Il nuovo tormentone mediatico è la cosiddetta intelligenza artificiale. Nulla sfugge alla mannaia del pensiero unico che (per ora, ma è meglio non farsi illusioni) manovra le tematiche eugenetiche, la manomissione della sessualità e altre diavolerie degne di quest’epoca.
Anche la sfera linguistica non si potrà sottrarre all’abisso tecnologico che, come pensiamo, sfigurerà le società, rendendo l’umanità schiava del nichilismo dopo anni e anni d’indottrinamento scientista.
Il neo-modello linguistico consisterà nell’uso di tecniche statistiche e di algoritmi addestrati per determinare la probabilità che una determinata sequenza di parole si verifichi in una frase. Ciò fornirà una base per previsioni di parole utilizzate nell’elaborazione del linguaggio naturale. La speculazione che intendo fare non vuole essere una strumentalizzazione del fenomeno di cui sopra, ma l’approfondimento di un’esperienza che, forse per combinazione, è già stata testata nel campo etno-linguistico. Se poniamo uno specchio ideale di fronte ai valori autoctoni della minoranza provenzale alpina e nel riflesso li vediamo travisati in ideali associativi esogeni al territorio del Piemonte meridionale, siamo autorizzati a fare un parallelo tra realtà fattuale e intelligenza (identità) artificiale.
Chi scrive sa che alcuni esponenti duri e puri dell’occitanismo hanno deciso di non ascoltare il dissenso, ma il silenzio non cancella la realtà. Ribadire – anche se vox clamantis in deserto – che sotto lo chapiteau del circo occitanista si esibiscono illusionisti e filo-esoteristi del catarismo, è mantenere un giudizio negativo sulla Legge 482/99 che optò per la cosiddetta popolazione parlante l’occitano. L’adozione del glottonimo occitano “fu assai infelice e foriera di divisioni interne”, come disse il compianto linguista Fiorenzo Toso. Resta in piedi l’analisi sul processo di mistificazione linguistica partita dall’Istitut d’Estudi Occitans di Tolosa ed esondato nelle valli provenzali cisalpine piemontesi.
Restano nella memoria le responsabilità delle amministrazioni locali, gli interessi della lobby occitanista, l’inazione di alcuni ambienti accademici, e l’indebita inclusione di comuni dove i locutori da decenni usano ormai la locuzione piemontese o addirittura italiana. L’appiattirsi dell’identità d’Oc cisalpina a causa di modelli artificiali, il furto delle risorse culturali (e non) sottratte ai naturali superstiti non ha impedito che il carrozzone della legge di “tutela”, mai sottoposto a revisione o integrazione (per esempio di altre locuzioni), continuasse come se fossimo nel 1999, cioè nel secolo scorso e nel millennio precedente.
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