Quello che si temeva è successo: il nuovo Land Rover Defender si è rivelato una pietra tombale per l’offroad. Il vecchio modello “originale”, il miglior fuoristrada di tutti i tempi nato nel 1948 e praticamente l’unico rimasto con quelle doti fino al 2016, non esiste più. Al suo posto, con lo stesso nome, l’ennesimo suv inetto e lussuoso di una casa automobilistica (autolesionista?) in mani indiane. Ora, per affrontare un argomento così insolito per questa sede sarà bene fare una triplice premessa.
Primo, se parliamo di veicoli fuoristrada è perché ci occupiamo anche di geografia, e viaggi ed esplorazioni spesso ne richiedono l’uso. Secondo, l’atteggiamento esplorativo, e non puramente sportivo o salutistico, nei confronti dell’ambiente naturale è un’espressione antropologica; in tal senso, l’estinzione in atto dei “fuoristrada veri” forse testimonia un minore interesse per questo genere di ricerca, ma di sicuro rischia di determinare il tramonto di un certo rapporto uomo-macchina che era parte integrante di alcuni mestieri legati alla natura: farmer inglesi, boscaioli, guardie forestali, volontari della protezione civile, viaggiatori di deserti e savane.
Terza considerazione, più generale e a più alti sistemi: la progressiva sparizione di strumenti materiali di elevata utilità e di scarsa apparenza applica un’ennesima spinta verso una società, per dirla con Clint Eastwood, di fighette, una pussy generation che ha paura di tutto, che non sopravvive alla scomodità, ma a cui piace vestire i panni della durezza e dell’avventura.
Auto: non più strumenti ma simboli
Il grande successo dei suv (il 41% circa delle automobili circolanti in Italia) è dovuto a una “non” necessità dell’acquirente contemporaneo, che non potendo più asserire la propria virilità pigiando sull’acceleratore, ormai giustamente osteggiato da autovelox e punti patente, ha deciso o meglio è stato invitato a decidere di travestirsi da Indiana Jones.
Già da parecchi anni la pubblicità ha trasformato l’automobile in qualcosa di filosofico, qualcosa che trascende l’oggetto meccanico e le sue doti concrete, pratiche. Ciascun modello pretende di farsi vessillo di un particolare tipo di maschio (in rari casi, di femmina) il cui traguardo è tendenzialmente quello di distinguersi dagli altri (sebbene a un occhio non allenato quasi tutte le macchine odierne sembrino più o meno identiche).
È come se le volgari questioni materiali dovessero passare in secondo piano. Molti, supponiamo, avranno provato a informarsi su un’auto, un suv, persino un furgone, e si saranno collegati al sito del produttore per conoscere quegli aspetti terra terra tipo cilindrata, velocità, dimensioni, meccanica. Ottenendo al loro posto una carrellata interminabile di foto artistiche con Lui, Lei e i due Figli coi capelli al vento, se non la corsa ai piedi delle eterne immancabili insostituibili montagne desertiche dell’Arizona, oppure il picnic dei fidanzati sullo sfondo dello Snæfellsjökull; ma mai una semplice tabella con gli ingombri della carrozzeria o il peso trainabile. Quelli li trovi un’ora dopo, quando scopri l’esistenza nascosta di una “brochure” da scaricare, possibilmente dopo aver comunicato nome, cognome e indirizzo mail.
In definitiva, tolte le tre o quattro canoniche berline tedesche per le quali è ancora in auge l’immagine dello sgasatore autostradale, fatto salvo qualche ammiccamento a giovanotti e ragazze a bordo di utilitarie trasformate in smartphone, tutto il resto della pubblicità veicolare è un inno all’uomo che ha piantato il lavoro d’ufficio e guida appagato negli angoli più selvaggi del pianeta.
Antiche vie che diverranno impraticabili
Insomma, spot su spot di grandi avventure, che nella vita vissuta si tradurranno raramente in tragitti su strade non asfaltate. Anzi mai, perché la macchina si impolvera, i sassi schizzano, eccetera. La sostanza è che se l’automobile è un simbolo come si diceva, allora suv e crossqualcosa non vengono minimamente intesi – né dai costruttori né dagli acquirenti – come strumenti per “fare” qualcosa bensì come immagini per “sembrare” qualcuno. Chi compra uno di questi veicoli ambientati tra montagne e deserti sa che, pur non posando ruota oltre il ciglio asfaltato, in qualche modo si trasformerà in quel tipo associato al mezzo dalla pubblicità: rude, avventuroso, maschio, libero, padrone del proprio tempo, anticonformista, fuori dagli schemi, alternativo.
E l’automezzo si va via via adattando. Laddove fino a qualche tempo fa si dileggiavano i piloti di poderosi fuoristrada e pickup dalle intatte carrozzerie usati per andare a far compere, oggi si è quantomeno rinunciato allo spreco: inutile investire su longheroni, rinforzi, marce ridotte e blocchi dei differenziali, se nessuno li usa, basta fingere che un’auto li abbia e nessuno si accorgerà dell’assenza. Risultato, negli ultimi anni i fuoristrada si sono trasformati dapprima in suv (cioè auto da strada che possono andare su semplici sterrati senza smontarsi) e poi in crossover (cioè auto da strada in cui si può trasportare un tavolino da picnic).
E d’altra parte, fateci caso, se mai avete messo piede fuori città in zone un po’ selvagge: le uniche macchine che si incontrano sui sentieri di campagna sono le Panda dei contadini o, tra le rocce dei supramontes, le utilitarie scassate dei pastori. Aggiungiamo, nell’Appennino centrale, qualche antico fuoristrada o suv dei cacciatori, ormai troppo vecchi e rincoglioniti (i cacciatori) per avventurarsi in luoghi accidentati.
Qual è il guaio, in tutto ciò? Il guaio è che, nella onnicomprensiva corsa all’uniformazione, non c’è più posto per le attività – quando non le necessità – di persone che vivono all’aria aperta per piacer loro o perché devono svolgervi qualche lavoro. Per esempio, non esistendo più fuoristrada veri, diventa arduo esplorare quelle migliaia di chilometri di sentieri e carraie riportate dalle mappe dell’Istituto Geografico Militare (sì, parliamo di territori dietro casa, non di Sahara algerino), cosicché, con lo spopolamento rurale, questi tracciati spesso ultrasecolari finiranno per scomparire, inghiottiti dalle foreste.
Ma par già di sentire i puristi tuonare contro la presenza del diesel nella natura incontaminata…
A cui replico, per prima cosa, che in trent’anni di percorsi estremi avrò incontrato sì e no mezza dozzina di fuoristradisti per diletto: quando campagne, montagne e foreste verranno squassate dai motori di migliaia di barbari motorizzati, allora sarò il primo a invocare il divieto di accesso; per ora gli unici rompicoglioni, quelli sì, che circolano per i boschi sono i giovanotti che fanno motocross. In secondo luogo, non saranno quattro turisti della domenica con i loro bastoncini o le mountain bike a tenere aperti i sentieri a doppio solco, quelli tracciati dai carri dei nostri antenati.
Due mondi
Alla luce di queste considerazioni, si capisce bene l’ansia degli appassionati che ha accompagnato per un paio d’anni la gestazione del nuovo Defender, dopo l’abbandono nel 2016. Attenzione: non si trattava affatto dell’atteggiamento psicotico di quelli che aspettano l’uscita dello iPhone nuovo e dormono fuori dal negozio; qui non era la novità a interessare ma la sopravvivenza di uno strumento, con l’assicurazione che non si sarebbe estinto e certe attività si sarebbero potute svolgere anche negli anni a venire. Ma grazie alle indiscrezioni e alle foto di prototipi camuffati si faceva strada, mese dopo mese, la consapevolezza del disastro: un ennesimo suv Land Rover, alto tre spanne da terra, infarcito di elettronica. Alla dichiarazione ufficiale secondo cui l’oggetto era monoscocca e con sospensioni indipendenti, ovvero la negazione delle fondamentali doti fuoristradistiche, i timori diventavano certezza.
Per ora nessuno ha visto in azione il Pussy Generation, tranne che in filmati della Casa su terreni francamente risibili, ma che non si tratti di un fuoristrada è quasi matematico.
La struttura
Lo pseudo Defender sembra troppo basso da terra per superare i terreni con avvallamenti e gradinate rocciose, ma se si paga esiste solo per il modello 90 un sistema optional di sospensioni pneumatiche elettroniche (e dàgli con ‘ste centraline) che rialzano la scocca di 7,5 o 14,5 cm rispetto all’assetto normale. Questo trucco (l’avevano anche le Citroen decenni fa) serve agli altri suv Land Rover più o meno per superare marciapiedi alti, ma alle sospensioni rimane un gioco di pochi centimetri che impedisce di viaggiare con l’auto sollevata senza sfasciarla. Qui sarà diverso? Scommettiamo che con l’assetto rialzato le sospensioni diventeranno di legno, non avranno più gioco e sarà possibile soltanto superare un pietrone occasionale o il tanto decantato guado da 90 cm? Di certo nelle immagini ufficiali che proponiamo, allorché il veicolo attraversa un fossato si vede una delle ruote anteriori la quale, invece di assorbire un trascurabile dislivello come farebbe qualsiasi Defender classico, resta sospesa come quella di un vecchio pickup a balestre. In sostanza questo gioiello, su terreno impegnativo, finirà per muoversi su tre ruote, che è esattamente ciò che distingue un suv da un fuoristrada.
La carrozzeria
La carrozzeria è quella di una normale berlina, non di un veicolo dedicato. È sconfortante la scomparsa dei tradizionali punti strategici, come lo scudo posteriore con i suoi fori per montare portabinde, cancelletti portaruota, agganci vari; e le grondine (la cui eliminazione dalle auto moderne è stata solo una scelta estetica), sulle quali gravava tutto un indotto artigianale di barre e portapacchi esposti a sollecitazioni mostruose. Il muso non ha più spazio per anelli anteriori indispensabili al traino; i paraurti d’acciaio e il posto per il paravacche e la protezione dei fari sono svaniti, con disastri in agguato per chi entra nel folto (a volte è indispensabile “spostare” degli ostacoli, come ceppi o roveti, per proseguire). Quanto ai vecchi parafanghi avvolgenti di plastica elastica, perennemente sollecitati dagli ostacoli laterali, sono scomparsi per la gioia dei carrozzieri.
Ma, come ormai stanno notando tutti gli esperti, la novità più insolita è la scocca portante, una soluzione da “berlina” di città sulla quale non sappiamo cosa dire: speriamo che in caso di posizione appollaiata sulle rocce, con la carrozzeria debitamente contorta, le portiere continuino ad aprirsi e chiudersi…
Va aggiunto che in Europa, soprattutto da noi e in Inghilterra, operano vari artigiani e aziende che producono kit di modifica per i Defender, in particolare per rialzarli e aumentare le corsa delle sospensioni: si tratta spesso di modifiche davvero utili per affrontare terreni con grossi sbalzi. Che fine farà questa affascinante nicchia? Adatterà i suoi prodotti al nuovo modello o chiuderà i battenti, visto che – verosimilmente – nessuno userà il 2020 per affrontare terreni così impervi?
L’elettronica
Il costoso veicolo, gira voce, avrebbe una trentina di centraline e appare più digitalizzato di un Boeing. Inutile entrare nei particolari, che neppure conosciamo, poiché l’argomento “elettronica” nel mondo offroad si riassume in due punti fondamentali. 1) Più ce n’è, più rischia di bloccarsi tutto, e per veicoli che girano in luoghi inaccessibili è un disastro. 2) Se i suv e i loro possessori possono, anzi devono, basarsi sull’elettronica per controllare la trazione, i fuoristrada assolutamente no. Questi affidano l’aderenza su terreno accidentato o scivoloso al blocco meccanico del differenziale centrale (o di tutti e tre), così che nessuna ruota giri a vuoto; al fatto che ciascuno dei due assali resti il più possibile incollato al terreno; al tipo di pneumatico e alla relativa pressione adattati di volta in volta alla conformazione del suolo. Qualsiasi altro dispositivo di controllo dei giri, di antiscivolamento o di antibloccaggio può modificare o neutralizzare le manovre di un guidatore esperto, creando gravi pericoli.
L’elettronica, in sostanza, deve essere ridotta al minimo per scongiurare guasti nonché essere strettamente funzionale agli scopi. Per esempio, i trattori moderni aumentano ogni anno le dotazioni digitali (quelle professionalmente indispensabili, come la navigazione gps), il comfort della cabina e la sicurezza, ma non diminuiscono le loro doti operative sul… campo, né si sognano di superare i 40 km/h sull’asfalto. Anche questo, tra l’altro, è un discrimine: un fuoristrada che raggiunga i 200 km/h in autostrada non è un fuoristrada. E non si tratta di una considerazione “filosofica” ma pratica, ché una struttura e una meccanica studiate per l’offroad non lo permetterebbero.
(Post scriptum: sul fatto che al momento nessun modello del 2020 abbia il cambio manuale non diciamo nulla per mancanza di parole.)
No al purismo sciocco
Una parentesi a proposito di filosofie e teorie estetiche: battere troppo sul fatto che il Defender è “uno stile” (ovvero chissenefrega delle botte sulla carrozzeria, del freddo, del caldo, del frastuono, della scomodità interna) rischia di far cadere i puristi nello stesso errore dei fighetti, dando un inutile peso all’apparenza. Nella pratica, i miglioramenti dovrebbero essere ben accetti, a patto di essere veramente tali nel senso di facilitare le pratiche – professionali o ricreative – di chi viaggia. Nella mia personale esperienza (e lunga: almeno 200.000 km fuoristrada) ho avuto per una dozzina d’anni un Td5 e per un altro decennio abbondante il suo successore, il Td4. Quest’ultimo è stato salutato per qualche tempo dai puristi come un “ammorbidimento” stradale del precedente “trattore” per via della sesta marcia, degli interni un po’ più comodi e di qualche, diciamo così, concessione.
Ebbene, non ho verificato la benché minima differenza tra i due modelli per quanto riguarda ciò che conta davvero, cioè l’efficienza offroad, mentre ho apprezzato il fatto di potermi spostare in autostrada senza consumare come una petroliera. Quanto ai conforti aggiuntivi, sono assolutamente funzionali ai percorsi fuoristrada. Chiunque guidi nella boscaglia d’estate sa che i finestrini elettrici non sono “comodi”, sono indispensabili: entrambi i vetri laterali vanno continuamente tirati su e giù mentre si costeggiano roveti e rami che minacciano di invadere l’abitacolo; e con le manovelle è impresa disperata. Un riscaldamento finalmente funzionante dal dopoguerra è il minimo per chi si muova in posti freddi, mentre l’aria condizionata la possiamo considerare una scelta sibaritica eventualmente lungo una statale, dove si potrebbero abbassare i finestrini, ma non certo su un tratturo in luglio o agosto, quando il veicolo viene scambiato per una mucca da migliaia di tafani.
Il prezzo
Ma anche se questo aspirante Defender fosse stato studiato veramente per operare fuoristrada, basterebbe un solo elemento per affossare il progetto: il prezzo. Quasi sessantamila euro – che secondo alcuni addetti ai lavori con i vari “pacchetti” potrebbero diventare centomila – non si portano a spasso nei boschi, così come nessuna donna indosserebbe un abito esclusivo di Dior per fare trekking tra i rovi. A quale utente hanno pensato, quei geni dei progettisti? Contadini, allevatori, boscaioli? Pompieri o forestali? Ai militari di vari Paesi che trasformavano il predecessore in autoblindo? A chi fa fuoristrada nel Vecchio Mondo o ama attraversare il Sahara? La risposta viene spontanea: a qualche ricco figlio di papà americano che la userà per andare a farsi l’aperitivo.
Nel frattempo imprenditori più furbi tenteranno di prendere il posto del vecchio Defender. Sarà un caso che la Suzuki abbia appena tirato fuori una versione del Gimny che sembra un Defender in sedicesimo, con quelle stesse forme squadrate che – raccontava qualcuno – andavano contro tutte le norme di sicurezza?
Dichiarato, invece, l’intento del miliardario britannico Jim Ratcliffe, innamorato del Defender tradizionale e senza dubbio beninformato sui progetti Land Rover, tanto da aver messo in cantiere da un paio d’anni un fuoristrada duro e puro chiamato Grenadier. Avrà motori Bmw, sarà fabbricato nel Galles e costerà intorno ai 40.000 euro. L’ultima speranza, diciamo.
Morale della favola
Le nostre considerazioni di carattere motoristico non toccano che aspetti collaterali del fenomeno di trasformazione da Uomo a Metrosexual – per dirla con Simpson, De Benoist, Zemmour e tanti altri – nella cui mente sta prendendo forma un modello di “natura come prolungamento del divano di casa”. Un soggetto, la natura, di cui parlare molto e con passione, ma da frequentare il meno possibile nelle sue forme più autentiche. Da qui alla sterilizzazione di alcuni territori il passo è breve, come testimoniano le polemiche sulla ripresa delle popolazioni di lupi e orsi in alcune regioni. Il caso del Trentino è emblematico, con le sue inutili controversie sulla presenza di qualche orso bruno, uno splendido animale che nella versione europea è relativamente inoffensivo (se non si va a rompergli le scatole), come testimonia la sicurezza dei boschi sloveni e croati in cui si aggirano almeno 1500 esemplari, con una crescita annua del 4-5 per cento.
Ma il metrosexual, quello per il quale abbiamo trasformato i fuoristrada in suv, pretende che montagne e foreste diventino un’estensione dei giardini pubblici.