Il 25 settembre 2014, nella sua prima intervista internazionale dopo l’investitura, il 34enne emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani ha dichiarato alla CNN: “So che in America e in qualche altro Paese alcuni movimenti sono considerati terroristici … Ma ci sono delle differenze”. Secondo molti osservatori si riferiva ai terroristi palestinesi di Hamas che, come sottolinea un alto funzionario del Tesoro americano, il Qatar ha “apertamente finanziato” per anni.
Ma, come dimostrerà questo dossier, Hamas è solo una delle tante reti estremiste che beneficiano di finanziatori con base in Qatar. È certamente vero che i jet del Qatar hanno partecipato in modo simbolico alla missione aerea contro lo Stato Islamico. Tuttavia, è noto che rappresentanti dell’emirato hanno negoziato con terroristi di al-Qaeda e dell’ISIS in settembre, e sembra che tuttora svolgano opera di mediazione tra questi gruppi e il Libano ai suoi confini. Inoltre, funzionari di governo sia occidentali sia della regione accusano Doha di distribuire a tali organizzazioni finanziamenti per decine di milioni di euro.
Nel mese di settembre, il “Telegraph” riferiva il commento di un diplomatico occidentale a Doha, secondo il quale “ci sono da 8 a 12 personaggi chiave in Qatar che raccolgono milioni di sterline a favore dei jihadisti”, in gran parte destinati al fronte di Nusra o anche allo Stato Islamico. NBC News ha citato funzionari statunitensi secondo i quali il Qatar ha surclassato l’Arabia Saudita come fonte di donazioni private ai gruppi radicali in Siria e in Iraq. E dopo una visita a Doha, il sottosegretario americano del dipartimento del Tesoro per il Terrorismo e l’Intelligence Finanziaria, David Cohen, ha dichiarato che il Qatar e il Kuwait “ancora hanno parecchio lavoro da fare” se non vogliono essere considerati “fonti di finanziamento al terrorismo islamico”.
Egli ha anche rivelato che “ci sono finanziatori del terrorismo, considerati tali da USA e ONU, che in Qatar non sono stati perseguiti in contrasto con la legislazione del Paese”.
Secondo Cohen, uno di questi personaggi è Abdulrahman bin Omeir al-Nuaymi, che Washington ha rinviato a giudizio lo scorso dicembre con l’accusa di aver finanziato al-Qaeda in diversi Paesi per oltre un decennio.
Ma la “negligenza” del Qatar risale a oltre due decenni prima. Infatti, ogni caso di sospetto finanziamento al terrore che abbia coinvolto un cittadino qatariota negli anni passati si è risolto in un nulla di fatto. E l’attuale generazione di finanziatori sembra godere di altrettanta impunità.
Abdulrahman al-Nuaymi
Nel dicembre del 2013, gli Stati Uniti emanarono sanzioni finanziarie contro un eminente cittadino del Qatar, Abdulrahman al-Nuaymi. Il Tesoro classificò Nuaymi Specially Designated Terrorist in base all’Executive Order 13224, che autorizza la confisca dei beni negli Stati Uniti di individui che “aiutano, pubblicizzano o forniscono supporto finanziario, materiale o tecnologico” ad azioni o organizzazioni terroristiche.
Quando il governo degli Stati Uniti annuncia la “designazione” di individui o organizzazioni di questo tipo, il Tesoro di solito rilascia un comunicato stampa per spiegare le sue motivazioni sulla base di rapporti di intelligence declassificati. In questo caso si affermava che Nuaymi aveva trasferito milioni di dollari nell’arco di un decennio ad affiliati di al-Qaeda in Iraq, Siria, Somalia, e Yemen. Aveva inoltre finanziato Asbat al-Ansar, gruppo terroristico libanese legato ad al-Qaeda e nella lista nera nel 2001, oltre a passare 2 milioni di dollari al mese al precursore dell’ISIS, al-Qaeda in Iraq. Recentemente, secondo il comunicato, aveva fornito 600mila dollari, con l’intenzione di inviarne altri 50.000, a Abu Khaled al-Suri, indicato come emissario in Siria del leader qaedista Ayman Zawahiri. Avrebbe infine fornito 250.000 dollari ai capi del gruppo terrorista somalo al-Shabaab, tra cui un individuo sanzionato per terrorismo internazionale dalle Nazioni Unite.
Seguendo l’esempio di Washington, nel 2014 Nuaymi è stato inserito anche nelle liste nere di Nazioni Unite (23 settembre), Turchia (30 settembre), Unione Europea (8 ottobre) e Regno Unito (9 ottobre). Prima della designazione americana, Nuaymi era già stato bandito dall’Arabia Saudita per motivi sconosciuti.
Dopo la designazione, le autorità del Qatar hanno dato scarsi indizi di aver preso sul serio il caso di Nuaymi. Al momento dell’atto si trovava a Istanbul, ma nel giro di pochi giorni era già rientrato a Doha, dove aveva tenuto una conferenza stampa presso l’Arab Center for Research and Policy Studies, finanziato da un think tank di Stato considerato vicino al regime. In quell’occasione professò la sua innocenza, vantandosi di non rischiare alcuna sanzione penale e assicurando che le autorità locali avrebbero preso le sue parti.
Anche dopo la designazione dell’ONU contro Nuaymi nel settembre 2014, un suo account Twitter è rimasto attivo. Il mese successivo, Robert Mendick del “Sunday Telegraph” confirmò che Nuaymi era a Doha, ma ancora non era stato arrestato. Alla fine di ottobre, David Cohen dichiarò che Nuaymi era uno dei “residenti in Qatar”, contro i quali non erano state prese misure in base alle leggi stesse dell’emirato.
Dato che il Qatar è membro della coalizione militare contro l’ISIS, non si capisce perché le autorità dovrebbero rifiutarsi di accusare o arrestare un veterano dei finanziamenti a questo gruppo. A tal proposito, risulteranno istruttivi la storia personale di Nuaymi e il suo rapporto con il regime di Al-Thani. Nel corso degli anni, è stato sia un critico dell’establishment, sia un oggetto della sua generosità, giocando un ruolo autorevole nelle istituzioni vicine al regime. In breve, Nuaymi ha un sacco di collegamenti con la classe dirigente.
Eppure le autorità del Qatar non hanno avuto remore a imprigionarlo in passato soltanto per aver esercitato il suo diritto di parola. Da dipendente del ministero dell’Istruzione, era stato arrestato il 16 giugno 1998 e detenuto quasi tre anni senza processo per aver presentato una petizione al consiglio legislativo in cui si criticava il ruolo delle donne nella società, compresa la moglie dell’emiro. Il documento – secondo il quale la “commistione non islamica dei sessi” porterebbe alla “trasformazione delle donne in uomini” – era stato firmato anche da tre membri della famiglia reale.
Secondo il dipartimento di Stato americano, l’arresto di Nuaymi era stato ordinato dall’emiro in persona. In seguito fu da lui graziato e rilasciato nel marzo o aprile del 2001, dopo che gli attivisti islamici in Gran Bretagna avevano organizzato manifestazioni per la sua liberazione. Dopo il rilascio, l’emiro lo ricevette personalmente, “descrivendolo come un vecchio amico che era direttamente responsabile dell’organizzazione di incontri tra Hamad bin Khalifa Al-Thani [il padre dell’emiro attuale, NdR] ed esponenti dell’islam politico”, tra cui Abdulmajeed al-Zindani, capo dei Fratelli Musulmani in Yemen ed ex mentore di Bin Laden, e il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin. Oggi Zindani è sulla lista della al-Qaeda Sanctions Committee dell’ONU; Hamas è sanzionato per terrorismo da Stati Uniti e Unione europea.
Secondo il curriculum di Nuaymi sul sito web della Qatar University, l’ateneo gli ha offerto una promozione l’anno dopo il suo rilascio dalla prigione. L’università è stata fondata dall’emiro qatariota nel 1973 ed è finanziata generosamente dallo Stato. Tra quel periodo e il 2004, è stato nominato presidente dell’Arab Center for Research and Policy Studies (ACRPS), che è vicino al regime e si ritiene finanziato dallo Stato. All’attuale direttore generale dell’organizzazione, Azmi Bishara, è stata concessa la cittadinanza qatariota dopo la fuga dal natio Israele, dove era sospettato di vendere segreti di Stato a Hezbollah; egli ora è descritto come un “intellettuale di corte a Doha” che consiglia i regnanti sulle questioni di Siria, Libia e Palestina.
Sia Bishara sia Nuaymi hanno invitato alti dirigenti di Hamas, come Khaled Meshal, a parlare all’ACRPS. Quando Nuaymi tenne una conferenza stampa per affermare la propria innocenza dopo le sanzioni americane, lo fece proprio presso il Centro.
Nuaymi ha anche usato la sua posizione nel think tank per pubblicizzare una ONG chiamata Global Anti-Aggression Coalition (GAAC). Il gruppo pretende di essere nonviolento, anche se ha convocato conferenze per sostenere la “resistenza” in Iraq, Somalia e Gaza, e ha cercato di organizzare un evento simile in Afghanistan. Sotto la direzione di Nuyami, la GAAC ha pubblicato un documento nel 2009 impegnandosi a sostenere la “resistenza” irachena contro gli occupanti stranieri (ACRPS è stato uno dei firmatari). Nel 2010, Nuaymi ha parlato a un vertice della GAAC dedicato alla “resistenza fino alla vittoria” a fianco di Harith Dhari, un sunnita iracheno “designato” nel 2008 dagli Stati Uniti con l’accusa di finanziare al-Qaeda in Iraq.
Nuaymi ha rilasciato una dichiarazione GAAC a Doha nel 2008, invocando “la resistenza in tutte le sue forme” contro Israele, mentre nel congresso del gruppo a Gaza nel 2009 inneggiava alla vittoria attraverso la jihad. Sempre nel 2009, Nuaymi approvò una posizione ancora più estremista firmando una petizione, a fianco di religiosi radicali come Nabil al-Awadhi e Wagdy Ghoneim, che accusava il governo egiziano di apostasia per la cooperazione con Israele, autorizzando “la jihad in tutta la Palestina”, incoraggiando i musulmani a uccidere tutti gli ebrei e ad appropriarsi di tutti i loro averi.
Anche la conferenza 2007 della GAAC in Somalia si è tenuta sotto la supervisione di Nuaymi e ha incluso i dirigenti della ormai defunta Unione delle Corti Islamiche della Somalia, la cui cosiddetta “jihad” aveva ricevuto la benedizione di al-Qaeda.
Secondo funzionari degli Stati Uniti, l’evento di Doha aveva ottenuto quantomeno “la tacita approvazione” del governo qatariota.
Dopo la designazione di Nuaymi nel mese di dicembre, la GAAC rilasciò una dichiarazione che respingeva la misura come elemento della “guerra contro l’islam e i musulmani”.
Nel 2004, Nuaymi co-fondò anche un gruppo a Ginevra per i diritti umani di nome Alkarama (“dignità”) e ne fu presidente fino alla designazione americana del 2013. Egli è ancora indicato come uno dei “membri fondatori” di Alkarama. Il suo successore, un uomo d’affari qatariota di nome Khalifa Rabaan, sembra essere stato anche membro di antica data del direttivo GAAC. Un individuo descritto come alto funzionario di Alkarama in Yemen, che venne designato nel dicembre 2013 insieme con Nuaymi, è stato accusato dagli Stati Uniti di aver militato come emiro di al-Qaeda per la provincia yemenita di Bayda.
Nuaymi ha ricoperto ruoli di primo piano in diverse altre organizzazioni in Qatar, che evidenziano i suoi legami con l’èlite del Paese. Tuttavia, mentre anche la Turchia e le Nazioni Unite hanno accusato Nuaymi di finanziare il terrorismo, Doha si rifiuta di arrestarlo: una scelta che la dice lunga sulla posizione dell’emirato rispetto al terrorismo islamico.
La vecchia guardia di Al-Qaeda
La rivale del Qatar nel Golfo Persico, l’Arabia Saudita, ha una pesante responsabilità per gli eventi che portarono all’Undici Settembre. La National Commission on Terrorist Attacks Upon the United States chiamò in causa Riad per aver incoraggiato l’estremismo religioso e non aver messo sotto controllo la beneficenza islamica. Nel rapporto furono direttamente accusati alcuni funzionari sauditi di avere legami con i dirottatori.
Ma anche il Qatar ha le sue responsabilità. I passi falsi di Doha nella gestione della vecchia guardia di al-Qaeda hanno favorito gli eventi dell’Undici Settembre, contribuendo a trasformare l’organizzazione nella minaccia globale che è oggi.
L’ex agente d’affari di Osama bin Laden, Jamal Ahmed al-Fadl, disertò negli Stati Uniti nel 1996 e testimoniò che Bin Laden gli aveva detto nel 1993 che la semi-ufficiale Charitable Society (QCS) – ora Qatar Charity – era una delle principali fonti di finanziamento istituzionale dell’organizzazione in Qatar. Fadl inoltre ha sostenuto che il direttore del QCS al tempo era un membro di al-Qaeda che forniva documenti di viaggio e fondi, tra cui pagamenti ai combattenti in Eritrea e 20 mila dollari per un attacco dal Sudan. Nel 2008, una task force interdipartimentale americana classificò Qatar Charity “ente di supporto al terrorismo”.
Secondo il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, il terrorista pachistano di al-Qaeda, Khalid Sheikh Mohammed (KSM), si recò in Qatar nel 1993 su suggerimento del ministro degli Affari islamici Abdullah bin Khalid bin Hamad Al Thani, membro di spicco della famiglia reale. KSM, che ha combattuto in Afghanistan accanto a Osama bin Laden, Ayman Zawahiri e Abdullah Azzam, ha trovato lavoro presso il ministero di dell’Elettricità e delle Acque qatariota. KSM sarebbe poi diventato l’ispiratore dell’Undici Settembre e di numerose altre operazioni di al-Qaeda.
Secondo il rapporto della National Commission on Terrorist Attacks Upon the United States, KSM fornì sostegno economico alla jihad in Bosnia nel 1992 poco prima di arrivare in Qatar, e dall’emirato inviò denaro al nipote Ramzi Yousef per finanziare l’attentato del 1993 al World Trade Center. KSM pianificò nel 1994-1995 l’“Operazione Bojinka” di al-Qaeda per far esplodere aerei di linea filippini, e sembra che abbia ricevuto fondi da Abdullah bin Khalid Al Thani per combattere nella jihad bosniaca nel 1995. L’ex funzionario della CIA Robert Baer scrive che nel 1990 “il Qatar ospitava dieci terroristi di al-Qaeda che si trovano ora nella lista dei super-ricercati”. Come riporta il “New York Times”, si ritiene che Al Thani abbia “ospitato ben 100 estremisti arabi – tra cui molti veterani dell’Afghanistan – nella sua fattoria in Qatar”, gruppo che comprendeva KSM. L’ex capo supremo dell’antiterrorismo americano, Richard Clarke, ha detto che Al Thani “stava usando denaro suo personale e del ministero per foraggiare i combattenti di Al-Qaeda”. Altri ex funzionari aggiungono che Abdullah bin Khalid Al Thani “ospitava leader di al-Qaeda quando transitavano per il Qatar, fornendo loro documenti falsi e altri servizi”.
Gli Stati Uniti avevano più volte chiesto al ministro degli Esteri del Qatar, Hamad bin Jassim Al Thani, il permesso di arrestare KSM, ottenendo continui rinvii; le autorità locali assicuravano a Washington che KSM era sotto sorveglianza, ma appena gli americani ottennero il permesso di compiere un raid all’inizio del 1996, l’uomo non si trovava più nel Paese. Secondo l’intelligence, il ministro Abdullah bin Khalid Al Thani aveva avvertito KSM, il quale si era allontanato su un jet privato con un passaporto fornito dal governo. A detta di Baer, anche altri dirigenti di al-Qaeda, come Zawahiri e il comandante militare Mohammed Atif, avevano ricevuto passaporti qatarioti in bianco.
Abdullah bin Khalid Al Thani se la cavò con uno scappellotto: dopo essere rimasto un po’ di tempo agli arresti domiciliari, fu promosso nel 1996 ministro di Stato per gli Affari interni. Ricevette un’altra promozione nel 2001 a ministro dell’Interno (carica che ha ricoperto fino al 2013) ed è stato anche membro del Consiglio di Famiglia del Qatar, l’ente formalmente responsabile dell’investitura di Tamim a emiro lo scorso anno. All’inizio di quest’anno, quando il figlio di Abdullah bin Khalid Al Thani si è sposato, ai festeggiamenti ha partecipato l’ex emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, posando accanto ad Abdullah per le foto di famiglia.
L’antico legame tra al-Qaeda e i reali del Qatar non si limita a questo. Un’informativa presentata dal dipartimento della Difesa americano al Congresso nel 2003, riferisce che “Bin Laden visitò Doha il 17-19 gennaio 1996, alloggiando nella residenza di un membro della famiglia regnante. Si parlò del riuscito trasporto di esplosivi all’interno dell’Arabia Saudita, di iniziative contro gli interessi americani e britannici a Dammam, Dhahran e Khobar”. I rapporti dell’intelligence affermano che tra il 1996 e il 2000 Osama bin Laden fece visita ad Abdullah bin Khalid in Qatar due volte. I servizi segreti sauditi, che comprensibilmente hanno il dente avvelenato con il Qatar, sostengono che nel 2001 KSM trovò rifugio in Qatar per due settimane dopo gli attacchi dell’Undici Settembre “con l’aiuto di padrini illustri”.
Un ex funzionario della CIA aggiunge che “c’erano altri elementi della famiglia reale”, oltre ad Abdullah bin Khalid Al Thani, “che parteggiavano per al-Qaeda e fornivano rifugi sicuri ai suoi membri”. E infatti, nel 2003, funzionari appartenenti a un governo non identificato e alleato degli Stati Uniti rivelarono che Abdul Karim Al Thani, altro membro della famiglia reale, procurò una casa sicura in Qatar ad Abu Musab Zarqawi durante il suo viaggio tra l’Afghanistan e l’Iraq, fornendogli passaporti dell’emirato e un milione di dollari per finanziare il suo gruppo. Zarqawi avrebbe poi foraggiato il precursore dell’ISIS, al-Qaeda in Iraq, oltre a promuovere nel 2005 un attentato suicida a Doha che uccise un insegnante britannico. Parecchie settimane più tardi, come riportato dal “Sunday Times”, un funzionario del Qatar affermò che l’azione aveva convinto Doha a rispolverare un accordo del 2003 per dare sovvenzioni a leader religiosi vicini ad al-Qaeda – fondi che secondo il giornale potrebbero aver finanziato le operazioni di al-Qaeda in Iraq – così da tenere il Qatar fuori dalle ostilità.
Dopo l’Undici Settembre, un ulteriore episodio ha acuito i dubbi sulla serietà del Qatar nel contrapporsi ad al-Qaeda. Sei giorni dopo la tragedia, le autorità di Doha arrestarono Ahmed Hikmat Shakir, già finito nel mirino degli americani per essere stato un collaboratore di due dei dirottatori. Perquisendo il suo appartamento, gli agenti trovarono nominativi e contatti di molti pezzi grossi di al-Qaeda collegati all’attentato del World Trade Center nel 1993, all’Operazione Bojinka, alle esplosioni del 1998 nelle ambasciate americane in Africa, all’attacco suicida al cacciatorpediniere USS Cole nel 2000. Malgrado le pressanti richieste dell’FBI per interrogarlo, il Qatar rilasciò Shakir in tutta fretta consentendogli di tornare nel natio Iraq attraverso la Giordania. Prima dell’arresto, Shakir era impiegato presso il ministero degli Affari islamici.
I fratelli Marri
Nel 2009, in un telegramma firmato dall’allora segretario di Stato Hillary Clinton, l’Arabia Saudita veniva indicata come fonte di finanziamento del terrorismo più cospicua rispetto al Qatar, in parte per l’evidente squilibrio di dimensioni tra i due Paesi. Eppure – si sottolineava – al-Qaeda, i talebani e Lashkar-e-Taiba, tutti “sfruttano il Qatar per la raccolta fondi”. Inoltre, i “finanziamenti ai terroristi di Hamas” da parte qatariota rappresentavano un problema ancora più urgente di quelli destinati all’Asia meridionale. Da quel momento, secondo le autorità statunitensi il minuscolo emirato può aver superato l’Arabia come fonte di donazioni private ai gruppi radicali di Siria ed Iraq.
L’ultimo decennio è stato un anno difficile per la cooperazione bilaterale contro il terrorismo finanziario. Come la Clinton indicava nella sua nota del 2009, l’apporto antiterroristico del Qatar è stato “il peggiore della regione”. Quell’anno, un’altra comunicazione del dipartimento di Stato osservava che il governo del Qatar “continuerà a essere un partner inconsistente nella lotta contro il finanziamento al terrorismo, se non pungolato in continuazione”, e che Doha “si è mostrata riluttante a combattere tale finanziamento per motivi che non comprendiamo del tutto”. Un episodio dopo l’altro, il Qatar ha affrontato i casi sospetti di sovvenzioni con misure tiepide e con controlli quasi inesistenti.
Un esempio lampante viene dai fratelli Marri, cittadini qatarioti arrestati subito dopo l’Undici Settembre (uno alla frontiera pachistana, l’altro negli USA) per il loro supposto ruolo operativo in al-Qaeda, ma ben presto messi in lista per il rimpatrio nell’emirato. Per un certo periodo, Ali Saleh al-Marri fu l’unica persona detenuta come combattente nemico sul suolo americano. Secondo gli atti giudiziari era stato scelto da KSM come agente dormiente di al-Qaeda negli USA. Aveva studiato un certo numero di bersagli, tra cui bacini di approvvigionamento idrico e la Borsa di New York.
Il fratello minore Jarallah fu imprigionato a Guantanamo, e secondo i militari della base aveva raggiunto un campo di al-Qaeda in Afghanistan poco prima dell’Undici Settembre, dove KSM lo utilizzava come corriere: si sospettava che avesse spedito 10.000 dollari di “fondi operativi qaedisti” al fratello Ali.
Quando nel 2008 gli Stati Uniti chiesero alla banca qatariota di Ali Marri il suo estratto conto, le autorità locali puntarono i piedi. Erano arrabbiati per la decisione di Washington di rimpatriare un altro sospetto finanziatore in Sudan, invece che in Qatar, e pertanto negarono il permesso, almeno inizialmente. Nel 2009, Ali ha accettò un patteggiamento in cui ha ammetteva di aver frequentato campi di addestramento per terroristi dal 1998 al 2001, e di essere stato comandato da KSM “di entrare negli Stati Uniti entro il 10 settembre 2001” per attendere ulteriori istruzioni.
Nel luglio 2008, il fratello di Ali, Jarallah, divenne l’unico cittadino del Qatar rimpatriato da Guantanamo Bay, in base a un’esplicita assicurazione scritta da parte dell’emirato che non gli sarebbe stato permesso di lasciare il Paese, e che Washington sarebbe stata subito avvertita nel caso ci avesse provato. Eppure, all’inizio del 2009 Jarallah comparve in Gran Bretagna, dove fu arrestato alla sua seconda visita da quando aveva lasciato Guantanamo. Durante la permanenza nel Regno Unito, partecipò a un ciclo di conferenze con un compagno di prigionia a Guantanamo, Moazzam Begg. I britannici aggiunsero Begg alla lista nera dei terroristi e lo arrestarono con l’accusa di finanziare e addestrare terroristi in Siria, anche se ora è stato rilasciato dal carcere e il caso è stato chiuso.
L’ambasciatore degli Stati Uniti in Qatar concluse che il viaggio di Marri era stato “quasi certamente” il risultato di una decisione consapevole che coinvolge il procuratore generale del Qatar. Il procuratore negò nel modo più assoluto di aver violato l’impegno con gli Stati Uniti, affermando di essere “vincolato soltanto da accordi giudiziari e non da documenti diplomatici”; anche se, dopo un pressing a tutto campo dell’ambasciatore americano, accettò di sottoporre Marri a un ulteriore divieto di lasciare il Paese per altri sei mesi. Di lì a poco l’ambasciatore americano a Doha lamentò che “la collaborazione antiterroristica tra USA e Qatar non funzionava ora così come non aveva funzionato da anni”. Il procuratore generale è tutt’oggi al suo posto.
Anche se le autorità del Qatar assicurano di tenere Jarallah “sotto controllo” dopo il suo viaggio a Londra, non sembra proprio che il guinzaglio sia così corto… L’account Twitter di Marri ha ripetutamente pubblicizzato una campagna di raccolta fondi in Qatar definita Madid Ahl al-Shamthat, organizzata dal Fronte al-Nusra come canale di finanziamento per al-Qaeda. L’account Twitter ha recentemente ripostato il messaggio: “Dio benedica lo sceicco Osama bin Laden”.
Khalifa Subaiy
Il caso di cittadino qatariota Khalifa Mohammed Turki Subaiy ha messo a ancora più a dura prova le relazioni USA-Qatar. Già alto funzionario della Banca Centrale del Qatar, nel gennaio 2008 Subay fu processato in contumacia dal Bahrein con l’accusa di finanziamento al terrorismo, appartenenza a un’organizzazione terroristica e addestramento di terroristi.
Diversi mesi dopo, Washington lo condannò per gli stessi reati. Secondo il dipartimento del Tesoro aveva fornito sostegno economico a KSM e ai capi di al-Qaeda in Pakistan, aveva agito come corriere per il gruppo in Medio Oriente e contribuito a spostare le nuove reclute di al-Qaeda nell’Asia meridionale. Il Bahrein lo condannò in gennaio, il Qatar lo arrestò in marzo e Washington lo “designò” in luglio. Ma in settembre, fu rilasciato senza ulteriori accuse.
Ancor prima del rilascio di Subaiy da parte del Qatar, l’addetto commerciale americano a Doha riferiva nel 2008 che il caso rappresentava “un forte motivo di crisi bilaterale da oltre un anno” e che i capi di CIA, FBI e Giustizia erano estremamente irritati con Doha.
Dopo il rilascio di Subaiy dal carcere, gli Stati Uniti avviarono la sua iscrizione nella blacklist delle Nazioni Unite, e né Qatar né Bahrein contestarono le accuse. Il 10 ottobre 2008, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aggiunse il suo nome alla sua lista nera di al-Qaeda, obbligando così gli Stati membri a congelare i suoi beni. Ma secondo un’informativa statunitense del marzo 2009, il procuratore generale del Qatar sostenne che “per impedire ad al-Subaie [sic] di proseguire le sue attività terroristiche, bisogna reinserirlo nella società”, suggerendo che “uno dei modi è dargli il permesso di aprire un conto in banca per consentirgli di mantenere la sua famiglia”. Parecchie settimane più tardi, egli assicurò agli Stati Uniti che Subaiy era “sotto controllo”, sottoposto a sorveglianza e con i conti bancari congelati, tutti tranne uno che sarebbe stato “monitorato/controllato dalla Banca Centrale” (ossia il suo vecchio datore di lavoro).
Subaiy non rimase palesemente sotto controllo per molto tempo. Nel settembre 2014, gli Stati Uniti condannarono due giordani con documenti d’identità qatarioti che, dissero, avevano collaborato con Subaiy nel 2012 al trasferimento di centinaia di migliaia di dollari ad al-Qaeda e ai suoi comandanti in Pakistan. Secondo il ministero dell’Interno dell’emirato, Subaiy ha ancora patente, carta d’identità e passaporto validi.
Lo scorso ottobre, il sottosegretario del dipartimento del Tesoro per il Terrorismo e l’Intelligence Finanziaria, David Cohen, ha rivelato che Subaiy è tuttora era uno dei residenti in Qatar contro i quali non sono state prese misure in base alle leggi stesse dell’emirato.
Kuwari e Khawar
In piena esplosione della primavera araba nel 2011, il dipartimento del Tesoro americano lanciò un grido di allarme per quello che definì “il maggior oleodotto attraverso il quale al-Qaeda pompa denaro, fiancheggiatori e combattenti dal Medio Oriente all’Asia meridionale”. L’ex viceconsigliere per la sicurezza nazionale e
lotta al terrorismo, Juan Zarate, scrive che si trattava della “più notevole rete di finanziamento al terrorismo di al-Qaeda scoperta negli ultimi cinque anni”. Questa rete includeva diversi finanziatori di alto livello che, dal Qatar e dal Kuwait, trasferivano fondi ai capi qaedisti in Iran, i quali a loro volta li giravano ai gruppi dirigenti in Afghanistan, Pakistan e Iraq. L’ex capo di questa cellula iraniana, Muhsin al-Fadhli, ha continuato a guidare il Gruppo Khorasan in Siria, che i funzionari degli Stati Uniti accusano di progettare stragi di massa contro obiettivi occidentali.
Nella lista degli “spedizionieri” di denaro verso l’Iran compaiono due cittadini del Qatar: Salem Hassan Kuwari e Abdullah Ghanim Khawar. Secondo un comunicato stampa del Tesoro americano, Kuwari “ha fornito centinaia di migliaia di dollari a sostegno di al-Qaeda, finanziandone le operazioni e pagando il rilascio dei detenuti di qaedisti in Iran e altrove”. Il documento indica anche che Khawar “ha collaborato con Kuwari nella consegna di denaro, messaggi e altro materiale di supporto per elementi di al-Qaeda in Iran. Come Kuwari, Khawar fa base in Qatar e ha contribuito a facilitare i viaggi per gli estremisti che vogliono andare a combattere in Afghanistan”.
Grazie all’operato dell’organizzazione umanitaria Alkarama di Nuaymi, sappiamo molto di più su Kuwari e Khawar. I rapporti su di essa rivelano che i servizi qatarioti misero in carcere i due dal giugno 2009 al marzo del 2010, e durante questo periodo Alkarama perorò il loro caso davanti al Working Group on Arbitrary Detention dell’ONU. Alkarama sostiene che furono legati, percossi e sottoposto a privazione del sonno dai servizi segreti qatarioti, in assenza di qualsiasi procedimento giudiziario nei loro confronti.
È interessante notare che, a detta di Alkarama, Kuwari “lavora nella Protezione Civile”, osservazione che ripete nel 2011. Dato che questo è il nome di un dipartimento del ministero degli Interni specializzato nella sicurezza antincendio e pronto intervento in caso di calamità, sembra che il soggetto sia tornato al suo vecchio lavoro dopo essere stato arrestato come elemento pericoloso per la sicurezza nel 2009, messo in carcere e – si dice – torturato. Da ciò si desume che Kuwari lavorase al ministero degli Interni nello stesso momento in cui a dirigerlo era Abdullah bin Khalid Al Thani, il sostenitore di KSM all’interno della famiglia reale.
Quando il Qatar arrestò per la seconda volta Kuwari e Khawar all’inizio del 2011, Alkarama sottopose il loro caso alle autorità di Doha e si appellò per Kuwari davanti alla stessa commissione dell’ONU. Al momento in cui Alkarama prese contatto con le Nazioni Unite nel 2011, Khawar era già stato rilasciato. Tuttavia, fu ben presto arrestato dai sauditi mentre terntava di lasciare il Qatar, e a questo punto Alkarama si riappellò all’ONU. Circa una settimana dopo, le Nazioni Unite espressero rammarico all’Arabia Saudita, che aveva arrestato Khawar per “avere espresso le sue idee politiche”, ed emisero un appello urgente per la sua liberazione co-firmato dalla commissione Special Rapporteurs for Arbitrary Detention, Freedom of Expression, and Torture.
Ancorché iscritto nella lista nera dagli Stati Uniti nel luglio 2011, Kuwari venne messo in libertà dai qatarioti in ottobre. Nuovamente, il Working Group on Arbitrary Detention dichiarò che il rilascio di Kuwari era avvenuto in assenza di accuse formali o procedimenti a suo carico. Le Nazioni Unite esortarono il governo dell’emirato a risarcire Kuwari, cioè uno dei principali operatori finanziari di al-Qaeda.
La carta d’identità e il passaporto qatariota di Khawar sono tuttora validi.
La negligenza del Qatar
Qualcuno potrebbe sostenere che le fiacche misure di Doha contro la finanza del terrore siano il risultato di pressioni interne. Questa tesi è semplicemente indifendibile. In quanto monarchia assoluta, il Qatar non deve preoccuparsi dei checks and balances della democrazia. Ha l’opposizione interna più debole di tutti gli Stati del Golfo Persico. Quando ci sono state opposizioni al giro di vite contro i finanziamenti al terrorismo, queste sono arrivate dai circoli dominanti, non da forze socialii. È semmai il governo a mostrarsi contrario a prendere provvedimenti.
Nel caso di Subaiy, l’addetto commerciale americano a Doha scrisse che il primo ministro – il principale interlocutore di Washington – si intromise nel caso “con grande costernazione, riteniamo, delle agenzie di sicurezza qatariote”. Lo stesso diplomatico osservò che quando il procuratore generale incarcerò Subaiy per soli sei mesi, lo fece “a rischio di ritorsioni da parte di altri ministri del governo del Qatar”.
La negligenza del Qatar non può neppure essere giustificata dai limiti organizzativi. Intanto, il Paese ha una ricchezza quasi illimitata. Se cercasse di mettere in piedi una struttura per tenere traccia dei finanziatori, avrebbe tutte le risorse per farlo. Inoltre, nessun limite di uomini o istituzioni può spiegare perché il Qatar abbia costantemente omesso di incriminare, arrestare e incarcerare elementi sanzionati dalla comunità internazionale con l’accusa di finanziare il terrorismo. Il Qatar ha anche rifiutato di fornire i dati relativi ai casi di interesse. Di fatto, questo Paese è semplicemente un altro pianeta quando si tratta di definire chi è o non è un terrorista.
Dato che il Qatar è stato felice di arrestare osservatori internazionali per i diritti umani, e ha persino condannato un suo cittadino all’ergastolo per aver letto una poesia dedicata alla primavera araba (sentenza poi commutata a 15 anni), non è irragionevole aspettarsi che Doha metta le manette ai finanziatori del terrorismo quando le prove contro di loro non lasciano dubbi. Naturalmente, rinchiudere questi individui non è l’unico strumento per combattere la finanza del terrore. Ma è arduo immaginare perché all’esterno dell’emirato sappiamo più cose sui loro finanziamenti illeciti che nell’emirato stesso; considerato anche che parliamo di una realtà con territorio e popolazione inferiori al Connecticut.
Il fatto che il Qatar non metta in atto le norme approvate (su pressione occidentale) per combattere la finanza terrorista dimostra che non c’è interesse a farlo. Il governo ha autorizzato la creazione di una Unità di Intelligence Finanziaria nel 2004, e nel 2010 una commissione antiterrorismo ha deliberato di congelare i beni di questi soggetti. Eppure, fino al termine dello scorso anno risulta che una sola transazione sospetta sia stata segnalata all’Unità e che non un singolo individuo sia stato accusato dalla commissione.
Di recente, un ex funzionario del Tesoro americano ha raccontato che nel 2009 un collega del Qatar mentì a lui e al Fondo Monetario Internazionale riguardo all’applicazione delle norme contro la finanza illecita.
La finanza del terrore radicata nel Qatar si sta trasformando in un tumore di portata mondiale. Gli individui che sfruttano la sua “giurisdizione permissiva” hanno foraggiato negli ultimi anni i capi dell’ISIS, il Gruppo Khorasan, il Fronte al-Nusra (sotto il quale opera Khorasan), al-Qaeda nella penisola araba, al-Shabaab, i talebani, Lashkar-e-Taiba e il nucleo di al-Qaeda in Pakistan, per citarne solo una parte. Un problema gravissimo che impone un cambio di atteggiamento politico da parte dell’Occidente nei confronti del Qatar.
Il dossier è opera della Foundation for Defense of Democracies, la traduzione e l’adattamento è a cura di “Etnie”.