Nonostante la brutale violenza di allevatori, agricoltori e pistoleros, gli indigeni guaraní-kaiowá persistono tenacemente nelle azioni di recupero delle terre ancestrali
A voler ricostruire lo stillicidio di indigeni assassinati dalle milizie dei latifondisti in Brasile, anche circoscrivendo alla sola etnia guaranì, si rischia di perdere il conto. E comunque ogni calcolo sarà per difetto. A solo titolo d’esempio, proviamo comunque a ricostruire qualche evento particolarmente doloroso degli anni scorsi.
L’indigena di etnia guaraní-kaiowá Clodiode Aquileu Rodrigues de Souza (26 anni) venne assassinata il 14 giugno 2016. Ennesima vittima innocente del conflitto che ha insanguinato per anni lo Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul. Suoi carnefici, i gruppi armati finanziati dai terratenientes che volevano riprendersi una fattoria occupata due giorni prima dagli indigeni.
Indigeni che rivendicavano i loro diritti sulle terre ancestrali. Altre cinque persone, tra cui alcuni bambini, risultavano feriti da colpi di arma da fuoco. L’episodio cadeva giusto a un anno di distanza dall’uccisione in circostanze analoghe di un’altra indigena guaraní, Semião Fernandes Vilhalva, di 24 anni.
Del resto il 2015 era stato un anno nero, l’ennesimo per gli indigeni del Brasile. Stando a un rapporto pubblicato dal Consejo Indigenista Misionero (cimi) ben 137 indigeni erano stati brutalmente uccisi (quelli di cui si è avuto notizia ovviamente) in Brasile, la maggior parte nel Mato Grosso do Sul (25 nel solo 2015).
Ma gli omicidi erano e rimangono la punta dell’iceberg di una serie impressionante di violenze operate dai proprietari terrieri contro i nativi. In buona parte conseguenza della tardiva o mancata delimitazione delle terre indigene da parte del governo. All’epoca, su almeno 96 “terre indigene” già individuate soltanto quattro erano state debitamente approvate e delimitate.
Dato che sulla maggior parte delle terre dei guaranì sorgono allevamenti di bestiame con piantagioni di soia, canna da zucchero e biocarburanti (vedi gli accordi della Shell con la società Cosan), alla violenza diretta dei proprietari terrieri fatalmente si sovrappone la disperazione dei nativi denutriti, emarginati, esclusi. Costretti a vivere in riserve sovraffollate: facile intravederli accampati ai bordi delle strade.
Solo nell’anno considerato (2015) erano stati 87 (45 sempre nel Mato Grosso do Sul) i casi documentati di suicidio tra i nativi. Inoltre i dati sulla mortalità infantile tra gli indigeni brasiliani era il doppio (26,35 deceduti su mille nati vivi) della media nazionale (13,83 su mille). Così, tanto per dare l’dea. E potremmo continuare.  
Le cose non sono certo migliorate nel corso dell’ultimo decennio. Nel luglio 2024 diverse terre ancestrali, da decenni occupate dal latifondo imprenditoriale, sono state rivendicate – e in parte recuperate affidandole agli spiriti guardiani teko jara – dagli indigeni guaraní-kaiowà in varie zone del Mato Grosso do Sul. Almeno tre nella municipalità di Douradina. In particolare la Terra Indigena Panambi-Lagoa Rica, quella di Kunumi Poty Verá (dove avvenne il massacro di Caarapó nel 2016) e altre nella regione di Takuara dove nel 2003 era stato assassinato il leader guaranì Marcos Veron (massacrato di botte da tre dipendenti di un allevatore).
Analogamente altre azioni dirette di occupazione-recupero avvenivano in altre regioni brasiliane. Nell’ovest del Paranà (indigeni ava guaraní), nel Rio Grande do Sul (popolo kaingang) e nel Ceará, uno stato del nord-est dove le popolazioni jenipapo kanindé (più conosciuta come “Cabeludos da Encantada”) e anacé da decenni subivano le angherie delle multinazionali (vedi la Pecém Agroindustrial S.A., produttrice di carta del Grupo Ypióca) e dei proprietari terrieri (come Ernani Viana).
Intanto si auspica che anche nella terra delimitata Panambi-Lagoa Rica il processo di demarcazione (avviato dalla funai nel 2002 e confermato nel 2011) proceda ulteriormente.

Attualmente il Territorio Indigeno comprende un’area di 12.196 ettari, ma il procedimento legale sarebbe bloccato presso il tribunale regionale federale che ne contesta la legittimità.
L’espropriazione, la colonizzazione subita dai guaranì-kaiowà risale almeno alla fine del XIX secolo e andò esasperandosi con l’istituzione delle Riserve Indigene istituite dal Servizio di Protezione dell’Indio, non più attivo.
Deleteria, dal punto di vista dei nativi, la realizzazione nel 1940 della Colonia Nazionale di Dourados.
Il dittatore dell’epoca, Getúlio Vargas, mentre cedeva agli agricoltori-allevatori le terre indigene, contemporaneamente procedeva a espellere i nativi , forzatamente trasferiti a molti chilometri di distanza.
Alcuni discendenti dei colonizzatori di allora mantengono tuttora le loro fattorie sulle terre indigene. Sfruttandole e depredandole con le monoculture di soia e mais (in funzione dell’allevamento).
Il 13 luglio 2024 si realizzava un ulteriore recupero di terre ancestrali ricche di biodiversità, con numerose piante autoctone indispensabili per la medicina tradizionale. Tra cui anche l’albero da cui estrarre la resina utilizzata nel rituale di iniziazione kunumi pepy (perforazione delle labbra). L’azione intrapresa dagli indigeni, a cui prendevano parte molte donne (anche un’arzilla ultranoventenne), era stata denominata Yvy Ajhere e si era svolta all’insegna di cerimonie tradizionali, compresa la costruzione di una casa comunitaria di preghiera.
Contro gli indigeni era scattata la reazione isterica dei proprietari, arrivati a bordo di fuoristrada, con uso di petardi, sorvolo di droni e colpi di arma da fuoco. Come da protocollo.
Al momento l’area sarebbe ancora circondata da agricoltori e allevatori (oltre che dai loro pistoleros ovviamente) che hanno innalzato alcune strutture (soprattutto tende, per ora) e installato potenti fari alimentati dai generatori. Godrebbero inoltre dell’appoggio politico di deputati federali legati all’ex presidente Bolsonaro.
Stessa musica in altre zone della regione di cui gli indigeni richiedono la restituzione: Pikyxi’yn e Kurupay’ty. Con uomini armati a bordo di motociclette e fuoristrada che hanno realizzato veri e propri posti di blocco, facendo ugualmente ampio uso dei droni per controllare e contrastare le mosse degli indigeni (di fatto circondati, sotto assedio). Comunque nonostante dal 26 luglio siano cominciati anche i sorvoli di qualche elicottero, non sembra che gli indigeni abbiano l’intenzione di desistere e abbandonare il campo.