Nella scorsa puntata sulla Valtiberina toscana parlavamo di un percorso etrusco da Populonia verso l’Adriatico con precise caratteristiche astronomiche verso la levata del sole, sottolineando la funzione propiziatoria di questa scelta.
L’antica direttrice entrava in Valtiberina passando per la cittadina di Anghiari e proseguiva verso la dorsale appenninica presso Vesina (toponimo etrusco) e il Passo delle Vacche. Come suggerisce anche l’ultimo nome, si tratta di un percorso coincidente con una delle tradizionali vie di transumanza, che in questi Appennini riprendono assai spesso la precedente viabilità etrusca. 1)
Di questa strada non c’è più traccia… o meglio, c’è quella che si ritiene costruita nel XIV secolo dall’allora signore vicario del borgo toscano, Piero “Saccone” Tarlati, come collegamento per la vicina Sansepolcro. Si tratta di una strada “solstiziale” senza ombra di dubbio. Anzi, è rinomata nei secoli proprio perché il giorno 21 di giugno poco prima delle 6 il sole sgorga da dietro le montagne e si riversa lungo il rettilineo. 2)

triangolo francescano anghiari la verna montecasale È la stessa strada del tempo etrusco in versione medievale? Non proprio. Se entrambi i percorsi hanno una radice “astrale”, quello antico segue un azimut di 56-57°, il più recente di circa 62°. Chi ha ragione dei due? Dipende, letteralmente, dai punti di vista. A questa latitudine, tra i 43° e i 44° N, la levata del sole al solstizio d’estate ha effettivamente un azimut di circa 56°. Semplificando, se guardiamo verso nord il sole spunta più o meno a “ore due” alla nostra destra. Eppure dalla sommità di Anghiari lo vediamo comparire e incanalarsi nello stradone con un angolo di 62°. La spiegazione in questo caso è facile: pur nascendo com’è ovvio a 56°, l’astro resta coperto dalla catena di rilievi oltre la piana finché, salendo con una traiettoria obliqua, salta fuori da una montagna alta circa 1100 metri con un azimut superiore di 5°. Ecco che abbiamo una misurazione teorico-astronomica (56°), e una empirico-geografica (62°). Esattamente i due rispettivi approcci dei costruttori: gli etruschi che prendono le loro decisioni spaziali scrutando le stelle, gli uomini del medioevo che si orientano in base alle coordinate terrestri apparenti.
Lo stradone dunque non sembra avere antenati, essendo alquanto divergente dalla direzione etrusca e tagliando anche in modo imperfetto l’andamento della centuriazione romana del I secolo che si è ipotizzata intorno ai 27°. 3) Da questo momento in poi, quindi, le singolarità di questo secondo allineamento abbandonano ogni parentela con la protostoria e cominciano a vivere di vita propria.
Un esempio: lo spettacolo, come viene spesso descritto, è un sole che illumina lo stradone sorgendo dalla direttrice in cui si trova Montecasale. È questo un eremo immerso nei boschi a mezza costa sul lato opposto della piana del Tevere, a circa 700 d’altitudine. Quello che pochi sanno, tuttavia, è che tracciando la linea solstiziale di 62° che s’impernia alla sommità dello stradone e lo percorre verso la dorsale appenninica, la linea stessa va a “posarsi” sul tetto della chiesa al centro dell’eremo. Tra l’altro il fatto è riscontrabile, se si ha fortuna, grazie a un fenomeno ottico che può capitare trovandosi dalla parte opposta, sulla terrazza del convento: se è appena piovuto e se c’è parecchia luce, in lontananza, giù in basso, compare come una striscia argentea lo stradone di Anghiari, unico elemento netto e brillante al centro di un paesaggio sfumato, esattamente di fronte all’osservatore.

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Il tetto di Montecasale con lo stradone sullo sfondo.

È interessante notare che Montecasale fu costruito dai camaldolesi verso la fine del XII secolo e poi ceduto a Francesco d’Assisi e ai suoi seguaci intorno al 1212 (oggi appartiene ai cappuccini). Il luogo è quindi “francescano” nel pieno senso della parola, Vi avvennero molti fatti miracolosi, come la conversione dei ladroni e l’episodio dei cavoli piantati a testa in giù.
Lo stesso ambiente fisico, che potremmo definire di “orrida bellezza”, è in perfetta sintonia con le scelte estetiche del Poverello, che aveva una capacità sovrumana di scovare questo genere di posti affascinanti quanto inquietanti nell’Appennino centro-settentrionale.
Se poi vogliamo approfondire l’altro punto sulla retta, cioè la sommità anghiarese dello stradone, esso coincide con la chiesa detta della Croce. Il nome (e l’edificazione stessa) deriva dal fatto che San Francesco, durante uno dei suoi spostamenti da e per il santuario della Verna, piantò in quel punto una croce di legno. Si dice che ciò avvenne nel 1224, alla confluenza di tre sentieri, e ancora oggi quello si può definire un trivio.
Viene da chiedersi se, essendo le estremità a e b di un segmento di retta coincidenti con luoghi francescani, anche la retta stessa non abbia a che fare con il santo. La cronaca ufficiale risponderebbe di no, essendo lo stradone del XIV secolo. Roberto Manescalchi, medievalista e storico dell’arte, è invece convinto che la via fosse preesistente: si ha infatti notizia di un unico documento in cui si accenna all’opera, dove si legge che Tarlati doveva mantenerla “della larghezza di diciannove braccia”.
A ciò si aggiungano alcune stranezze, come le dimensioni stesse, oltre dieci metri, insolite per una carreggiata rurale. O anche la posizione del tracciato, che non nasce dal nucleo dell’abitato dell’Anghiari trecentesca ma dalla collina allora semideserta alle sue spalle, e poi scende al piano quasi scansando le mura di cinta; tanto che la crescita urbana dei secoli successivi ha come inseguito questa main street creando una sorta di sdoppiamento della cittadina. 4)

triangolo francescano anghiari la verna montecasale Anche lo sviluppo a valle dà i suoi grattacapi: il tracciato come abbiamo detto ignora la centuriazione romana, e siccome questa si è mantenuta nei millenni fino ai giorni nostri, significa che la costruzione, in qualsiasi epoca sia avvenuta, ha affettato a spicchi i campi travolgendo filari e fossati, non si sa con quanta gioia dei proprietari.

Una doppia parentesi solstiziale

Dopo aver ragionato su alcune apparenti incongruenze di questa strada – che oggigiorno nell’abitato si chiama Corso Matteotti e a valle SP43 –  ci rimangono un paio di certezze: il nostro segmento di retta parte da un luogo francescano e raggiunge un altro luogo francescano in linea con la levata del sole al solstizio d’estate. Puro caso, forse.
Peraltro, Roberto Manescalchi aveva già individuato qualche anno fa sulle mappe altre due strade solstiziali, una ad Assisi e l’altra a Foligno.


La prima coincide, come tratto di partenza, con la SP404 da Costano per 3 km verso Santa Maria degli Angeli, dove la linea (azimut 62,3°) passa di fianco alla Porziuncola e prosegue poi come SR147 verso le pendici del Subasio, attraversando prima il centro di Assisi. A parte trovarci nella città natale del santo, i richiami francescani non sembrano sostanziali: poco fuori Costano, lungo la provinciale sorge effettivamente una piccola chiesa, San Francesco dei Mietitori, dove l’instancabile viaggiatore aveva fatto sgorgare una sorgente miracolosa per dissetare i contadini. Ma, proseguendo, la linea passa almeno 200 metri a ovest della Porziuncola e, arrivata in città e oltre, non tocca luoghi sensibili come potrebbero essere la casa natale dell’asceta, la basilica dove è sepolto o l’Eremo delle Carceri (anzi, a ben vedere l’unico monumento interessato è l’abbazia di San Pietro, benedettina, praticamente la sola struttura non francescana di Assisi).
L’aspetto astronomico è invece ragguardevole, in quanto i 62 gradi accoppiati all’altitudine dei monti sullo sfondo fanno sì che, stando sulla provinciale di Costano, l’effetto incendiario del 21 giugno sia teoricamente identico a quello anghiarese.
Non teorico, anzi assolutamente verificato sul campo, è quello della seconda strada solstiziale. Il 21 giugno 2022, Manescalchi e io ci piazzammo in attesa in località Fiammenga sulla SR316 che da Bevagna porta a Foligno, e intorno alle 05,58 il sole spuntò dall’Appennino alle spalle di Foligno (stesso effetto ritardato dall’altitudine a giustificare l’azimut di 61,3° dello stradone) con uno spettacolo di indescrivibile suggestione.

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21 giugno 2022: il sole sorge in linea con la SR316.

Richiami francescani? Non pochi, per quanto riguarda Bevagna. Il santo passava spesso dalla cittadina, posta su uno dei suoi itinerari preferiti da Assisi alla Valle Reatina. Da queste parti tenne la famosa predica agli uccelli e compì alcuni miracoli, tra cui la restituzione della vista a una donna cieca.
La nostra linea solstiziale umbra – compresa come le altre tra 61 e 62 gradi – a est attraversa longitudinalmente la Madonna della Fiammenga, una chiesa folignate iniziata dopo la metà del XII secolo e frequentata da viandanti e pellegrini che seguivano la via lauretana (quindi coeva di Francesco e prossima ai suoi itinerari); mentre a ovest si infila nel centro storico di Bevagna. Ma anche qui come ad Assisi non sembra collegata a un punto preciso e significativo. La chiesa di San Francesco ospita la presunta pietra su cui il santo avrebbe tenuto la predica agli uccelli, ma è stata costruita quasi mezzo secolo dopo la sua morte; e se anche fosse stata ubicata in un luogo importante per lui (e non è da escludersi: sorge sopra un tempio romano, e Francesco era specializzato nella cristianizzazione di siti pagani), questa chiesa dista almeno duecento metri dalla linea solstiziale.

L’esempio michelita

Si potrebbe obiettare che qualche centinaio di metri sono poca cosa nell’economia di segmenti lunghi svariati chilometri, soprattutto se frutto di qualche misterioso calcolo medievale. Ma, messi da parte i rapporti innegabili con il solstizio d’estate, per insinuarci il sospetto che qui esista una geometria intenzionale di qualche tipo non basta che una retta passi “da” o peggio “vicino a” un luogo. Intanto – opinione personale  – non dovrebbe trattarsi di una retta bensì di un segmento, ovvero di una linea che inizi da un punto A e termini in un punto B, o ne tocchi prima altri fino a disegnare una figura compiuta.
Ne costituisce un esempio su grande scala la Linea di San Michele, tracciata sulla superficie terrestre dall’arcangelo con un colpo di spada inferto al drago satanico. Questa la leggenda, ma nel mondo reale abbiamo una linea lunga 4200 chilometri che unisce il monastero di Skellig Michael in Irlanda a quello di San Michele sul Monte Carmelo, in Israele, dopo averne toccati altri cinque più o meno equidistanti in Cornovaglia (St Michael’s Mount), Normandia (Mont St. Michel), Piemonte (Sacra di S. Michele), Puglia (Santuario di S. Michele Arcangelo) e Grecia (Taxiarchis Mihail).  L’azimut della linea michelita coincide con il tramonto del sole al solstizio d’estate.
Innegabilmente, sono in molti a mettere in dubbio la volontarietà di queste ubicazioni, ma almeno qui possiamo giovarci di un elemento cultural-astronomico unificante collegato a una serie di punti precisi sulle mappe. 5)

Geometrie

Resta il fatto che anche la nostra direttrice solstiziale Anghiari – Montecasale è un segmento. Il suo punto di partenza “cittadino”, si diceva, corrisponde a un trivio presso la Croce. L’anno scorso, giungendo all’incrocio da nord, e ripensando alle nostre chiacchierate astronomiche sullo stradone, una mia amica fiorentina assai curiosa di storia e geografia si chiese: “Ma se girando alla mia sinistra scendo verso la piana e poi risalgo a Montecasale, alle mie spalle cosa c’è?”. 6) Ottima domanda. Per rispondere, aprii il programma Google Earth e provai a tracciare una linea verso nord perpendicolare allo stradone. Si determinò così un angolo di 90° tra due rette, una che portava sul tetto di Montecasale e l’altra che finiva esattamente… sul tetto di Santa Maria degli Angeli, la prima chiesa della Verna.
Venne poi spontaneo chiudere la figura e tracciare un triangolo rettangolo. Le successive misurazioni si dimostrarono anch’esse stuzzicanti. Il cateto B (quello di Montecasale) misura 12,2 km, la metà esatta dell’ipotenusa C (24,4 km). Il cateto A (La Verna – Croce) misura 21,06 km, e nel percorrerlo si scopre che a metà si trova la chiesa di San Polo, in comune di Caprese Michelangelo. Durante le sue frequenti discese verso sud dalla “centrale” della Verna, Francesco passava davanti a questa chiesa in costruzione, tanto che un giorno si fermò ad aiutare gli operai sollevando sulle spalle e posando il pesante architrave in pietra di una porta laterale (tuttora visibile). 7)

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San Polo, la porta laterale (murata) e l’architrave sollevato da Francesco.

Infine l’ipotenusa C non tocca alcun luogo rimarchevole, ma ha un azimut di 122°, cioè la levata del sole al solstizio d’inverno (che alla latitudine della Verna, φ 43,70°, è precisamente 122,43 gradi). In altre parole, il “triangolo” di San Francesco ha in sé il solstizio d’estate e quello d’inverno; entrambi misurati, tra l’altro, sul “sorgere apparente” in quanto il punto d’osservazione della Verna si trova a 1120 metri di quota e non sono presenti montagne più alte in direzione del sole nascente. 8)

Altri calcoli

Il triangolo rettangolo tra luoghi francescani e con l’orientamento di due solstizi è già di per sé interessante. Ma non poteva mancare da parte nostra il tentativo di forzare la mano e scoprire nuovi punti proseguendo lungo le tre linee. Soprattutto per vedere se il prolungamento del lato A finisse a incrociare altri luoghi francescani in Umbria e Lazio. I risultati, qui, sono alquanto deludenti.
C’è comunque una considerazione non banale: il fatto che il cateto B sia la metà spaccata dell’ipotenusa C suggerisce che il nostro triangolo rettangolo potrebbe essere la metà destra di un triangolo equilatero.
Tracciando la continuazione verso occidente del cateto in questione, tenendo un azimut di 62,5° e aumentando la lunghezza di circa 400 metri, l’unico elemento che si incontra per costruire la nuova base è una seconda pieve di San Polo vicino ad Arezzo. Non ha richiami storici francescani, per quanto vi sia raffigurato un Sant’Antonio Abate con il bastone a forma di tau, “marchio di fabbrica” del poverello; ma l’affresco (non bello) è quattrocentesco. O può essere che questo edificio di origini paleocristiane avesse per il nostro un significato che ignoriamo?   

triangolo francescano anghiari la verna montecasale Se il nuovo vertice l’abbiamo un tantino tirato per i capelli, il lato che lo ricongiunge alla Verna offre però una sorpresa: dopo aver sorvolato montagne e fitte foreste, passa esattamente sopra uno dei luoghi più rappresentativi nella vita di San Francesco, lo sperdutissimo Eremo della Casella, posto a 1270 mslm lungo uno dei sentieri francescani (un altro, parallelo, come dicevamo passa dal primo San Polo) che conducevano dalla Verna ad Assisi e oltre.
Da una parte è singolarissimo che, per quanto fantasioso, questo triangolo equilatero tocchi quattro dei cinque principali luoghi francescani della Valtiberina toscana; dall’altra, a ridimensionarlo è proprio il fatto che non sfiori neppure il quinto. Si tratta dell’Eremo di Cerbaiolo – anch’esso con il suo debito contesto aspro e inquietante – talmente significativo da suggerire il detto popolare “Chi ha visto la Verna e non Cerbaiolo / ha visto la mamma ma non il figliolo”… E hai voglia di tirare righe e calcolare angoli: non c’è verso di inserirlo in una costruzione geometrica.

La sequenza

Torniamo dunque al nostro triangolo rettangolo. La sua strutturazione unita alla consapevolezza che gli uomini del passato hanno basato tantissimo sulle misurazioni astronomiche e topografiche (al punto che l’archeoastronomia rappresenta probabilmente il futuro della ricerca) mi fanno pensare con una certa incredulità a una serie di coincidenze.
Tuttavia, per approfondire l’argomento è indispensabile prendere in considerazione due aspetti. Primo, quali elementi geometrici nascano da scelte fondamentali e quali invece ne discendano per forza, cioè siano secondari e insignificanti. Secondo, quanto e come l’orografia abbia potuto assecondare o invalidare la volontarietà delle suddette scelte.
Per esempio, il fatto che i lati B e C seguano le levate dei due solstizi suggerisce che A sia semplicemente il lato di congiunzione tra i precedenti per formare un triangolo. Il suo azimut di 152° infatti non ha un significato e la continuazione della retta non porta a nulla.
Anche i vertici hanno una loro scala di valori. Intanto la direzione del solstizio d’inverno è presa dalla Verna mentre quella del solstizio d’estate sembra presa da Anghiari. Sembra, ma ne siamo sicuri? Qui entra in gioco l’orografia. Spesso gli appassionati di allineamenti si lasciano prendere la mano dimenticando che certi siti sono stati scelti dalla natura prima che dall’uomo. Per capirci, se nelle piane desertiche dell’Anatolia trovo un certo numero di siti megalitici che disegnano una costellazione, posso essere quasi certo che si tratti di un progetto umano. Se invece a essere frequentate sono altrettante grotte carsiche, cioè preesistenti, individuarci qualche significato fa di me un esoterista più che un ricercatore.
Ora, di “orridi” tipicamente francescani come La Verna, Cerbaiolo, Montecasale o un paio di santuari della Valle Santa reatina non è che se ne trovino ogni cento metri. Considerando La Verna, con le sue forre sinistre e il suo Sasso Spicco, il punto di partenza storico del francescanesimo “settentrionale”, è già una fortuna che l’azimut del solstizio invernale mi porti a incrociare un eremo, come quello di Montecasale, dotato di cascata vertiginosa dietro la quale si apre un secondo Sasso Spicco.

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Il “sasso spicco” di Montecasale. In questo passaggio San Francesco era solito sostare in meditazione.

A questo punto, così come ho (mi immedesimo nel Progettista!) raggiunto l’eremo inseguendo il sol invictus, desidero completare una simbologia antica come l’uomo raggiungendolo anche con il sole estivo. Per fare ciò devo seguire a ritroso il cammino solare… fino dove? all’infinito? No, fino a incrociare una linea logica che, con la pulizia di un angolo retto, metta in comunicazione tutti gli elementi della struttura. Ed ecco che in quel punto, fuori da un piccolissimo abitato e senza alcun particolare riferimento, pianto una croce in terra. E proprio da lì partirà una strana strada che sembra disegnata più in funzione di un eremo sperduto sui monti che della città che deve raggiungere, Sansepolcro.
La sequenza cronologica ci conferma che San Francesco cominciò a frequentare la Verna e Montecasale intorno al 1213, ma piantò la croce anghiarese una decina di anni dopo. Anche dando per buona la soluzione “triangolo equilatero”, l’Eremo della Casella non è servo dell’orografia, essendo costruito in un posto normale come ce ne sono più a nord lungo il sentiero dalla Verna. 9)

Ma qual è il senso?

L’intento era descrivere uno schema geometrico assai preciso e dal forte carattere simbolistico che si delinea prendendo in esame esclusivamente siti collegati a Francesco d’Assisi. Altra cosa è, naturalmente, comprendere il senso di tutto ciò.
Tuttavia non mi sembra di scadere nella fantastoria o nell’esoterismo affermando che, non soltanto nelle età precristiane, ma anche e non meno in quella cristiana, l’architettura sacra sottostava ad accurati criteri legati ai fenomeni geo-astronomici. Come ricorda Eva Spinazzè, autrice di straordinarie ricerche su questa materia, nel medioevo “esisteva senza dubbio la tradizione di orientare gli edifici di culto verso la levata o la calata di alcuni corpi celesti in date rilevanti dal punto di vista liturgico o astronomico”.
È un costume già noto; ma i rilievi della Spinazzé, condotti in situ su un gran numero di chiese con precisi strumenti di georilevazione, prendendo in considerazione parecchi punti astronomici e incrociando il tutto con i dati storici e agiografici, hanno dimostrato che l’edificazione in base a un azimut prefissato aveva una diffusione impressionante.
Rari, dunque, gli orientamenti casuali; tenendo conto che nei secoli paleocristiani prevalevano gli allineamenti astronomici “puri” (per esempio la linea equinoziale est-ovest) mentre nel medioevo si tendeva a “puntare” (l’abside, generalmente) verso il sorgere del sole, ma anche della luna o di una costellazione, in una particolare data del calendario. Poteva trattarsi delle feste dedicate alla Madonna, del giorno in cui si festeggiava il patrono della singola chiesa oppure di qualche altra ricorrenza importante. (Per esempio, i templi francescani hanno spesso la porta d’ingresso rivolta verso il tramonto del sole nel giorno celebrativo del santo, il 4 ottobre, con azimut attorno ai 265°.)
Anche qui, come per i nostri rilievi valtiberini, era – ed è, per lo studioso attuale – “fondamentale determinare l’altezza angolare di un ostacolo visivo sull’orizzonte, come ad esempio montagne, boschi, nella direzione dell’asse dell’edificio sacro e nelle direzioni delle aperture quando si studia anche il percorso della luce, poiché si vede il sole nascente in ritardo dietro un profilo montuoso e spostato, cioè con un azimut maggiore; invece al tramonto si vede il sole scendere dietro la montagna in anticipo e con un azimut più piccolo”. 10)

triangolo francescano anghiari la verna montecasale Un ulteriore criterio era l’allineamento per ottenere in determinati giorni un effetto luminoso, una “mistica della luce” per cui i raggi del sole alla nascita o al tramonto entrano da un rosone o da una feritoia (accuratamente studiati e posizionati) per colpire l’altare, una teca di reliquie o altri elementi interni.
I primi orientamenti più strettamente astronomici di cui parlavamo sono spesso da ricondurre a scelte precedenti – pagane di età classica e ancor prima protostoriche – essendo stati ricavati sopra impianti precristiani. Nei secoli successivi la simbologia edilizia geo-astronomica e, diciamo così, geo-agiografica si mantenne soprattutto per edifici rurali isolati, mentre con l’urbanesimo medievale e il rinascimento le chiese cittadine finirono per conformarsi all’andamento viario e non più ai punti cardinali. Negli ultimi quattro secoli si è addirittura persa la memoria di questi criteri architettonici.
Esistono comunque casi in cui allineamenti e rapporti astronomici intercorrono, come nel nostro schema, tra edifici diversi.
Ne abbiamo un possibile esempio a Tuscania, dove due basiliche, S. Pietro (XI sec.) e S. Maria Maggiore (XII), sorgono vicinissime sullo stesso versante di un colle, la prima alla sommità e la seconda più in basso. Secondo uno studio, 11) sono orientate rispettivamente verso il solstizio d’estate e il solstizio d’inverno, rispondendo a un complesso progetto unitario di mistica della luce cristiana, sovrapposte a substrati architettonici paleocristiani (forse IV sec.) in diretta concorrenza con ulteriori substrati pagani, che a loro volta potrebbero essere adattamenti di una coppia di santuari protostorici (la cima del colle era l’arce dell’abitato etrusco). In altre parole, il culto del sole interpretato dalle “amministrazioni” che si sono succedute.
In provincia di Isernia, un’altra indagine ha ricostruito un folto reticolo straordinariamente preciso di siti sannitici che sembrano rispondere alle “misure auree” teorizzate dalla coeva scuola pitagorica (e ciò vale per le misure sia di singoli edifici sia del rapporto spaziale tra gli stessi). Interessante notare come, ancora una volta, a far parte integrante del reticolato si trovino alcune chiese cristiane chiaramente poste in sommità di una stratigrafia sannitico-romana. 12)
Esiste quindi questa corsa del cristianesimo medievale ad appropriarsi di divinità, personaggi, simboli e culti pagani per riproporli ai nuovi fedeli senza traumi (come raccomandava Gregorio I Magno: “Idolorum fana ne destruat, sed in ecclesias mutet”). E dalle etichette delle acque minerali apprendiamo che quasi tutte le fonti e le sorgenti, un tempo dedicate a divinità taumaturgiche e ninfe, hanno oggi nomi di santi cattolici.
Ora, se vogliamo tornare a Francesco da Assisi, un coinvolgimento in queste dinamiche simbologiche del sincretismo pagano-cristiano sarebbe giustificato, per esempio, dalle teorie che lo vogliono sostanzialmente uno “stregone”, ovvero dal punto di vista dell’antropologo, uno sciamano. 13) E gli indizi ci sono: comandava gli animali, praticava la divinazione e il culto degli alberi, faceva sgorgare acque, entrava in trance, abitava in spelonche dove si officiavano riti ancestrali, come le grotte dedicate all’oscura dea Laverna (da cui il nome del santuario).
Ma vale anche il contrario, ossia che Francesco abbia utilizzato a sua volta la politica del sincretismo dall’interno, trasformando non solo edifici ma anche pratiche pagane in cristiane. D’altra parte, alcuni dei luoghi in cui operava – soprattutto il Casentino e la Valtiberina – hanno conservato nei secoli un nocciolo duro pagano, addirittura etrusco, sopravvissuto secondo lo studioso Charles Godfrey Leland fino a fine Ottocento, e secondo noi anche oltre. 14) Muoversi in questo ambiente venendo accettato da popolazioni rurali (attenzione: culturalmente diversissime da quelle cittadine del XIII secolo) che vivevano in simbiosi con la stregoneria, oggi antropologicamente riconosciuta come sopravvivenza di culti pagani, significava parlare la stessa “lingua”: spogliarsi dell’abito punitivo della Chiesa ufficiale, indossare il saio e abbandonare la ricca città per aggirarsi tra sorgenti miracolose e foreste sacre.
Il forte rapporto, insolito per un mistico dell’epoca, tra Francesco e la natura è stato sottolineato da molti studiosi, alcuni dei quali ritengono che il Cantico rappresenti “un manifesto implicito contro le teorie catare, che attribuivano a Satana la creazione o l’ordinamento del mondo fisico, coinvolgendo nella condanna anche quegli aspetti di vita ecclesiale e sociale (come l’Eucaristia e il matrimonio) che in forme diverse comportano contatto con la materia”. 15)
E un compendio di inno al creato fisico e di riappropriazione quasi “paleocristiana” del culto solare ancestrale come significante del vero Dio si trova proprio nel Cantico delle creature, la composizione in volgare umbro conosciuta anche come Cantico di frate Sole:

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Ovviamente ci ripromettiamo di continuare la ricerca. Per ora ci resta da commentare che se questi allineamenti coinvolgessero non soltanto luoghi francescani ma anche per ipotesi i loro fondatori, difficilmente troveremmo personaggio più indicato di Francesco da Assisi come protagonista del nostro mistero.

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N O T E

1) “In Toscana, una trama viaria di questo tipo [cioè di transumanza] doveva essersi complessivamente già disegnata e consolidata in epoca etrusca, in relazione agli intensi scambi tra le città della costa tirrenica e quelle adriatiche e comunque con le varie popolazioni  transappenniniche. Lungo alcuni di questi itinerari, infatti, sono stati rinvenuti reperti archeologici di epoca etrusca: ad esempio la stipe votiva del Lago degli Idoli presso la sorgente dell’Arno, o il così detto Sasso Scritto, iscrizione etrusca rinvenuta sul Poggio di Firenze”. Lidia Calzolai, Vie di animali e uomini. Gli itinerari della transumanza in Toscana, Trieste 2018.
2) S’intende l’ora legale. Per qualche strano motivo (o per la fantasia di qualche assessore) i turisti vengono richiamati ad assistere allo spettacolo il 15 luglio, quando l’azimut è aumentato di un paio di gradi. Lo spostamento è minimo e il sole si allinea ugualmente alla strada, ma non è chiaro perché si debba festeggiare un fenomeno solstiziale con 24 giorni di ritardo.
3) Alice Cartocci, Analisi del paesaggio dell’Alta Valle del Tevere attraverso tecniche di remote sensing e GIS, 2010 Ferrara.
Donatella Scortecci, La Media e Alta Valle del Tevere dall’antichità al medioevo, 2012 Umbertide.
4) Ad accorgersi per primo di queste incongruenze è stato lo studioso anghiarese Paolo Tofanelli.
5) La Linea di San Michele è un insieme di punti lungo la superficie terrestre dove passa l’ultimo raggio di sole al tramonto del solstizio d’estate, quindi per precisione dovrebbe essere leggermente arcuata. Di fatto, per comodità viene spesso rappresentata come una successione di segmenti lievemente disallineati, tenendo conto che l’azimut solare varia di 2-4 gradi a seconda delle rispettive coordinate geografiche. I siti antibufale che tirano righe infantili tra un santuario e l’altro per dimostrare che non sono sulla stessa linea, come al solito non hanno capito nulla.
6) Si tratta di Elisa Sassolini, che ringrazio per l’intuizione.
7) Per la precisione, dalla Verna a San Polo 10,8 km, da San Polo alla Croce 10,25. Il cateto A passa una sessantina di metri e est della chiesetta.
8) In altre parole, con 122° gradi il “sorgere apparente” e il “sorgere astronomico” coincidono.
9) Secondo un manoscritto del 1228, confermato da un libro fiorentino del 1628, Francesco nel settembre 1224 lasciò la Verna per l’ultima volta e si diresse verso Assisi attraversando l’Alpe di Catenaia. Giunto dove oggi sorge l’Eremo della Casella, sapendo di non essere lontano dalla morte, si volse per lanciare l’ultimo saluto alla sua vecchia sede, quindi fece piantare una croce ai compagni, raccomandando che in quel luogo venisse costruito un edificio sacro. Dunque l’ubicazione fu una sua scelta, ma non dettata da obblighi paesaggistici troppo stringenti in quanto ci sono lungo il percorso tappe in cui la Verna è più visibile.
10) Eva Spinazzè, The alignment of medieval churches in northern-central Italy and in the Alps and the path of light inside the church on the patron saint’s day, Mediterranean Archaeology and Archaeometry, 2016.
Scrive la studiosa: L’importanza dell’orientare un edificio sacro con il sorgere del Sole sta in questa frase: “È sorto il Sole, è nato Cristo che ha riempito il mondo con la manifestazione del suo splendore; sorge la luce chiamata Giustizia, il Cristo, portatore di salvezza” (Gaudenzio di Brescia).
Per la cultura cristiana anche il tramonto assumeva un profondo significato, in quanto come dice il Salmo 103, il Sole ha conosciuto il suo tramonto, così come Cristo ha percorso la sua Passione; simbolicamente, il tramonto è pertanto associato alla passione di Cristo.
L’orientazione di un edificio sacro sottolinea pertanto il significato simbolico del suo spazio: l’architettura orientata al solstizio di estate rappresenta la fase discendente del ciclo solare, invece quella orientata al solstizio di inverno rappresenta la fase ascendente, detta anche porta degli dèi, del Sole, del Cielo, infatti da quel giorno nell’emisfero settentrionale le giornate diventano via via sempre più lunghe e questo momento viene considerato “la rinascita del Sole”, come possiamo leggere nelle Scritture: ”Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”. Le direzioni degli equinozi e dei solstizi sull’orizzonte vengono pertanto chiamate porte celesti, poiché rappresentano i punti di passaggio da una stagione all’altra, segnati da sorgere del Sole: il punto Nord-Est corrisponde al solstizio di estate, quello Sud-Est al solstizio di inverno, l’Est ai due equinozi.
11) Mario Tizi, La Porta del Sole, 2009.
12) Franco Valente, Allineamenti e moduli armonici di origine pitagorica nell’architettura sacra del Sannio, sito internet.
13) Andrea Armati, Le stimmate dello Sciamano – Il mito di San Francesco tra sangue e magia, Eleusi, Perugia 2010.
14) Charles Godfrey Leland, Etruscan Roman remains in popular tradition, 1892.
15) Carlo Paolazzi, Lectio Magistralis, 2019.