La redazione di Coumboscuro mi ha chiesto un’analisi che prendesse spunto dal recente referendum sul taglio dei parlamentari, in relazione all’istanza della “Assemblada Occitana”, indirizzata a Comuni, Regione e Governo italiano per l’istituizione di una Provincia Autonoma occitana.
Premetto – mea maxima culpa – che dovendomi documentare ho letto che questa associazione d’oltralpe fondata nel 2015 è una fotocopia (un classico) dell’Assemblada Nacionala Catalana. Ora si tratta di capire cosa c’entri questo ennesimo coniglio esogeno, uscito dal cilindro occitanista, con le nostre valli… a meno di non prendere in considerazione il fatto che la sua emanazione cisalpina si fa chiamare Assemblada Occitana “Valadas”. Horribile dictu. Quando sui giornali locali, che non controllano mai i contenuti di ciò che pubblicano in materia etnica, si legge il nome di un progetto con a fianco il termine “valadas”, si comprende subito dove si va a parare.
Non potendomi neppure (me ne duole) vantare per l’acume dell’intuizione, affermo che qualsiasi osservatore di 50 anni di occitanismo avrebbe con facilità colto una rivendicazione già reiterata nel corso dei decenni. Dietro i termini valadas o valades si nasconde sempre l’intenzione unilaterale di qualche associazione che millanta rappresentatività, ma che invero esprime nient’altro che il proprio volere. All’interno di questi gruppi, pur operando soggetti di buona cultura settoriale, non corrisponde un’analoga chiarezza di pensiero politico e possono emergere, come in questo caso, istanze velleitarie. Peraltro, se leggiamo la “piattaforma programmatica”, la casa madre occitana si mostra un po’ confusa nel programma. Un esempio? In due punti del suo ciclostilato si afferma: “L’Assemblea Occitana non è un partito politico! È completamente indipendente da qualsiasi partito politico e non ha la vocazione di presentarsi alle elezioni”. Dunque sembra che operi solo culturalmente. No, andando al paragrafo successivo ci si trova di fronte al trionfo dell’eterogenesi dei fini, voluta o meno: “L’Assemblea Occitana non è un collettivo culturalista! Il suo obiettivo è chiaramente politico”. La “piattaforma programmatica” nasce dunque da una contraddizione…
Lungi dal voler fare l’esegesi dell’aria fritta e non conoscendo, fino a oggi, l’esistenza della AO, balza agli occhi che questo ennesimo soggetto pan-occitano, di cui i provenzali alpini avrebbe fatto volentieri a meno, è l’ennesimo esperimento di laboratorio autoreferenziale calato dall’alto. Tale associazione “considera prioritario concentrare i suoi sforzi per risvegliare la coscienza nazionale degli abitanti dell’Occitania”. Non ricordo quando sia stata scoperta “l’acqua calda”, ma se gli “occitani”, che nominalmente sono un’astrazione, vorranno fare un viaggio sulla macchina del tempo ritroveranno tali “risoluzioni strategiche” anni ’50 sul sito dell’Assemblada Occitana. Se poi si vorrà dare alla locuzione provenzale alpina il suo vero nome, bisognerà andare a scovarla in alta montagna e solo in forma di adstrato a fianco del piemontese, a meno di utilizzare le isoglosse di Corrado Grassi anni ’60, o il rapporto IRES del 2007 gonfiato dalla legge 482/99.
La verità è che, spopolamento a parte, da decenni la zona grigia ha capitolato a favore del piemontese. Lo dico da provenzalista: se il piemontesismo volesse fare un batibeuj avrebbe di fronte il ventre molle di una minoranza linguistica d’oc morente, con qualche generale occitanista che “tiene famiglia” il quale, aggrappato au drapèu, difende ancora la “ditta”. Se non venisse da ridere davanti agli slogan sull’autonomismo occitano da fine del secondo millennio – vigente la prima repubblica, in essere il muro di Berlino e regnante in Vaticano un solo (vero) pontefice – ci sarebbe da piangere nel constatare con quale coraggio venga ripresentata la proposta. Come se l’ultimo soldato giapponese uscito dalla jungla a fine anni ’60 avesse chiesto la resa agli Stati Uniti d’America.
Forse quei pochi maître à penser sopravvissuti del Movimento Autonomista Occitano, riparatisi nelle amministrazioni e in altre faccende affaccendati (tranne che nell’etnia), vedono riemergere il distillato, invero un po’ maleodorante, delle loro elucubrazioni di stampo marxista anni ’70. Intanto nelle valli provenzali alpine l’“Occitania” non sanno giustamente se sia “una cosa che si mangi”, mentre l’etnismo di Fontan – ripudiato in fretta dai suoi stessi discepoli (ormai imborghesiti) che lo accompagnarono nella neve all’ultima dimora a Frassino – è un lontano e triste ricordo.
L’Espaci Occitan si è perso nell’isolamento: “Si tolga dalla testa una gemmazione logistica nelle valli d’Oc”, così mi disse nel 1997 Rolando Picchioni, presidente del Consiglio Regionale del Piemonte. La legge 482/99 a trazione “occitana” non è mai decollata. Le valli spopolate hanno subìto da parte delle associazioni etniche egemoniche l’arruolamento dei giovani intellettuali nelle armate straniere napoleonico-occitaniste dell’Institut d’Estudis Occitans, sconfitte nel pantano di una Waterloo globalizzata. Ora si vorrebbe riproporre una minestra riscaldata, in tutto e per tutto simile alle vecchie liturgie, riassunte in una patetica richiesta territoriale. Un tempo ci indignavamo se qualche consigliere regionale confondeva provenzali con francoprovenzali, ma oggi chi avrebbe la forza di spiegare all’entourage dell’attuale ministro degli Esteri dove sono posizionate le valli provenzali d’Italia? Io senz’altro passerei la mano!
Se in un momento storico e politico come questo si chiede la “provincia autonoma” con rappresentanza occitana parlamentare, si è fuori dalla realtà. L’operazione vintage vorrebbe certificare l’esistenza in vita di qualche associazione che benefici ancora della benevolenza istituzionale: l’ennesimo e speriamo definitivo conato occitanista nelle valli provenzali alpine che occitaniste non sono mai state.