testo e foto di Giuseppe Russo

È sempre stato un mio desiderio, pur essendo siciliano e abitando a pochi chilometri da Trapani, visitare una salina durante la raccolta del sale: finalmente, dopo aver contattato la SA.NI.MA., azienda che gestisce la salina Galia, sono riuscito a prenotarmi per trascorrere una mattinata assieme ai salinari.
La Galia è situata a sud di Trapani lungo la Via del Sale che, costeggiando una delle zone umide più estese della Sicilia, giunge fino a Marsala. Accolto con un vassoio di cornetti freschi e caffè dalla gentilissima Alberta, moglie di Massimo D’Antonio, uno dei principali soci dell’azienda, il mio arrivo mattutino viene salutato con gioia dai salinari i quali, iniziando l’orario di lavoro alle 6 per concludere alle 14,30, approfittano volentieri di una breve pausa per la colazione.
Già dalla strada di collegamento appare un susseguirsi di vasche dal colore cangiante, ma lo spettacolo diventa unico addentrandosi nell’intricato reticolo di vasche e canali che porta verso il mare.
Alberta mi presenta il curatolo, ovvero il gestore, amministratore della salina e uomo di fiducia che segue le varie fasi della lavorazione e procaccia i lavoratori stagionali. Mentre i salinari spalano il prezioso sale dal fondo della salina sulle carriole e poi sul nastro trasportatore, il curatolo mi spiega che esistono saline posizionate direttamente sul mare e altre con vasche indirette, in cui l’acqua marina evapora per l’irraggiamento solare.

Le saline di Trapani appartengono alla seconda tipologia: l’acqua vergine viene prelevata dal mare e incanalata dalle idrovore nella prima vasca (detta fridda) fino a passare attraverso un canale detto d’acqua crura (cruda) a vasche intermedie costituite dalle ruffiane (o messaggere) e infine a vasche d’acqua fatta (o cauri) e alle santine, dove l’acqua si dice “fatta” perché vicina al punto di saturazione in cui si concentra la soluzione del sale. Per concludere, l’acqua viene canalizzata nelle vasche finali salanti, dette caselle o caseddari, dove avviene l’evaporazione finale e la precipitazione del sale, fase in cui la densità dell’acqua raggiunge i 25,7 °Baumé. 1) Qui si assiste alla cristallizzazione del sale che viene infine raccolto da una o due squadre di venti operai (venne), diretti e sorvegliati dal curatolo, e sistemato in cumuli – i munzidduna – di 200-400 tonnellate ricoperti di tegole di terracotta, dette ciaramire, sulle adiacenti piattaforme di terra (o ariuni). L’inizio del processo di produzione del sale avviene con la formazione della mamma caura, un residuo della campagna salinifera costituito dalla fanghiglia e dalla precipitazione di carbonati e solfati. Essa viene utilizzata per risagomare e compattare il fondo delle caselle salanti, delle calde e degli argini ad apertura della nuova campagna per le sue proprietà impermeabilizzanti. Il ciclo completo produttivo del sale dura da giugno a settembre. Se il tempo lo permette, il primo raccolto si fa dopo circa 50 giorni dall’inizio della coltivazione, il secondo dopo 30 giorni. Il sale viene raccolto a mano dagli operai salinari con pala e carriola, e poi accumulato negli arioni, gli spazi davanti alle vasche salanti.

Eredi dei fenici

Non c’è insofferenza o stanchezza negli sguardi dei salinari; traspare piuttosto l’atavica consapevolezza di svolgere uno dei mestieri più antichi del mondo, tramandato dai fenici. Questi uomini si conoscono da tempo e, con perfetto meccanismo di squadra, svolgono ciascuno la propria mansione in un clima disteso e sereno. Conoscendo il sole e il sale e i relativi pericoli, si proteggono il capo con un berretto e i piedi con pratici stivali di gomma.
Verso le undici e mezzo, il lavoro sotto il sole cocente viene interrotto dal clacson di una macchina in arrivo. Si tratta di Maria Pia, una simpatica signora trapanese che si è inventata un lavoro dal nulla adibendo il bagaglio dell’auto a bancone di una putia 2) e facendo il giro delle varie saline per vendere pagnotte, tramezzini, zuccherini e brioches dolci ai salinari. Di ogni operaio Maria Pia ha imparato a conoscere i gusti, assecondandoli nelle sue visite quotidiane. Con i propri spuntini preferiti, seduti a semicerchio vicino alle auto parcheggiate, Tommaso, Angelo, Peppe e gli altri mangiano e bevono ristorandosi.
La salina Galia si trova entro i confini della Riserva Naturale delle Saline di Trapani e Paceco, oltre mille ettari gestiti dal WWF, splendido esempio di connubio tra lavoro umano e natura dove si possono ammirare numerosi uccelli acquatici, tra cui fenicotteri, aironi bianchi, garzette, spatole, anatre, avocette, cavalieri d’Italia e il martin pescatore.
Le saline di Trapani risalgono al tempo in cui i fenici abitavano il territorio siciliano occidentale. Furono  proprio questi abili commercianti, intorno al primo millennio a.C., a fondare le prime colonie in luoghi strategici per i loro viaggi di mare, dove potersi rifornire di acqua e conservare gli alimenti – appunto – con il sale.
Già nel 1154, durante il periodo della dominazione normanna in Sicilia, il geografo arabo al-Idrīsī, noto come Edrisi, descrive Trapani come “una città bianca, in prossimità della quale sorge una salina”. Federico di Svevia istituì il monopolio di Stato; ma in seguito, grazie agli aragonesi, le saline tornarono private e raggiunsero il loro apice sotto la dominazione spagnola, quando il porto di Trapani divenne il più importante centro europeo di commercio del sale.
Le vasche insieme ai lunghi canali coprono un vasto territorio che arriva fino al mare, mentre antichi mulini a vento (molti, oggi, con le pale spezzate o in disuso) si intravedono tra bianchi  cumuli di minerale. Oggigiorno, la pala con cui si raccoglieva il sale dalle vasche è stata sostituita da un mezzo simile all’aratro, mentre un nastro trasportatore ha preso il posto delle cartedde, ceste di canna da 25 o 30 chili caricate un tempo sulle spalle degli uomini o in gobba ai muli. Le pale dei mulini hanno lasciato il posto alle pompe a gasolio o elettriche, mentre il fondo delle vasche non viene più spianato da rulli di legno o pietra tirati a mano, ma da moderni schiacciasassi.
In secondo piano, dietro il nastro che trasporta in alto il sale depositandolo nei candidi arioni, si stagliano silos, capannoni industriali e le case di Trapani, tra i cui tetti spuntano le cupole delle chiese e le sagome di mastodontiche navi da crociera, che da tempo frequentano questo porto. Più lontano, all’orizzonte, si erge lo splendore del Monte Erice con il suo cappello di nuvole, specchiandosi nell’acqua delle saline.
Salutati i simpaticissimi lavoranti, tra pacche sulle spalle e inviti a tornare a trovarli, ringrazio Alberta e compio un ultimo giro dentro la riserva, tra mulini abbandonati e acque stagnanti, dove fenicotteri e aironi sembrano aspettare che i loro amici salinari passino come ogni giorno per rientrare a casa.

saline di trapani - mappa
La Riserva Naturale delle Saline di Trapani e Paceco, gestita dal WWF.

 

N O T E

1) La scala Baumé viene usata per la determinazione della densità dei liquidi, a partire dallo 0° dell’acqua distillata.
2) Bottega alimentare in siciliano.

Giuseppe Russo è un viaggiatore, fotografo, blogger e reporter con oltre 20 anni di esperienze e collaborazioni di viaggio per il mondo come tour leader. I suoi reportage sono pubblicati, oltre che su “Etnie”, anche sul suo blog Zoom, Andata & Ritorno.