografiche. Gli Stati interni desertici e montagnosi sono filo-repubblicani; gli Stati costieri del Pacifico sono invece un vero e proprio feudo democratico.
Tra i Mountains States, i tre più settentrionali (Montana, Wyoming e Idaho) sono solidamente repubblicani: hanno un’estensione notevole ma sono scarsamente popolati e per questo sommano solamente 10 voti elettorali in totale. Non ci sono grandi città, e le uniche isole democratiche sono così rappresentate da aree dove è massiccia la presenza di nativo-americani e di campus universitari.
Spostandoci a sud incontriamo lo Utah, dove la Chiesa Mormone ha il suo quartier generale a Salt Lake City. Il clero mormone vicino alla destra conservatrice ha qui un peso determinante che fa dello Stato una fortezza repubblicana. È però interessante sottolineare come Trump, candidato repubblicano sui generis, abbia trovato serie difficoltà nello Utah perdendo nettamente le primarie (battuto non solo dallo schiacciante 69,2% di Cruz, ma anche dal 16,8% di Kasich), riscuotendo solo il 14% dei consensi. Questa pesante sconfitta si può spiegare facilmente in quanto la Chiesa Mormone ha da sempre appoggiato candidati repubblicani moderati e appartenenti a un centro-destra religioso, uomini dell’estabilishment del partito, come nel 2012 il mormone Romney che rappresentava il profilo ideale. Tuttavia è difficile ipotizzare un’eventuale vittoria della Clinton in una realtà così fortemente legata a valori tradizionalisti.
L’unica eccezione di questo manipolo di Stati è il Colorado, importantissimo Swing State con 9 Grandi Elettori. Si tratta di un territorio montuoso dove le contee settentrionali votano per il GOP come nel vicino Wyoming, insieme ad altre zone rurali, ai sobborghi e alla El Paso County con la città di Colorado Springs, fortemente influenzata dalla destra religiosa e dalla cultura militare (ospita la Air Force Accademy). Ma il Colorado è uno Stato con altre grandi città come Denver e Boulder, saldamente democratiche. Inoltre esistono anche contee montane che votano sorprendentemente a sinistra, insieme alle numerose zone con campus universitari. Sono quindi fondamentali i voti delle singole contee. A partire dagli anni Novanta la percentuale di ispanici è cresciuta vertiginosamente in tutto lo Stato avvantaggiando i democratici: Obama ha vinto sia nel 2008 che nel 2012.
Un discorso a parte meritano i tre Stati desertici del Southwest: storicamente più vicini ai repubblicani, sono protagonisti negli ultimi decenni, come il Colorado, di importantissimi cambiamenti demografici, anche qui grazie alla componente ispanica aumentata a dismisura, che stanno portando e porteranno a mutamenti elettorali. Il New Mexico, dove la percentuale di latinos è tra le più alte degli Stati Uniti, è il più democratico dei tre. Non indifferente rispetto ad altri territori è la presenza di nativi americani (9,4% della popolazione). Conquistato da Obama nelle due ultime elezioni, molto probabilmente vedrà i democratici trionfare anche questa volta.
L’Arizona ha sempre votato repubblicano dal 1952 (a eccezione delle presidenziali 1996), ma negli ultimi anni le minoranze sono sempre più influenti su tutto il territorio. È uno Stato in parte industriale che si sta aprendo ai servizi e alle nuove tecnologie soprattutto nella grande cintura urbanizzata dell’area metropolitana di Phoenix, comprendente le città di Mesa e Scottsdale. Si contano altre aree fortemente urbanizzate di recente sviluppo intorno alle grandi città di Tucson e Flagstaff. Tutti questi fattori portano a concludere che i democratici potranno giocarsela e migliorare i propri risultati nell’immediato futuro.
Il Nevada invece è un Bellwether State in quanto ha votato per il futuro presidente in tutte le tornate elettorali dal 1912, a parte nel ’76. È scarsamente popolato: al nord vivono i bianchi più ricchi che appoggiano il GOP, mentre il sud è più cosmopolita e le minoranze giocano un ruolo decisivo. Nella zona meridionale si trova la Contea di Clark con le due città maggiori (Las Vegas e Henderson) dove vivono oltre i due terzi della popolazione del Nevada. A Las Vegas le minoranze sono ormai la maggioranza degli abitanti e tutta l’area vota in maniera compatta a sinistra, contrapponendosi alle contee ultra-conservatrici settentrionali. Il Nevada è dunque anche uno Swing State che molti siti statunitensi dànno ancora Toss Up (in bilico o dal risultato incerto); ma non è assurdo pensare, a causa dell’aumento demografico costante della popolazione ispanica, a un futuro orientato maggiormente verso il Partito dell’asinello.
Il West costiero e la new economy
Gli Stati che si affacciano sul Pacifico sono un grande contenitore di voti sicuri per i democratici, caratterizzandosi come l’area più liberale degli Stati Uniti insieme al Northeast. La California, Stato più popoloso della Federazione con più di 39 milioni di abitanti ben rappresentato da 55 Grandi Elettori, è saldamente democratico e la vittoria della Clinton scontata.
Presidio repubblicano fino agli anni Ottanta, il Golden State ha subìto una drastica inversione di tendenza, schierandosi in modo netto a sinistra. Le motivazioni principali di questo cambiamento sono da ricercare nella crisi economica che ha colpito la Silicon Valley all’inizio degli anni Novanta e la successiva risalita che ha portato a termine quel processo di transizione da un’economia industriale a una postindustriale dominata dai servizi terziari e dell’high technology. Come nel Northeast, questo fenomeno ha modificato la società creando un tessuto impregnato di nuovi valori e una nuova mentalità più aperta, radicando nuovi modelli culturali che hanno influenzato le tendenze di voto in direzione progressista, anche grazie alla definitiva svolta verso destra del GOP.
Inoltre anche in California la crescita delle minoranze e la presenza di grandi centri urbani molto dinamici e in continua espansione ha ridotto le preferenze repubblicane solamente alle contee più interne, lontane dalla costa e dai grandi agglomerati urbani.
Le aree metropolitane di Los Angeles e San Francisco (45% della popolazione totale) sono composte da lavoratori bianchi della middle-class, professionisti colti, minoranze etniche (soprattutto ispano-messicani, ma anche afro-americani e asiatici) e donne, che votano tutti per i democratici. L’Oregon (7 voti elettorali), lo Stato di Washington (12), dove soprattutto a Seattle sono forti i democratici radicali attenti anche a tematiche ambientali, e le Hawaii (4) garantiscono voti certi al Partito Democratico, a testimonianza di come la Regione del Pacifico sia urbana, dinamica, progressista e internazionalista. L’Alaska (3), lo Stato più esteso dell’Unione, è invece storicamente filo-repubblicano.
Il South, sempre meno “profondo”
Il South è una macro regione molto omogenea dal punto di vista elettorale, in quanto è strenuamente fedele al GOP. In questa parte del Paese è avvenuto il cambiamento di tendenze di voto più drastico a partire dalla metà del XX secolo, quando l’allora dominante Partito Democratico (Solid South) ben lontano dalle posizioni liberali di oggi, è stato scalzato. Tuttavia questo fenomeno è avvenuto esclusivamente per un mutamento – quasi una vera e propria inversione – dei capisaldi ideologici dei due partiti, ma la mentalità fondata su valori culturali e sociali ben definiti e la volontà di votare sempre per il partito meno progressista non è mai cambiata.
La società degli Stati del South (molti dei quali facevano parte della Confederazione e la cui economia era incentrata sul dominio dei proprietari terrieri delle piantagioni) è sempre stata conservatrice e tradizionalista, povera e arretrata, chiusa e fortemente vincolata alla famiglia e alla religione. Questo spiega perché si era soliti votare per il Partito Democratico (inizialmente schiavista, poi segregazionista), mentre oggi si privilegia il GOP conservatore, legato alla destra religiosa e non particolarmente impegnato nella tutela dei diritti delle minoranze e degli stranieri. Attualmente gli Stati rurali del South costituiscono l’area meno sviluppata (insieme ad altri Stati interni del nord-ovest) degli Usa, il reddito medio è inferiore alla media nazionale e l’intera area (tolti il ricco Texas e alcune zone della Florida) è marginale, isolata e rappresenta la provincia più lontana degli Stati Uniti.
Negli Stati più poveri (Arkansas, Mississippi e Alabama) sono ancora vivi echi razzisti e la chiusura verso l’esterno, la paura dello straniero e del diverso raggiunge livelli massimi. Rispetto ai dinamici Northeast, West e in parte Midwest, il South presenta anche una società più statica e l’ascesa sociale personale risulta maggiormente impervia: al potere sta una ristretta élite bianca (generalmente WASP) contrapposta al resto della popolazione, il cui livello di povertà è tra i più alti del Paese. Per questi motivi il South rappresenta un fortino elettorale repubblicano.
All’interno dei singoli Stati esistono però differenze, con diverse contee che votano invece a sinistra: sono quelle in cui la percentuale delle minoranze (in particolare gli afro-americani) sono più elevate. Tuttavia il loro voto non è sufficiente al Partito Democratico per vincere tutto lo Stato.
Anche nel South si può riscontrare la tendenza, propria di tutti gli Stati di confine tra due o più macro regioni, di subire l’influenza delle aree confinanti. È il caso del West Virginia, territorio montuoso interno situato al confine tra Northeast, Midwest e South. Si tratta di una realtà tradizionalmente democratica che tuttavia dal 2000 vota sempre per i repubblicani. La motivazione va ricercata nei blue collar, in quanto l’economia statale, incentrata sull’industria estrattiva e mineraria del carbone fortemente in crisi, non è stata minimamente toccata dalla diffusione delle nuove tecnologie che in altri luoghi hanno offerto nuove possibilità di lavoro. La popolazione rimane così fortemente impegnata nel settore secondario, e gli operai del carbone non guardano di buon occhio i democratici che con il loro impegno per la regolamentazione ambientale rischiano di far chiudere diverse miniere in tutto lo Stato.
Un altro Stato di confine con il Northeast è la Virginia, le cui contee nord-orientali sono sobborghi di Washington D.C. e votano per i democratici come l’area urbanizzata settentrionale. Le uniche contee del nord della Virginia a votare per i repubblicani sono quelle in cui la presenza di militari è superiore alle altre. L’area meridionale dello Stato, dove il numero delle contee rurali aumenta, vota per il GOP. La Virginia è stata democratica fino al 1960 (Solid South), poi ha votato per i repubblicani fino alle elezioni del 2004, Obama (grazie soprattutto al voto degli afro-americani e degli ispanici) l’ha riconquistata nel 2008 riconfermandosi quattro anni più tardi. Anche in Virginia l’incremento delle minoranze e il passaggio a un’economia postindustriale sembrano poter avvantaggiare nei prossimi anni i democratici: i sondaggi danno Hillary Clinton molto favorita.
Scendendo verso sud, in North Carolina aumentano le aree rurali, anche se il paesaggio culturale e il comportamento elettorale è sostanzialmente simile a quello della Virginia e valgono gli stessi discorsi. Il North Carolina è tuttavia più in bilico della Virginia e negli ultimi anni si è sempre caratterizzato come uno Swing State di fondamentale importanza, dove pesa tantissimo il voto delle minoranze.
Con il South Carolina possiamo dire di essere arrivati veramente nel South: Stato schiavista per eccellenza, era in passato una realtà fortemente agricola (coltivazioni di riso e tabacco), la sua economia è ora basata sui servizi. La popolazione è composta prevalentemente da bianchi cristiani evangelici decisamente conservatori e tradizionalisti. Fa infatti parte della Bible Belt insieme a Stati agricoli come Kentucky, Tennessee, Arkansas, Oklahoma, e paludosi come Louisiana, Mississippi e Alabama: gli ultimi tre costituiscono con la Georgia il Deep South. Questo gruppo di Stati subisce l’influenza della chiesa, profondamente radicata nel territorio e nella società, e presenta indici patrimoniali nettamente inferiori ad altre aree degli Usa: il loro voto è indiscutibilmente repubblicano.
La Georgia è uno Stato destrorso, tuttavia rispetto ai vicini è protagonista di una rapida crescita demografica negli ultimi anni legata soprattutto alle minoranze (latinos e afro-americani): questo fatto, unito alla presenza di una metropoli come Atlanta, limita l’ondata del GOP.
Una significativa eccezione tra gli Stati del South Atlantic è rappresentata dalla Florida: molto popolosa (più di 20 milioni di abitanti e 27 voti elettorali), negli ultimi decenni è sempre stata uno Swing State, il più importante insieme all’Ohio. Decisivo tra mille polemiche per Bush nel 2000, 5) è abbastanza difficile ipotizzare un’eventuale vittoria di Trump senza che il candidato repubblicano riesca a conquistare lo Stato. L’equilibrio della Florida è determinato principalmente da ragioni demografico-territoriali: è un territorio dalla fortissima componente ispanica che determina l’esito elettorale. Molti ispanici erano però esuli cubani anticastristi e quindi poco inclini a votare democratico, sebbene le nuove generazioni sembrino abbandonare questa tendenza e mostrino un comportamento in linea con le altre minoranze filo-democratiche.
Anche la componente territoriale, strettamente collegata a quella demografica, è molto importante in quanto la zona nord-occidentale risente dell’influenza dell’Alabama e vota repubblicano, mentre l’area sud-orientale che gravita intorno alla contea di Miami-Dade è solidamente democratica. Le aree urbanizzate molto popolose delle grandi città (Miami e Fort Lauderdale a sud-est, Orlando nel centro, Tampa nel centro-ovest e Jacksonville nel nord-est) presentano popolazioni miste con minoranze in continuo aumento (in particolare i latinos nel sud-est), hanno al loro interno campus universitari e sono di sinistra, mentre le aree interne scarsamente popolate e con una netta maggioranza bianca sono più conservatrici. Si tratta di aree ricche del centro e dell’ovest con nutrite comunità di WASP benestanti: la Florida è infatti uno Stato a pelle di leopardo dove le aree povere si alternano a quelle benestanti. La vittoria si decide per il voto di singole contee: se il sud-est è democratico e il nord-ovest filo-repubblicano, la partita si gioca principalmente nel corridoio centrale percorso dalla Interstate 4.
Da non sottovalutare è il fatto che la Florida è il paradiso dei pensionati che si trasferiscono principalmente dal Northeast e dal Midwest e rappresentano una fetta importante della popolazione. Ha votato per Obama nelle ultime due tornate elettorali, e in particolare nel 2012 ha schematizzato in piccolo la situazione generale degli Usa con il Partito Democratico che si presenta multirazziale mentre il GOP è votato quasi esclusivamente da bianchi.
Texas, un’eccezione che forse non durerà
Infine caso unico è il Texas, secondo Stato degli Usa per estensione e popolazione (più di 27 milioni di abitanti e 38 Grandi Elettori), la cui peculiare storia ha contribuito a forgiare una precisa identità statale, isolata rispetto al resto del Paese, tanto da sembrare uno Stato nazionale a parte. Tuttavia la società texana rispecchia anche molti valori tipicamente statunitensi come l’individualismo, lo spirito d’avventura e l’ascesa personale, che lo calano perfettamente all’interno della realtà americana. È un territorio ricco di giacimenti petroliferi che in passato ha visto l’arrivo di piccoli e grandi imprenditori e uomini d’affari in cerca del successo. L’allora maggioranza bianca ha dunque posto le basi per un successo che ha fatto del Texas uno dei luoghi più ricchi degli USA, in netto contrasto con le aree circostanti del South. Il Texas è quindi sempre stato fortemente conservatore e favorevole al GOP. I democratici non vincono le presidenziali dal 1976 e anche nell’attuale frangente lo Stato sembra essere saldamente nelle mani di Trump.
Esiste un però, ed è fondamentale per il futuro degli Stati Uniti. In Texas la componente ispanica è da sempre presente in maniera massiccia, soprattutto per motivi geografici data la vicinanza con il Messico. Quella che era una minoranza sta aumentando vertiginosamente di numero e si va trasformando in una maggioranza. Come abbiamo visto, si tratta di un fenomeno diffuso in tutta la nazione, ma in Texas a causa dell’incredibile numero di latinos e della popolazione molto numerosa in generale, si sta verificando con maggiore velocità. Gli effetti possono essere determinanti, considerato il peso e l’influenza elettorale dello Stato nell’economia globale del Paese.
Il Texas, gli Usa, si stanno avviando da realtà a maggioranza bianca a nazione senza un gruppo etnico preponderante, dove però gli ispanici, gli afro-americani e gli asiatici giocheranno un ruolo sempre più importante. Attualmente i bianchi hanno perso la maggioranza nello Stato (45%) e gli ispanici si sono avvicinati (38%): nel giro di pochi anni potrebbe esserci il sorpasso definitivo. Le motivazioni dell’incremento degli ispanici non sono da ricercarsi esclusivamente nelle correnti migratorie dal Messico, ma anche nel loro elevato tasso riproduttivo e nello sviluppo economico dell’area che ha attirato latinos da altri Stati degli Usa e da Paesi in crisi, grazie alle opportunità lavorative e al prezzo basso delle case. Inoltre il recente sviluppo di grandi aree metropolitane come la conurbazione tra Dallas, Fort Worth, Houston, San Antonio e Austin, che ospita l’80% della popolazione texana, ha contribuito a trasformare uno Stato rurale, bianco e conservatore in uno densamente popolato, economicamente sviluppato e multiculturale.
Questo scenario decisamente realistico potrebbe portare nei prossimi anni a un clamoroso capovolgimento elettorale, in quanto il Partito Repubblicano, oggi votato principalmente da bianchi anziani che vivono nelle aree rurali e dai WASP ricchissimi, si vedrebbe superato da un’onda di persone tra cui minoranze (ed ex minoranze), giovani, donne e professionisti colti tutti residenti nelle aree urbanizzate. Se il Texas con i suoi 38 voti elettorali dovesse rientrare in competizione tra i due partiti dopo anni di domino assoluto del GOP, gli equilibri politici nazionali si potrebbero modificare sensibilmente, costituendo un serio problema per i repubblicani.
Un futuro in mano all’immigrazione?
Avendo analizzato le tendenze di voto passate, presenti e in parte future delle diverse macro regioni degli Stati Uniti, si può comprendere come la geografia dell’elettorato sia influenzata principalmente da fattori sociali (storici, culturali ed economici) e territoriali (geografici e soprattutto demografici) tra loro strettamente connessi. La geomorfologia del territorio statunitense ha fatto sì che i primi insediamenti e successivamente le principali e più grandi aree metropolitane si siano sviluppate lungo le coste oceaniche e lacustri.
A questo primo fattore di carattere geografico si sono sovrapposte contingenze storiche e fattori demografici, con avvenimenti che hanno segnato il volto di determinate regioni e della popolazione stessa, contribuendo spesso a creare società con valori ideologici e culturali propri a livello regionale, a cui si sono sommate determinate risposte di carattere economico.
L’insieme combinato di alcuni o, in alcuni casi, di tutti questi fattori ha portato a determinati comportamenti elettorali ben identificabili in vere e proprie tendenze. Le aree costiere e urbanizzate sono più dinamiche e progressiste e votano democratico, quelle interne rurali sono più statiche, conservatrici e tradizionaliste e votano repubblicano. Importanti sono anche il genere (le donne sono più inclini ai democratici), l’età (i giovani progressisti contrapposti agli anziani più conservatori), l’istruzione (i più istruiti votano tendenzialmente democratico). Da non trascurare è anche un fattore economico come il reddito: emerge una sostanziale differenza tra Stati più poveri (o meglio dove la ricchezza è distribuita in modo diseguale con pochi grandi ricchi in opposizione a molti cittadini di fascia medio-bassa come nel South) che sono più vicini al GOP, e Stati medio-ricchi dove la ricchezza è distribuita più equamente, più liberali e favorevoli ai democratici (Northeast, West costiero e alcuni Stati del Midwest nord-orientale).
Un’altra motivazione di carattere socio-economico è il completamento della transizione di molte economie regionali da industriali a postindustriali che dagli anni Novanta ha modificato la geografia elettorale degli Stati Uniti: la progressiva affermazione di un modello di società altamente sviluppata incentrata sui servizi e la tecnologia high-tech ha contribuito alla instaurazione di valori profondi creando, in alcuni casi, una mentalità collettiva più aperta all’innovazione e al cambiamento e quindi maggiormente progressista. Inoltre in queste aree si è registrato un ingente afflusso di professionisti del settore, colti e istruiti, solitamente filo-democratici.
Infine un ultimo fattore, ma probabilmente il più importante, è quello etnico. Le minoranze in continua crescita (latinos, afro-americani e asiatici) giocano oggi un ruolo decisivo influenzando notevolmente il comportamento elettorale nelle numerose zone dove sono sempre più presenti. Si schierano infatti nettamente con il Partito Democratico, più sensibile alle loro istanze e problematiche.
È evidente come negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva stabilizzazione della geografia elettorale degli Usa che ha portato a una polarizzazione territoriale importante, tanto da rendere l’idea di un Paese abbastanza spaccato in due in cui le tendenze regionali di alcune aree si sono cementate: Northeast e West Pacifico democratici; South, Stati centrali delle grandi pianure e dell’ovest interno e montuoso, repubblicani; Midwest area di transizione con molti Stati in bilico, tra cui quelli centro nord-orientali maggiormente progressisti, quelli centro-occidentali più vicini al GOP.
Inoltre si è assistito a una radicalizzazione nella tipologia di votanti: le minoranze, i giovani, i professionisti colti e le donne che vivono nelle grandi aree metropolitane votano più per il Partito Democratico, che si caratterizza quindi come una realtà eterogenea e multirazziale, mentre il Partito Repubblicano viene votato in maggioranza da uomini bianchi dei sobborghi con reddito elevato o anziani, oppure da persone con livelli più bassi d’istruzione che vivono in aree rurali.
Tuttavia nel tempo la geografia dell’elettorato statunitense è mutata ed è probabile che possa modificarsi anche nel breve e medio termine. Infatti il grande incremento demografico delle minoranze (soprattutto gli ispanici) ha già un peso decisivo in alcuni Stati e lo avrà sempre più nei prossimi anni. Le stime sull’evoluzione demografica, secondo cui nel giro di qualche decennio i bianchi saranno superati a livello nazionale e gli USA diverranno a tutti gli effetti uno Stato senza un gruppo etnico nettamente maggioritario, permettono di non ritenere fantascientifico che alcune zone – tra cui anche il Texas ancor oggi fortemente conservatore – potrebbero mutare il proprio orientamento politico. Nelle elezioni di martedì 8 il voto delle minoranze in alcuni Stati risulterà già decisivo, in particolare in aree dove vi sono contee o città in cui le cosiddette minoranze non sono più tali e per cui è stata coniata la definizione di Minority-Majority City. Nelle prossime tornate elettorali Stati come Arizona, Colorado, Nevada, Virginia e, più tardi, addirittura il Texas, potrebbero giocare un ruolo fondamentale nella corsa alla Casa Bianca al pari di Ohio e Florida.
I cambiamenti demografici sembrano dare un significativo vantaggio al Partito Democratico, che dovrà comunque essere bravo nel riuscire a portare costantemente alle urne le minoranze, soprattutto i latinos che registrano il più elevato numero di non votanti. D’altro canto i repubblicani potrebbero essere costretti a rivedere parte delle loro strategie politiche attuali, mostrandosi maggiormente interessati alla situazione di quelle che per adesso chiamiamo ancora minoranze.
N O T E
1) I Grandi Elettori sono i delegati che si riuniscono per eleggere formalmente il presidente degli Stati Uniti. Vengono eletti su base statale e il loro numero è 538, pari alla somma dei 100 senatori (2 per Stato), dei 435 deputati (assegnati proporzionalmente alla popolazione dello Stato) e dei 3 rappresentanti del District of Columbia. Sono distribuiti nei diversi Stati secondo un criterio demografico: i più popolosi come la California e il Texas ne hanno rispettivamente 55 e 38, mentre i poco popolati Montana e Wyoming ne hanno 3 ciascuno. Un candidato presidente vincendo lo Stato vince tutti i suoi Grandi Elettori. Per diventare presidenti bisogna arrivare a 270 Grandi Elettori. Secondo questo meccanismo, il presidente potrebbe non essere il candidato che ha ricevuto più voti a livello nazionale (come è avvenuto nel 2000), ma quello che ha vinto negli Stati con il maggior numero di Grandi Elettori.
2) La Megalopoli Atlantica (così definita dal geografo Jean Gottmann nel 1961) è una vastissima area urbanizzata che si estende lungo la costa atlantica da Boston fino alla Baia di Chesapeake e alla capitale Washington D.C., al cui interno si trovano alcune tra le più importanti metropoli statunitensi come New York, Filadelfia e Baltimora. L’elevata concentrazione di popolazione unita agli enormi flussi di merci e capitali ne fanno una gigantesca conurbazione e una regione tra le più ricche e dinamiche del mondo.
Si ringrazia FreeWorldMaps per la cartina politica del Northeast.
3) Il caso del New Hampshire è particolarmente significativo, dal momento che può in parte essere considerato l’unico Swing State del New England. Negli anni Ottanta è stato decisamente favorevole ai repubblicani in quanto, non avendo un’imposta sul reddito, era diventato il paradiso per liberi professionisti pendolari che lavoravano in Massachusetts ma vivevano nel New Hampshire per non pagare le tasse. Il voto di questi professionisti, unito a quello delle contee rurali più interne, consegnò spesso lo Stato al GOP. Tuttavia la disillusione per la politica economica repubblicana e la nascita di un corridoio di sviluppo dell’industria high-tech, popolato da professionisti provenienti da aree differenti, ha modificato la geografia elettorale dello Stato, posizionandolo verso i democratici moderati. Oggi per la presenza – comunque minoritaria – della componente libertaria maggiormente filo-repubblicana viene talvolta considerato uno Stato in bilico, anche se l’ultima vittoria del GOP risale al 2000 quando G.W. Bush sconfisse Al Gore per 48,1% contro 46,8%.
4) Lo United States Census of Bureau include solitamente Maryland, Delaware e il District of Columbia nella regione del South Atlantic, tuttavia i tre territori vengono comunemente considerati parte del North East. Ritengo valida quest’ultima interpretazione per motivi geo-territoriali (si trovano all’interno della Megalopoli Atlantica), storici, culturali e di tendenze elettorali.
5) Le elezioni presidenziali del 2000 hanno suscitato enormi polemiche sul risultato definitivo. Nel serrato testa a testa tra Al Gore e G.W. Bush la Florida è stata decisiva, in quanto lo strettissimo margine di voti che separava i due candidati (con il repubblicano leggermente in vantaggio) ha reso necessario un riconteggio nello Stato. Tuttavia i risultati tardavano ad arrivare e dopo più di un mese la Corte Suprema decise di sospendere il riconteggio in alcune contee, permettendo di validare tra mille polemiche la vittoria di Bush, che si impose quindi nello Stato per soli 537 voti. Bush divenne così presidente grazie alla Florida (senza la quale avrebbe perso) pur essendo sconfitto da Gore a livello nazionale.