Questo (per quanto riguarda alcuni di noi) è una sorta di “conflitto di interessi” in grado di innescare un fatale corto-circuito: come conciliare, cioè, la scadenza del 14 luglio, data simbolo dell’insorgenza popolare in Francia contro il regime assolutistico, con la sacrosanta tutela del diritto all’autodeterminazione? Fatte le debite proporzioni, è un po’ come con il 25 aprile per i veneti: Festa della Liberazione dal nazifascismo (molti la confondono con la conclusione, ma in realtà è la data dell’insurrezione generale) ma anche Festa di San Marco.
Ovviamente si possono celebrare entrambe. E in contemporaneità.
A quanto pare, e non da ora, nei Paesi Baschi del “Nord” (il nord basco ovviamente) la rivoluzione francese viene talvolta interpretata come una definitiva pietra tombale giacobina su Iparralde (Ipar Euskal Herria, la parte nord del Paese basco sotto amministrazione francese) in generale, e sull’euskara (la lingua basca) in particolare.
Anche se poi, a ben guardare, non è che in precedenza, con la monarchia assoluta, le cose andassero alla grande. All’epoca del Re Sole, nel Lapurdi venne consumato un autentico genocidio (si parla di un 12% della popolazione, in gran parte donne) con la scusa di combattere la stregoneria. E la Bassa Navarra (Benabarra) venne praticamente regalata alla Francia dalla Spagna, dato che sia il “re cattolico” Ferdinando sia i suoi successori non riuscivano a sottometterne gli irriducibili indigeni. Come invece era accaduto in gran parte del regno di Navarra, invaso agli inizi del XVI secolo (anche grazie a una bolla pontificia che scomunicava i legittimi sovrani) e poi rimasto entro i confini spagnoli. Per merito in gran parte dell’Inquisizione, che contribuì a massacrarne – accusandoli di “eresia” – nobili e intellettuali dissidenti.
Senza dimenticare che comunque, anche se non sempre graditi, gli indipendentisti baschi conservarono in Iparralde un luogo dove trovare rifugio durante il franchismo (almeno fino alle estradizioni di massa del 1986).
Insomma, per quanto mi riguarda – e nonostante le contraddizioni insanabili – rimango grato al popolo francese per aver raso al suolo la Bastiglia, decollato il sovrano, ridimensionato i privilegi e il potere ecclesiastico. O averci almeno provato, dato che poi – tra Termidoro, Restaurazione e 18 brumaio – molte delle buone intenzioni si son perse per strada.
Prendo atto comunque che gli amici baschi del “Nord” la pensano diversamente. Come confermerebbero alcuni fatti recenti.
Alle sei del mattino del 15 settembre tre giovani baschi sono stati arrestati a Hendaye e Urrugne, e portati nel commissariato di Bayonne a seguito dell’inchiesta sugli incidenti del 14 luglio scorso a Saint-Jean-de-Luz.
Un’inchiesta aperta dal procuratore della Repubblica di Bayonne su richiesta del prefetto dei Pyrènèes-Atlantiques (al momento il Paese Basco francese non gode di un proprio dipartimento) e affidata alla polizia giudiziaria di Bayonne.
Un quarto militante che non si trovava in casa al momento della perquisizione si era poi consegnato spontaneamente. Davanti al commissariato si sono ben presto radunate oltre 200 persone richiedendone l’immediato rilascio. Come è poi avvenuto nel pomeriggio.
Due imputati sono accusati di “vol en reunion”, cioè furto; un altro per resistenza alla forza pubblica.
Cos’era accaduto il 14 luglio? Alcune centinaia di manifestanti si erano radunati rispondendo all’appello di U14 per protestare contro la festa nazionale francese e alcuni tricolori erano stati prelevati (il famoso “vol en reunion”) dal monumento ai caduti. Inoltre veniva esposto uno striscione con la scritta “Hau ez da Frantzia, esta Espania ere, Euskal Herria da”.
Concetto facilmente comprensibile anche senza traduzione.