In questo studio mi propongo di mostrare la relazione tra i vari tipi di insediamento che si sono susseguiti nel corso dei secoli nella valle del Po fin dalle età più remote, e la cultura e il tipo di economia degli abitatori di quest’area. 1) Per spiegarla ci serviremo di metodi propri della geografia umana, detta anche antropica o antropogeografia, una scienza che analizza la distribuzione degli esseri umani sul nostro pianeta e il modo in cui vivono. Tale disciplina si differenzia dalla geografia fisica che invece si occupa della morfologia del nostro pianeta e della sua evoluzione.
La geografia umana nasce intorno alla metà del secolo XVIII allorché l’esplorazione di nuove terre comincia a creare interesse nei confronti delle differenze esistenti tra i vari popoli del pianeta. 2) Un grande impulso fu dato da Friederich Ratzel (1844-1904), 3) uno studioso tedesco che scrisse durante la rivoluzione industriale, un periodo storico fortemente influenzato dal positivismo; tale indirizzo filosofico rifiutava qualsiasi forma di metafisica e intendeva fondare la conoscenza solo su fatti concreti, influenzando tra le varie discipline anche le scienze geografiche. Ratzel, nella sua opera intitolata Anthropogeographie, 4) ci parla di migrazioni di popoli, della loro distribuzione sui territori, della loro economia e della loro cultura. 5)
Desidero soffermarmi un momento sul concetto di cultura, termine che mentre un tempo coincideva con quello di alta formazione riservata a un élite di persone, 6) nel mondo di oggi rappresenta quell’insieme di valori, credenze, usi e costumi che caratterizzano le società umane. Il termine cultura è connesso al concetto di etnicità dato che con il termine etnia (dal greco έθνος, popolo) si è soliti indicare quel gruppo umano che condivide al suo interno una particolare cultura che comprende una particolare lingua. 7)
Il tipo di rapporto tra l’insediamento umano, la sua economia e la sua cultura che è a fondamento della sua identità, sarà illustrato nella prima parte di questo studio, facendo riferimento ai testi di Clifford T. Smith, 8) Piero Dagradi e Carlo Cencini. 9) Faremo uso di importanti fonti di cui si serve la geografia antropica come la natura dei terreni, e mi riferisco alla presenza di acqua, di rilievi e alla vegetazione; faremo riferimento alle fonti narrative come le cronache; alle fonti linguistiche, in questo caso i toponimi, che secondo C.T. Smith sono da considerarsi più attendibili delle fonti documentarie, e considereremo il motivo di ciò. 10)
Si farà riferimento ai resti archeologici di alcuni insediamenti umani, alle necropoli, agli strumenti di lavoro, alle suppellettili, così come alle ceramiche e ai gioielli che caratterizzavano la vita dei primi abitatori della nostra area. Le suddette fonti ci serviranno per attestare la cronologia dell’insediamento, le caratteristiche dei luoghi, l’origine etnica di una certa colonizzazione attraverso l’analisi linguistica, così come ci daranno indicazioni sul tipo di cultura materiale e di economia che riguarda l’insediamento di un popolo.
Descriveremo poi i caratteri fondamentali dei vari tipi di insediamento a nord e a sud del Po dall’età pre-romana. Si farà riferimento al contenuto di alcuni articoli da me pubblicati su “Etnie” 11) in cui vengono descritti i popoli stanziati a nord e a sud del Po prima dell’avanzata di Roma. Mi soffermerò sul carattere dell’opera di colonizzazione romana dell’area in oggetto e sulle città che nacquero e si svilupparono lungo il tracciato della via Aemilia, basandomi sulle caratteristiche distintive di quest’ultima per spiegare cosa rappresentava questa lunga strada per la dominazione romana. Introdurremo i caratteri fondamentali dell’insediamento rurale nell’età antica, facendo riferimento per esempio alle villae romane che sorsero in area padana.
Prenderemo in esame le invasioni barbariche che ebbero luogo dopo il crollo dell’impero romano e le peculiarità dell’insediamento sul territorio della cosiddetta Gallia cisalpina da parte dei Goti e dei Longobardi.
Nell’ultima parte metteremo in evidenza le trasformazioni che i suddetti insediamenti hanno subìto nel corso dei secoli e l’eredità romana presente in alcune città. Prenderemo in esame la fondazione di alcune di esse come Milano, Crema e Bologna, le quali nel corso dei secoli hanno conservato alcune caratteristiche distintive della loro pianta originaria; e anche città come Torino e Pavia che hanno mantenuto nei secoli altre caratteristiche, proprie della loro fondazione. Evidenzieremo l’insediamento rurale ai nostri tempi e i tipi di villaggio. Metteremo in risalto come vi sia un rapporto tra l’evoluzione morfologica di città e paesi, e i cambiamenti sociali, economici e politici che nel corso dei secoli hanno riguardato i territori in cui tali insediamenti sono sorti. 12)
Prenderemo in esame anche le tracce dell’antica divisione dei terreni tipica del dominio romano e alcuni tipi di insediamento rurale, come per esempio la cascina, propria della pianura lombarda, piemontese 13) e in parte emiliana. Faremo riferimento ai cosiddetti casoni, una forma di insediamento rurale tipico della pianura veneta e di parte dell’Emilia, e alle ipotesi che alcuni studiosi hanno fatto circa la loro origine.
Introdurremo alcune tipologie di villaggio rurale presenti in area padana, per esempio il cosiddetto villaggio allargato, caratterizzato dalla presenza di spazi privati come i cortili e i prati che si incrociano con spazi pubblici come la piazza, la strada o il sagrato, in modo da salvaguardare la vita privata quanto quella sociale. 14)
In defintiva, appare chiaro un forte legame tra i vari tipi di insediamento susseguitisi nella valle padana nel corso dei secoli e la cultura dei colonizzatori medesimi.
Antichi insediamenti, culture ed economie
Come anticipato, la geografia antropica ci permette di analizzare un insediamento umano in rapporto alla sua cultura, cioè ai valori, alle credenze religiose, all’economia, agli usi e ai costumi propri di quella comunità umana. Occorre sottolineare che esiste un legame profondo tra un certo contesto culturale e una certa lingua, cioè tra la cultura di un popolo e la sua lingua. 15) Il termine etnia, che si riferisce a uno specifico gruppo umano, è di solito associato a uno specifico territorio influenzato dagli usi e dalle pratiche dell’etnia medesima, con il risultato che si determina un paesaggio culturale che rappresenta una caratteristica distintiva propria di quell’insediamento umano. 16)
Per fare un esempio calzante, prendiamo in esame l’insediamento degli Etruschi che fin dal VI secolo a.C. furono presenti in area padana. Le iscrizioni funerarie che riportano il nome personale del defunto (prenome), seguito dal nome della gente a cui apparteneva, attestano la struttura gentilizia su cui si basava la società etrusca; tale struttura, una caratteristica distintiva degli Etruschi, coinvolgeva ampi strati sociali ed escludeva gli schiavi, i servi, così come gli attori, i giocolieri e gli stranieri. 17)
Un altro esempio di paesaggio culturale riguardante l’area padana è la suddivisione dei terreni che venivano assegnati ai coloni romani nella Gallia cisalpina. Si tratta della cosiddetta centuriatio, costituita da lotti di terreno divisi in linee perpendicolari chiamati decumani e cardini, in cui ben si inquadrava la pianta a scacchiera 18) di molti centri di fondazione romana nella pianura padana e di cui tratteremo approfonditamente più avanti. Le tracce di queste antiche divisioni dei terreni sono tuttora visibili in diverse aree di pianura dell’Emilia e della Romagna 19) e rappresentano una caratteristica distintiva dell’insediamento romano.
La geografia dell’insediamento si avvale di fonti molto importanti per spiegare lo sviluppo dello stanziamento nel corso dei secoli dai tempi a noi più remoti. Per esempio i tipi di terreno: vale a dire le caratteristiche di un suolo così come la presenza di vegetazione, di rilievi o di acqua che rappresentano una fonte autorevole.
Come accennato precedentemente un’altra fonte importante è rappresentata da tutta una serie di oggetti materiali quali ceramiche, ornamenti, manufatti vari, attrezzi, e tombe ai quali gli studiosi danno un significato umano ben preciso.
Seguono poi le fonti scritte: possono essere documenti letterari come le cronache, le saghe cioè le leggende, le epopee cioè i poemi epici e le descrizioni di fatti eroici e memorabili. Su tali testimonianze si sono basate per lungo tempo le storie dell’alto Medioevo e dell’insediamento umano in questo periodo storico. 20) Questo tipo di fonti spesso sono limitate dalla visione personale o da un pregiudizio di un autore riguardo a un determinato accadimento, pertanto non sono da considerare sempre aderenti alla realtà a differenza invece di altri documenti come le leggi, le gabelle, gli atti notarili e i registri di contabilità o i rapporti sullo stato delle proprietà. Essi sono da considerarsi molto più attendibili anche se molto più scarsi man mano che ci si avvicina a epoche a noi più remote.
C’è poi un’ultima fonte che è di tipo linguistico, ossia i toponimi. È utile fare una breve premessa sull’interesse storico, geografico e linguistico della toponomastica, cioè dello studio scientifico dei nomi di luogo (dal greco τόπος “luogo” e όνομα “nome”).
Rifacendoci al contributo di Emidio De Felice, 21) possiamo osservare che i nomi di luogo si inseriscono in due categorie fondamentali. La prima è costituita da nomi di elementi geografici naturali come penisole, isole, rilievi, montagne, laghi e fiumi; la seconda da quelle strutture che comportano l’intervento dell’uomo, come le città, le grandi strade di comunicazione, i ponti, i viadotti, i mulini e le costruzioni agricole e artigianali.
Sappiamo che c’è una certa tendenza alla conservazione di quei toponimi costituiti da nomi geografici naturali, poiché di solito non cambia l’aspetto fisico che ha promosso il nome. Al contrario, c’è una tendenza minore alla conservazione dei nomi di città. Alludiamo agli abitati soggetti alle sovrapposizioni di lingue diverse dovute a migrazioni di popoli che si sono susseguite, comportando la perdita della coscienza linguistica del passato.
Una sorte simile hanno seguito le città soggette a trasformazioni politiche e ideologiche, come la russa San Pietroburgo in Russia, che veniva chiamata Leningrado al tempo dell’Unione Sovietica.
I toponimi sono un’importante fonte storica per la geografia dell’insediamento. Il saggio di C.T. Smith 22) sostiene che i toponimi sono una fonte più verosimile rispetto ai documenti statutari, i contratti d’affitto e le note contabili, che possono essere sottoposte a forzature dall’interesse personale di un autore. Allo stesso tempo afferma che i toponimi sono una fonte che, come i documenti storici, è stata elaborata dalla mente umana e pertanto testimonia la visione particolare di un luogo da parte di un determinato popolo che non corrisponde necessariamente alle caratteristiche reali di quel luogo. Esiste insomma una certa relazione tra i toponimi e il modo di considerare i luoghi da parte di certi popoli del passato. Tale modo di rapportarsi ai luoghi implica un elemento umano che è parte della cultura di un popolo. Questa interpretazione è avvalorata da quanto è affermato da Simeon Potter:
Place-names have an abiding interest: historical, geographical, linguistic, and, above all, human. They may tell us how our ancestors lived and how they looked on life. Place-names may be pictoresque, even poetical; or they may be pedestrian, even trivial. 23)
Secondo Smith, la traduzione e l’interpretazione di un toponimo è compito che spetta ai filologi, i quali devono attenersi a determinate leggi linguistiche quando individuano una forma originaria e le successive varianti. Il toponimo originale ha una grande importanza linguistica, in quanto ci fornisce importanti informazioni sull’etnia e sul luogo di provenienza del popolo che si insediò nel luogo medesimo. I toponimi sono fonti molto importanti per la cronologia relativa all’insediamento progressivo in una certa area in rapporto al suo livello di accessibilità e alle sue condizioni fisiche. Essi descrivono le caratteristiche fisiche di un luogo, mettendo in evidenza per esempio la presenza di corsi d’acqua, di vegetazione o il tipo di rilievo; essi sono in grado di darci informazioni sulla natura dell’economia di un popolo e sull’uso, ad esempio, dell’agricoltura in una determinata area.
La protostoria: i Liguri
Nella cosiddetta età del ferro – corrispondente nelle nostre zone a un periodo storico che parte dal IX secolo a.C. – l’area a nord e a sud del fiume Po vede la presenza di alcuni gruppi etnici. A ovest erano stanziati i Liguri che vissero in un’area che corrisponde approssimativamente a quella dell’odierno Piemonte centro-meridionale e dell’attuale Liguria. Tale popolazione occupava anche alcune aree dell’attuale Toscana settentrionale, dell’Emilia, della Lombardia occidentale e meridionale e del Veneto.
Il termine Liguri deriva probabilmente da Λίγυες (così chiamati dai Greci) e Ligures (così chiamati dai Romani), che sembra trarre origine a sua volta dal termine pre-indoeuropeo liga (luogo paludoso, acquitrino). 24) I termini francese lie e provenzale lia che hanno il medesimo significato, spiegherebbero un primo incontro tra mercanti greci e indigeni, liguri appunto, avvenuto presso le coste paludose dove si trovano le foci del Rodano. 25) Pare sia questa quindi l’area d’origine dell’etnia.
In base alle ricerche archeologiche, le abitazioni dei Liguri avevano una base di pietra ed erano fatte di legno, argilla e frasche. A eccezione di alcuni resti di recinti costituiti da pietre a secco e tronchi posti su alture che pare fungessero da rifugi a scopo difensivo, conosciuti nei secoli come castellari (dal latino castellum, fortezza, fortificazione), i Liguri non hanno lasciato tracce materiali del loro insediamento.
I resti di questi siti difensivi sono stati scoperti in diverse zone dell’entroterra ligure, come in Val di Vara (SP) e il castellaro di cima Merello vicino a Bordighera (IM). Essi sono circoscritti alle aree dove si ipotizza che i Liguri fossero stati per un periodo l’etnia dominante. Dei suddetti rimangono alcune iscrizioni rupestri 26) e alcuni suffissi nei nomi di luogo concentrati nelle aree dove si insediarono. Alcuni esempi di toponimi con suffissi in -asco, che indica un’appartenenza, sono concentrati per lo più nell’area occidentale dell’Italia settentrionale e si ritiene che indichino antichi insediamenti liguri.
Come già osservavo in un precedente articolo, 27) i toponimi ci sono indubbiamente di aiuto per delimitare i territori occupati dai Liguri; ad esempio si ritiene che i toponimi con suffisso in –asco, per definire un villaggio, che ritroviamo in certe aree di Piemonte e Lombardia, indichino antichi insediamenti liguri. Il centro di Grugliasco, vicino a Torino, dall’antico Curliascum, deriva probabilmente dal nome di colui che fondò il sito (Currelius o Correlius) nel territorio della tribù dei Taurini, considerati di etnia ligure. Nel I secolo a.C. Gli stessi Taurini avrebbero dato il nome alla città di Torino, in età romana chiamata Augusta Taurinorum. Altri centri in area piemontese come Brusasco, Beinasco, Cherasco 28) e Gremiasco a sud del Po, indicano con il medesimo suffisso il nome di colui che fondò il primo insediamento.
Altri esempi di nomi di paesi con suffisso in –asco sono in area lombarda: Binasco, Garlasco e Godiasco, per i quali vale il medesimo ragionamento circa la loro origine. Un altro suffisso che indicherebbe un’origine ligure è –alb il cui significato è “capitale”, nel senso di centro federale di una certa tribù. I toponimi Album Intemelium, Capitale degli Intemeli (Ventimiglia), Album Ingaunum, Capitale degli Ingauni (Albenga), sono esempi di toponimi che hanno il suddetto significato e alludono alla presenza nella Liguria di Ponente delle antiche tribù liguri degli Intemeli e degli Ingauni.
Altre tribù di etnia ligure erano gli Epanteri e i Bagienni o Vegienni. Vivevano nell’attuale basso Piemonte, e dei secondi è rimasta traccia nel toponimo di età romana Julia Augusta Bagiennorum che si riferisce al paese di Bene Vagenna, comune di circa tremila anime nella provincia di Cuneo. Il nome di quest’ultima città, capoluogo di una grande provincia, deriva dal toponimo latino cuneum che allude alle caratteristiche fisiche del sito in cui nacque e si sviluppò nei secoli l’abitato. Si tratta appunto, come dice il termine, di un cuneo formato dalla confluenza di due fiumi: il Gesso e la Stura di Demonte. Ecco un toponimo che evidenzia le caratteristiche fisiche di un luogo. 29) Sempre in quest’area, la città di Alba pare anch’essa di fondazione ligure: l’antico termine ligure alba significherebbe “città bianca”.
Come afferma Gerhard Rohlfs, 30) i suffissi in –asco li ritroviamo nell’area occidentale dell’Italia settentrionale e in particolare “a ovest della linea Garda-Mantova-Parma” . 31) Quest’area corrisponderebbe ai territori dove i Liguri costituivano l’antica componente autoctona.
Un altro suffisso con grande probabilità di origine ligure è -anco, che indicherebbe una proprietà, un’appartenenza come -asco. Gli esempi di Pizzanco, Schieranco, Aranco, e anche Bognanco (dal torrente Bogno), paesi del nord del Piemonte al confine con la Svizzera, sarebbero stati antichissimi insediamenti liguri. 32)
I toponimi Balma e Barma, termini che sono giunti a noi con il significato di grotta, roccia a strapiombo e masso scavato, conterrebbero anch’essi un sostrato linguistico ligure. Li troviamo nella borgata di Balma Boves, vicino a Saluzzo (CN) e Barma (CN), e rappresentano una fonte linguistica che ci fornisce informazioni sulla natura dei luoghi.
Il termine pre-indoeuropeo o protoindoeuropeo *borm>*bormo ligure, “acqua calda”, introduce altri esempi in cui compare l’antico elemento ligure, come nel fiume Bórmida che bagna la stazione termale di Acqui Terme. È interessante sottolineare come la suddetta radice, collegata all’antico elemento autoctono ligure, sia presente anche nel nome Bormio, noto centro della Valtellina provvisto anch’esso di acque termali. 33)
Al nome di altri fiumi come il Neviasca e il Vinelasca, nel territorio di Genova, è legata un’antica iscrizione che risale all’anno 117 a.C. La presenza dei suffissi in -asca, confermerebbe la loro origine ligure. 34) Questo di fatto è quanto ci è pervenuto della lingua dei Liguri che, secondo la testimonianza degli antichi autori latini Plinio e Seneca era ancora parlata nel primo secolo a.C. 35)
Sempre seguendo la testimonianza degli autori latini sappiamo che questa etnia era divisa in tante tribù che occupavano ciascuna un certo territorio: proprio questa mancanza di unità fu alla base dello stato di inferiorità nei confronti dei Romani, che come vedremo in seguito avanzarono nei loro territori.
In conclusione, la scarsità di fonti che ci sono giunte non ha permesso agli studiosi di delineare le caratteristiche distintive dei Liguri, la cui civiltà è ancora avvolta nel mistero. L’ipotesi più plausibile è che la terra d’origine dei Liguri fosse la penisola iberica, dalla quale si spostarono verso oriente. Altri studiosi ipotizzano che i Liguri non fossero indoeuropei, mentre per altri ancora le forti affinità con le tribù celtiche li collocherebbero nella famiglia indoeuropea. 36)
I Paleoveneti
Questo popolo all’inizio della cosiddetta età storica, cioè a partire dall’VIII secolo a.C., abitava la parte orientale dell’Italia settentrionale. Pare che i Veneti o Paleoveneti (per distinguerli dagli attuali abitanti della regione) provenissero dall’Europa centro-orientale, ma le notizie sulla loro patria originaria sono discordi. 37)
Secondo Erodoto i Veneti erano di razza illirica, mentre alcuni studiosi moderni tendono a considerarli un’etnia indipendente con una propria lingua di ceppo indoeuropeo. La parlata ha in comune con il latino alcuni aspetti fonetici e morfologici. Il termine Veneti deriverebbe dalla radice indoeuropea *wen (“amare”). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli “amati”, o forse gli “amabili”, gli “amichevoli”. 38)
La presenza di numerosi reperti archeologici nell’area del Veneto attuale attesta che i Veneti o Venetici avevano sviluppato una notevole cultura materiale e artistica che li distingueva dagli altri popoli padani. Nel Museo Nazionale Atestino – che si trova nella cittadina di Este, considerata dagli studiosi il centro della civiltà paleoveneta – si trovano ceramiche, accessori per l’abbigliamento in bronzo, in osso e in pasta di vetro, vasellame e situle (cioè un tipo di vaso a tronco conico stretto in basso) che attestano il livello di civiltà raggiunto dai Paleoveneti.
In base alle ricerche archeologiche, le dimore erano capanne di legno e canne tenute insieme da un impasto di fango. Avevano il tetto spiovente costituito da un’intelaiatura di legno ricoperta di paglia e di erbe provenienti dalle paludi. Praticavano l’agricoltura e pare fossero molto esperti nell’allevamento dei cavalli oltre ad essere valorosi guerrieri e bravi commercianti. Riguardo alla loro religione le fonti a disposizione attribuiscono una grande importanza al culto della dea Reitia (Sainate Reitia Pora) che ha elementi in comune con le divinità classiche Artemide e Diana. Secondo la testimonianza di Polibio, i Veneti erano simili per costumi ai Galli ma parlavano una loro propria lingua. 39)
Inizialmente occuparono il territorio tra il lago di Garda e i Colli Euganei, in seguito si spinsero fino ai limiti del confine dell’attuale Veneto; ma dobbiamo considerare che la linea di costa del Mare Adriatico era più arretrata rispetto ai giorni nostri.
Per quanto riguarda la lingua venetica, osserviamo che le iscrizioni di cui abbiamo traccia riguardano un periodo che va dalla metà del VI secolo a.C alla fusione dell’elemento venetico con quello latino intorno al 100 a.C. 40) È importante ricordare che essi divennero cittadini romani nell’anno 49 a.C. In tutto questo arco ti tempo, acquisirono e perfezionarono un alfabeto derivato da quello degli Etruschi di area padana. Ricordiamo che Veneti ed Etruschi intrattenevano ottime relazioni culturali e commerciali.
Ci sono giunte diverse iscrizioni in lingua venetica, ritrovate soprattutto nei dintorni di Este in provincia di Padova; si tratta di impressioni su lamine di bronzo, su ceramica e su pietra. La scrittura andava da destra a sinistra e, senza andare a capo, girava in alto procedendo da sinistra a destra. Altra caratteristica distintiva è l’assenza di punteggiatura.
Ricordiamo che Este era considerata la capitale degli antichi Veneti e da qui si irradiava tutta la loro civiltà. Il nome del centro deriva dall’antico toponimo Ateste, probabilmente “la città dell’Adige”; il toponimo è connesso all’idronimo Atesis (Adige), il fiume che anticamente scorreva vicinissimo alla città. Il suffisso -este rappresenta una caratteristica distintiva dei toponimi di origine venetica, lo ritroviamo di nuovo nel toponimo Tergeste “la città del mercato” in quanto terg significherebbe, appunto, mercato. Esso ha dato origine al nome attuale di Trieste, anch’essa anticamente centro della civiltà paleoveneta.
Abano, località termale in provincia di Padova, deriva dal toponimo di origine venetica Aponus (il termine è citato da vari autori latini come Lucano, Silio Italico e Marziale che fanno riferimento alle sue acque termali); Da notare che la radice *ap- sarebbe connessa all’a. Ind. apah che significa acqua. 41)
Altro toponimo di origine venetica è Opitergium, una forma latinizzata che ritroviamo citata in alcuni autori dell’antichità come Plinio, Strabone e Tacito. Contiene il medesimo radicale venetico terg a indicare la sua natura di emporio, di mercato, mentre opi avrebbe valore di preposizione di luogo. Dal toponimo è derivato nei secoli al nome di Oderzo, un centro nella provincia veneta di Treviso. 42)
Non si può escludere che anche il nome della città di Padova sia di origine venetica, dato che la fondazione della suddetta risale ai secoli X-XI a.C., quando i Veneti erano già insediati in quest’area come attestano alcuni ritrovamenti archeologici. 43)
Infine prendiamo in esame il termine Venezia. Esso anticamente indicava pressappoco l’area degli attuali Veneto e Friuli in cui erano stanziati i Paleoveneti (anticamente era detta Venèdia, Venètia, Venèxia). Il termine passò a indicare anche la città di Venezia a partire dal IX secolo d.C.
Ma nel complesso possiamo concludere che dei Paleoveneti ci sono giunte poche tracce toponomastiche nell’area in cui si insediarono, in confronto a quelle lasciate da altri popoli.
Gli Etruschi
Questo popolo si autodefiniva con il nome Rasna o Rasenna (il termine ras pare indichi il rasoio e l’atto di radersi, di tagliare, da cui “popolo che adoperava il rasoio per radersi” oppure “popolo che aveva come capo, come ras, un uomo rasato”. Da ciò si evince il duplice significato di capo e uomo che si rade (quindi il capo, il comandante aveva in uso di radersi). 44)
Il termine Etruschi ha invece un’origine latina (Tusci o Etrusci cioè nativi dell’Etruria). La civiltà etrusca si sviluppò a partire dall’VIII secolo a.C. e la sua origine appare per molti aspetti ancora misteriosa, essendo dubbia la sua appartenenza alla famiglia italica.
Erodoto afferma che gli Etruschi migrarono dalla Lidia (Anatolia) in Italia, mentre Dionigi di Alicarnasso sosteneva trattarsi di un popolo autoctono della penisola. Circa dieci anni fa fu portata a termine una analisi genetica del cromosoma Y degli abitanti della Toscana da cui emerge qualche somiglianza tra i discendenti degli Etruschi (i Toscani appunto) e gli abitanti dell’Anatolia.
Fu in seguito effettuata un’analisi sul dna mitocondriale degli antichi Etruschi che attesterebbe l’origine autoctona di questo popolo. A sostegno di quanto affermato si legga l’articolo di Giorgio Giordano. 45)
Il territorio dell’attuale Toscana e alcune parti dell’alto Lazio fino a Cerveteri e Veio sono da considerarsi il centro della civiltà etrusca.
Dalle suddette aree gli Etruschi partirono alla conquista di nuovi territori nell’Italia settentrionale e attraversarono le valli appenniniche di collegamento con l’Emilia-Romagna e l’area padana.
Fin dalla metà del VI secolo a.C. essi furono presenti sulla riva destra del Po e fondarono Felsina, l’odierna Bologna e Misa, corrispondente all’attuale Pian di Misano presso Marzabotto. Anche le città di Modena, Parma, Piacenza e Ravenna furono di fondazione etrusca cosi come Mantova che rappresentò una località munita di fortificazioni permanenti al confine con il popolo dei Veneti. Mantova, fondata alla confluenza del Mincio con il Po, rappresentò un collegamento fluviale oltre che terrestre con altre due città di fondazione etrusca: Adria e Spina. 46)
La porzione della valle del Po sotto il dominio etrusco andò incontro a un grande sviluppo culturale ed economico; crebbero di importanza i porti di Adria e di Spina che incrementarono i loro traffici in Adriatico, in particolare con la città di Atene. Misa invece, posta sulla via principale di comunicazione tra la valle padana e il centro della penisola, diventò un centro commerciale strategico. 47)
Dagli studi archeologici emerge che le abitazioni di questo popolo, nel periodo più antico del loro insediamento, cioè dalla fine del IX secolo alla prima metà del dell’VIII secolo a.C., erano di forma circolare o ellittica, avevano una struttura di travi di legno intrecciate come intelaiatura, tenute insieme da fango, e avevano un tetto spiovente, sostenuto da travi di legno. In un secondo tempo per la costruzione di queste dimore vennero usate pietre a secco.
Gli Etruschi espressero una civiltà di gran lunga più evoluta rispetto a quelle dei popoli che condividevano con essa i territori dell’Italia centro-settentrionale. Le iscrizioni funerarie, che riportano il nome personale del defunto (prenome), seguito dal nome della gente a cui apparteneva, attestano la struttura gentilizia su cui si basava la società etrusca: essa coinvolgeva ampi strati della società, ma escludeva gli schiavi, i servi, così come gli attori, i giocolieri e gli stranieri. 48)
La donna, diversamente da quanto accadeva in Grecia e a Roma, aveva un ruolo molto importante nella società dato che partecipava alla vita pubblica ed era presente ai banchetti con il marito. Alcune fonti scritte ci attestano che i Greci consideravano immorale il comportamento delle donne etrusche per il ruolo che esse rivestivano all’interno della società. 49)
L’insediamento degli Etruschi nell’area geografica che riguarda la mia ricerca comportò, come ho sottolineato precedentemente, la fondazione di alcuni centri alcuni dei quali si sono sviluppati sempre più nel corso dei secoli dando origine a importanti città. Una di esse è Felsina, che dimostra la presenza etrusca nelle vicinanze della riva destra del Po. Il toponimo deriverebbe dalla radice etrusca felz– fels– “vendere” da cui Felsina o Felzina (mercato, centro commerciale). 50)
L’area di Felsina, sede di ritrovamenti di bronzi, ceramiche e orificerie provenienti da sud attraverso l’Appennino, attesta la vocazione mercantile di questa città che, come vedremo, diventò poi Bononia e infine l’odierna Bologna.
Altro toponimo etrusco degno di nota è Misa o Misna che si riferisce molto probabilmente all’attuale località di Pian di Misano presso Marzabotto, ubicata su una importante via di transito tra la madrepatria degli Etruschi e la pianura padana. La città sorgeva lungo l’attuale via Porrettana che conduce a Pistoia, come indicano i ritrovamenti archeologici risalenti alla metà dell’800. La scoperta in quest’area dell’iscrizione Kainua (significherebbe “città nuova” in lingua etrusca) ha indotto gli studiosi a ritenere quest’ultimo invece di Misa, come si riteneva in un primo tempo, il vero nome della città.
A ovest di Felsina gli Etruschi fondarono Muthuna< Mutano 51) che in lingua etrusca significherebbe epidemia. Ciò allude al fatto che a quei tempi la zona era paludosa con il rischio per chi vi si avvicinava di contrarre una malattia. Il toponimo corrisponde al nome dell’odierna Modena.
Gli Etruschi, rendenosi conto dell’importanza del controllo del delta del Po per sviluppare i loro commerci ed espandersi nell’Italia settentrionale, fondarono i centri di Spina e di Adria rispettivamente a sud e a nord del delta. Il toponimo Spina è di origine greca e significa pesce. 52) La sua origine etrusca è confermata dal ritrovamento di varie iscrizioni nell’abitato. Adria deriva dal toponimo Atria o Hatria la cui componente etrusca è confermata dallo storico latino Varrone, il quale ci dà notizia che i Tusci Atriates svilupparono questo centro in senso commerciale e militare in quanto situato al confine con il dominio dei Veneti. 53)
Gli Etruschi si spinsero a nord del Po e fondarono Manthva (l’odierna Mantova), che sarebbe connesso a Mantus, nome di una divinità degli inferi: 54) nei miti etruschi il dio Manth e sua moglie Mania erano divinità dell’oltretomba. La città fu fondata lungo il punto di incontro tra il Mincio e il Po e aveva una funzione di collegamento fluviale ma anche per via di terra con i centri di Adria, di Spina e di Felsina, 55) e allo stesso tempo rappresentava una fortificazione al confine con il territorio dei Veneti.
Di nuovo i toponimi, nell’àmbito delle tracce lasciate dagli Etruschi, costituiscono una fonte di informazione molto preziosa circa i vari aspetti della loro cultura e della loro colonizzazione. I centri di fondazione etrusca erano organizzati in un sistema atto a sfruttare le produzioni e il commercio di tutta quest’area, costituendo un tramite per il commercio tra l’area del Mediterraneo e i territori al di là delle Alpi. 56)
I Celti
È importante considerare che i popoli celtici durante il IV e il III secolo a.C. occupavano vaste aree dell’Europa e cioè parte delle Isole britanniche, degli attuali territori di Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e parte della penisola iberica e di quella italiana. Questa interpretazione è avvalorata da quanto è affermato da Grover S. Krantz:
Also in the 5th Century B.C. a massive Celtic intrusion occurred in the Po valley of northern Italy. This was previously a thinly settled area, and these “Cisalpine Gauls” were a powerful force. 57)
Questi popoli furono sempre politicamente frazionati, e pare che la loro terra d’origine sia l’area intorno alle sorgenti del Danubio corrispondente all’attuale Selva Nera situata nella Repubblica Federale di Germania. 58)
Si ha notizia dallo storico Tito Livio che i Celti, per via di un forte incremento demografico, discesero in Italia al tempo del re di Roma Tarquinio Prisco (616-578 a.C.). Seguendo la testimonianza di altri storici come Plinio, Diodoro Siculo e Appiano, l’invasione celtica avvenne invece intorno al 400 a.C. I Celti dovettero affrontare gli Etruschi ma anche Liguri e Veneti che occupavano vaste aree dell’Italia settentrionale, e si potrebbe affermare che il loro insediamento avvenne a macchia di leopardo dovendo venire a contatto con questi popoli.
Il ritrovamento di iscrizioni gaeliche in un’area contenuta tra Piemonte e Lombardia (si tratta della cosiddetta cultura di Golasecca dal nome dell’omonimo comune in provincia di Varese) ha fatto sì che la presenza celtica in Padania interessi un periodo che va dal IX al IV secolo a.C. La civiltà di Golasecca pare sia scomparsa proprio con l’arrivo in questo territorio di altre tribù celtiche provenienti da oltralpe.
I Celti riuscirono a mantenere le loro strutture sociali originarie, la loro identità culturale e allo stesso tempo operarono scambi culturali, sociali, economici e religiosi con i popoli vicini. Secondo la testimonianza dello storico latino Polibio, nel periodo successivo alla loro invasione, “per la vicinanza i Galli si erano mescolati agli Etruschi” e il loro popolamento nel nord Italia era “per villaggi privi di mura”.
La descrizione della tipicità dei loro villaggi è un importante affermazione circa la natura tribale su cui si basava la forza militare dei Celti. 59) Essi mantennero la loro struttura sociale a tribù fondando dei villaggi privi di mura in zone rurali. Questo tipo di insediamento permetteva loro di mantenere la loro forza militare basata sulla coesione familiare. A sostegno di questa interpretazione, Venceslas Kruta e Valerio Massimo Manfredi:
L’insediamento, dei nuovi venuti dovette avvenire quindi a macchia di leopardo e sostanzialmente nelle zone rurali (questo spiegherebbe il decremento degli insediamenti rurali degli Etruschi) dove ai Celti era possibile per le loro strutture sociali a clan, di mantenere coesione e identità culturale. E questo portò quasi certamente ad una convivenza con gli abitanti precedenti, a scambi e influenze reciproche sul piano culturale, sociale, economico e religioso”. […] E sempre l’autorevole testimonianza di Polibio che descrive un popolamento celtico in Nord Italia “katá kómas ateichístous” (“per villaggi privi di mura”), un tipo di insediamento caratteristico dei Celti che rispondeva alle loro esigenze di coesione familiare e tribale che era poi alla base della loro forza militare. 60)
Questo discorso non ci deve però portare a considerare l’insediamento celtico solo nelle campagne, dal momento che alcuni storici dell’antichità ci ricordano che la tribù celtica dei Libui fondò Vercelli, quella dei Vertamocori Novara, quella dei Boi Lodi e gli Insubri fondarono Milano, 61) il cui nome presumibilmente deriva dal celtico Medhelan (“in mezzo alla pianura”).
Un tipico suffisso di origine celtica presente in alcune aree dell’Italia settentrionale è -ako 62) che ha dato luogo alla forma -ago. Si tratta della derivazione di un cognome che indica un possesso, e centri come Bellinzago, Cuzzago e Vacciago in Lombardia e Cavriago in Emilia ne sono alcuni esempi. Anche i centri di Drusacco e Vidracco in Piemonte e di Martignacco in Friuli, i quali nei dialetti locali sono pronunciati -ac, testimoniano anch’essi la stessa origine, essendo connessi a nomi di persona di origine celtica. 63)
Il termine celtico -dunon che indica un luogo fortificato lo ritroviamo invece nei centri piemontesi di Verduno e Linduno, di Duno in Lombardia e di Santa Maria in Duno in Emilia. Seguendo quanto afferma Gualtiero Ciola, 64) i toponimi che terminano in “lano”, “gliano”, “liano”, come ad esempio Primolano (VI), Mortegliano (UD), Conegliano (TV), Terlano (BZ) derivano dal celtico “land(a)” che indicava un territorio pianeggiante specie incolto e disabitato.
Il centro di Susa (TO), denominata Segusium in età romana, trae origine molto probabilmente dalla radice gallica sego (“forte”) da cui *Segusia (“la forte”, “la potente”) che rappresenta la particolare considerazione di questo sito a quei tempi. Ivrea (TO) era denominata Eporedia in età romana, che si fa risalire ai termini gallici epo (“cavallo”) e reda (“carro”); tali termini hanno permesso agli studiosi di interpretare il significato della suddetta come “stazione di carri trainati da cavalli” o come “mestiere di guidatori di carri trainati da cavalli”. Da quanto detto si evince quanto sia importante il toponimo come fonte di informazione sulla cultura materiale degli antichi abitatori di questo centro.
Belluno in Veneto deriva con ogni probabilità il suo nome dal termine celtico behl (“splendente”) e dal già citato dunon (“fortezza”), 65) da cui ricaviamo il significato di “città splendente” a testimoniare la visione particolare che gli antichi avevano di questo luogo.
Ritroviamo tracce di toponomastica celtica in alcuni nomi di fiumi come lo Stura (in Piemonte) che deriverebbe dalla forma celtica *Steur (“forte”), 66) il Reno che scorre vicino a Bologna che deriverebbe dal gallico Renos (“fiume”, “che scorre”, “flutto”), 67) mentre il Vara in Liguria farebbe derivare il suo nome dal gallico Vara (“acqua”). 68) Un altro nome di fiume, il Piave che scorre nel Veneto, avrebbe anch’esso un’origine celtica dato che contiene il termine avon (“acqua” “fiume”).
Alcuni toponimi invece si riferiscono alla natura dei luoghi come Crosa (Piemonte) che è verosimilmente un termine di origine celtica (“via incavata”, “buco”) 69) a indicare che il villaggio si è sviluppato presso un avvallamento, Dervio (in provincia di Como), il cui nome si rifà probabilmente al gallico dervo (“quercia”), e Braia, un toponimo presente in Piemonte e in Lombardia, probabilmente da brag (“palude”). 70)
Altri toponimi si riferiscono alla natura del suolo come nel caso del Monte Grappa in Veneto che pare derivi il suo nome dal termine celtico greb, grepp (“luogo sassoso e arido”) mentre il monte Barro che sovrasta la città di Lecco pare derivi il proprio nome da una forma gallica che significa “sommità, “altura”. Di probabile origine gallica il nome delle Alpi Pennine (dal gallico penno, “testa, estremità”) in latino Poeninus, Penninus.
Il lago Maggiore, tra Piemonte e Lombardia, detto anche Verbano (lat. Verbanus), deriva con ogni probabilità dal gallico *uper- (“sopra”) e *banna, *benna (“punta”, “sommità”) che alludono alla conformazione del lago. Nel mio studio l’origine gallica dei suddetti toponimi è emersa attraverso la loro denominazione latina, e proprio i toponimi di origine latina saranno argomento del prossimo paragrafo.
Le dimore dei Celti, seguendo i dati raccolti dagli studiosi, erano costruite in legno, di forma circolare o rettangolare con il tetto di paglia per proteggere chi le abitava dal freddo e dall’umidità. Poteva essere anche usata una muratura di sasso tenuta insieme da una malta di terra. Questa tipologia di abitazioni è ancora presente in alcune aree dell’Europa che furono la sede di antichi insediamenti di popoli celtici (alcuni villaggi delle isole britanniche ma anche le antiche capanne di Fiumalbo, in provincia di Modena pare che per la loro struttura abbiano un’origine celtica).
Le tribù celtiche che attraversarono le Alpi occidentali transitarono sull’attuale territorio del Piemonte venendo a contatto e fondendosi con i Liguri. Si consideri che quest’area era già da secoli occupata da tribù celto-liguri, risultato di una fusione pacifica tra questi due popoli e che la maggior parte del territorio era occupato da fitte foreste in montagna e paludi in pianura; ne consegue una certa scarsità di territori da colonizzare, per cui il Piemonte rappresentò per il grosso di queste tribù soprattutto un territorio di transito verso le fertili pianure di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. 71)
Seguendo quanto afferma Sergio Salvi 72) i Celti ridussero di molto i territori occupati dai Veneti nel nord est e fecero la stessa cosa con i territori occupati da Reti e Liguri in direzione ovest, con il risultato di fondersi con questi popoli. I Galli (è il termine con cui i Romani chiamavano le tribù celtiche), si spinsero fino alle rive dell’Adriatico non lontano dall’attuale città di Ancona e proprio l’invasione romana della valle padana sarà argomento del prossimo paragrafo.
I Romani
A partire dal II secolo a.C. cominciò il processo di colonizzazione romana nell’Italia settentrionale.
I coloni romani furono incentivati dal governo a combattere i popoli che occupavano le aree della cosiddetta Gallia cisalpina (area al di qua delle Alpi verso la pianura padana) e cominciò la guerra contro i Galli per la fondazione di nuove colonie. 73) I Romani nella loro avanzata fondavano dei campi militari che erano i quartieri generali delle loro legioni e delle loro coorti, le unità militari del loro esercito. Ai nuovi coloni venivano assegnate nuove terre divise secondo il metodo della centuriazione (centuriatio) che consisteva nella divisione dei terreni per mezzo di linee perpendicolari tra loro (decumani e cardini); Così il terreno era diviso in tanti quadrati che rappresentavano il fondo per cento famiglie (una centuria appunto). 74)
Come spiega Marco Belpoliti, 75) i coloni romani dividevano il territorio da loro conquistato in porzioni di terreno quadrate di duecento iugeri, misura romana corrispondente a cinquanta ettari. I coloni ricevevano due iugeri a testa cioè a ognuno veniva assegnato in heredium mezzo ettaro (5000 mq) che poteva essere trasmesso per via ereditaria.
Numerosi centri abitati da tribù galliche come Parma, Cremona, Piacenza, Bologna ma anche Milano, Novara, Brescia, Verona, Bergamo divennero dimora di coloni romani e latini. 76) Milano (Medio-lánum), il centro più antico dei Galli Cisalpini, fu conquistata dai Romani nel 222 a.C. 77)
I Romani cominciarono col colonizzare tutta l’area pedemontana alle pendici dell’Appennino e fondarono le città di Ariminum (Rimini) e Placentia (Piacenza), la prima nel 268 a.C. e la seconda nel 218 a.C.; entrambe i centri, in origine abitati da tribù galliche, furono collegati dalla via Aemilia, così denominata perché fatta costruire dal console Marco Emilio Lepido. Questa strada divenne molto importante per i traffici commerciali delle aree circostanti e fu terminata nel 187 a.C. 78)
In un arco di tempo che va dal II secolo a.C. al IV secolo d.C. il territorio della Gallia cisalpina venne romanizzato. Alla fine del III secolo d.C. l’imperatore Diocleziano attuò una riforma giuridico-amministrativa dell’Impero; la città di Milano divenne la capitale della Cisalpina, il cui confine, seguendo il crinale appenninico, andava dalla Spezia a Rimini. Questo confine rappresentò anche un confine linguistico, cioè ebbe delle conseguenze sulla lingua parlata in quest’area geografica. 79)
Al principio del IV secolo l’imperatore Costantino creò due vicariati indipendenti: l’Italia annonaria che comprendeva l’Italia settentrionale e la Rezia, e l’Italia suburbicaria che corrispondeva all’Italia centro-meridionale il cui scopo era quello di approvvigionare Roma. 80)
Ai fini dello studio dei toponimi romani è opportuno ribadire che la presenza romana sul territorio della valle padana si distinse da quella celtica e da quella dei popoli che precedentemente vi si insediarono per l’importanza attribuita alle città e alla vita che ivi si svolgeva.
Si può affermare che il fenomeno dell’urbanesimo in valle padana iniziò con il dominio di Roma e che il sistema di conquista romano, come avvenne in altre aree d’Europa, si fondava sulla costruzione di fortezze militari collegate tra loro da strade. I Romani nella loro avanzata nella Cisalpina diboscavano i terreni e li mettevano a coltura; inoltre costruivano canali, e le centurie di cui abbiamo parlato “seguivano le pendenze per le acque di scolo”; mentre la costruzione delle strade gettava le basi dei loro insediamenti urbani. 81)
Sottolineiamo che molti toponimi romani sono prestiti di origine gallica e alcuni di origine pre-gallica. Il nome della città di Milano, in latino Mediolanum (“pianura di mezzo”) è un esempio di toponimo latino di origine gallica; i toponimi con suffisso in –asco che ritroviamo numerosi nell’area nord occidentale dell’Italia settentrionale, in età romana furono latinizzati in –ascus avendo essi un’origine ligure. Ricordiamo che i Liguri furono sottomessi definitivamente dai Romani nell’anno 180 a.C. 82) Sono anche numerosi i toponimi con suffisso in –anum che si fondavano su cognomi in una forma che indicava un possesso o un’appartenenza. Gli attuali toponimi Savigliano (CN)<Salvianum<Salvius, Savignano sul Panaro (MO)<Sabinianus <Sabinius, Bazzano (BO)<gens Badia, Albuzzano (PV)<Albutianum<Albutius ne sono alcuni esempi.
Certi centri come Augusta Taurinorum (Torino) e Aquae Statiellae (Acqui Terme) attestano attraverso le loro denominazioni un’origine celto-ligure e ligure (celto-ligure era infatti il popolo dei Taurini e ligure quello degli Statielli) a indicare che i Romani ivi si mescolarono a questi popoli.
Bononia (Bologna) indica invece l’origine gallica della città che fu anticamente occupata dai Galli Boi e successivamente conquistata dai Romani (189 A.C). Sempre lungo la via Emilia, Mutina (Modena) è un esempio di toponimo latino che ci dà informazioni sulla natura del suolo al tempo della fondazione della città. Il termine mota secondo Riccardo Querciagrossa 83) indica infatti in lingua latina il terreno di natura fangosa su cui fu edificata la città, tra i fiumi Panaro e Secchia. Questi fiumi disperdevano le loro acque in un’area che allora era una grande palude dai Romani chiamata Vallis Padusa che confinava con il delta del Po. I Romani intrapresero un’opera di colonizzazione di tutta quest’area attraverso la costruzione di strade e la fondazione di città. Così fu rifondata la città di Ravenna (di origine etrusca) che fu collegata con Ariminum (“la citta sul Marecchia”), l’attuale Rimini, da Ariminus che era appunto il nome latino di questo fiume.
Brixia, l’attuale Brescia è un altro esempio di toponimo latino che trae origine da una forma gallica (bric significava altura, cima).
L’analisi dei toponimi impone alcune riflessioni sul loro rapporto con l’opera di insediamento condotta dai Romani. Si può dire che riflettono appieno la natura di questa conquista basata principalmente sulla edificazione di accampamenti militari (castra), collegati da un ottimo sistema stradale per facilitare la marcia degli eserciti. Tale sistema fu elaborato per favorire al massimo la circolazione delle materie prime e dei prodotti dell’agricoltura.
Sulla base di quanto abbiamo affermato finora emerge una differenza sostanziale tra l’insediamento dei Romani e quello dei popoli che li precedettero nell’area oggetto della nostra ricerca. I popoli cosiddetti pre-romani (facciamo l’esempio dei Liguri, dei Celto-Liguri 84) o dei Veneti) erano per lo più stanziati in aree collinari, nelle valli, sulle rive dei laghi in prossimità delle prealpi, in montagna e in minima parte in pianura. 85) Ricordiamo che la pianura padana a quei tempi era ricoperta in gran parte da foreste, ma anche da paludi e acquitrini che rendevano molto difficile l’insediamento umano. I Romani nella loro avanzata nell’Italia settentrionale si insediarono principalmente nelle aree di pianura asciutta e attuarono anche un’opera di bonifica di territori paludosi e una di diboscamento, ma si distinsero soprattutto dai popoli con cui vennero a contatto per la fondazione di città che diede luogo al fenomeno dell’urbanesimo. 86)
Le principali città della valle padana nacquero da siti fortificati (castra) che con il passare del tempo divennero municipia (dal latino munus capere cioè sottoposti a oneri), oppure coloniae. I primi erano comunità a cui era stata concessa la civitas romana e, una volta acquisito il diritto romano, mantenevano una loro autonomia; le seconde (dal latino colere, coltivare) erano centri dove si erano stabiliti cittadini romani o latini con l’intento di mettere a valore una certa area e di romanizzare le popolazioni indigene della medesima. Le coloniae erano considerate una diretta estensione della città di Roma.
Alcuni centri di fondazione pre-romana a nord e a sud del Po divennero colonie romane; è il caso di Torino (Augusta Taurinorum) e Aosta (Augusta Praetoria) le cui fondazioni ebbero come caratteristica distintiva il tracciamento di due assi principali: il Cardo maximus, che si incrociava ad angolo retto con il Decumanus maximus. Il primo attraversava l’abitato da nord a sud mentre il secondo attraversava l’abitato da est a ovest. L’insediamento risultava quindi diviso in quattro parti dando luogo a una pianta a scacchiera dove le vie abitate si incrociavano ad angolo retto.
La città di Torino è sicuramente quella in cui è più visibile rispetto ad altre città di fondazione romana questo caratteristico impianto a scacchiera che si è, come vedremo, ampliato nei secoli seguenti divenendo una sua peculiarità. 87) Anche Pavia (denominata Ticinum dai Romani), conserva la caratteristica pianta a scacchiera di fondazione romana con la particolarità che il Cardo maximus fu tracciato perpendicolarmente al corso del fiume Ticino che attraversa la città, 88) mentre il Decumanus maximus è parallelo al corso del fiume medesimo. Anche a Verona il nucleo di fondazione romano, posto all’interno dell’ansa del fiume Adige, presenta una pianta a scacchiera attraversata da nord a sud e da est a ovest da due assi principali: la presenza del suddetto fiume e le sue anse garantivano all’insediamento un sicuro approvvigionamento di acqua e fungevano anche da difesa.
Un altro esempio di sito ben protetto dalla presenza di corsi d’acqua è quello in cui sorge la cittadina di Cuneo (del cui insediamento originario non si ha notizia in età romana ma solo a partire dal secolo XII, quando fu un libero comune) che si è sviluppata appunto in un cuneo formato dalla confluenza di due fiumi. 89)
Le città di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna che ritroviamo lungo la direttrice della via Aemilia furono anch’esse accampamenti fortificati romani nati a difesa di quest’ultima e in un secondo tempo divennero coloniae caratterizzate, al pari degli altri centri citati in precedenza, da un nucleo diviso in quattro parti divise da due assi dove il Decumanus maximus coincideva con il tracciato della via Aemilia. La caratteristica pianta a scacchiera dei suddetti centri andava a coincidere con il reticolo delle centuriazioni (centuriatio) cioè il sistema di divisione dei terreni tipico della colonizzazione romana. 90) Il fatto che la direttrice della via Aemilia coincidesse con l’asse viario di questi centri la dice lunga sull’importanza strategica di questa strada che collegava il centro di Ariminum (Rimini) con quello di Placentia (Piacenza). 91)
Dobbiamo evidenziare come questa lunga strada fosse una peculiarità dell’VIII Regio 92) al punto che tale area fin dalla seconda metà del I secolo a.C. era conosciuta con il nome di regio Aemiliae viae. La via Aemilia correva parallela al confine nord della Gallia cisalpina e i centri fortificati che erano sorti lungo la sua direttrice erano in grado di mobilitare ingenti forze militari in caso di pericolo di invasione. 93) Da qui la grande importanza strategica del tracciato lungo la quale i Romani erano in grado di mobilitare migliaia di soldati.
Dobbiamo considerare che i Romani e i Latini che si erano insediati in quest’area si proponevano di convivere pacificamente con le genti di origine gallica, ligure e di altre etnie, cioè gli autoctoni di quest’area con cui un tempo si erano scontrati. Intendevano mantenere con essi una solida alleanza contro eventuali invasioni provenienti da oltralpe, e la creazione di un lungo asse viario lungo il quale erano insediati dei contingenti militari rappresentava una solida garanzia di difesa del territorio. A sostegno di questa interpretazione si vedano le tesi di Giovanni Brizzi. 94)
Nella via Aemilia confluivano alcune importanti strade che attraversavano l’appennino, e ad Ariminum (Rimini) la medesima si congiungeva con un’altra importante strada, la via Flaminia. Quest’ultima, completata moltissimo tempo prima, andava da Roma a Fanum (Fano) e da Fanum ad Ariminum.
Possiamo ritenere che il sistema viario che i Romani trovarono al tempo della loro conquista della Gallia cisalpina fosse abbastanza efficiente, dal momento che nella loro avanzata si limitarono a potenziare le strade in modo da renderle il più possibile praticabili in ogni condizione climatica, e cercarono di sistemare al meglio i tronchi stradali.
In definitiva, il sistema stradale romano nella Gallia cisalpina così come nelle altre aree conquistate aveva uno scopo strategico, militare, politico e commerciale al fine di affermare l’egemonia romana. 95) Il fatto che esistano scarsissime testimonianze che i Romani ricorressero alla flotta per spostarsi nelle aree estreme a ovest e a est vicine al mare, attesta che essi preferivano spostarsi via di terra utilizzando la rete viaria esistente. A sostegno di questa interpretazione si veda quanto afferma Marco Mansuelli. 96)
L’insediamento romano nei centri urbani prevedeva due tipologie di abitazioni: la domus cioè una casa indipendente, abitata dalle classi agiate, e le cosiddette insulae che potremmo definire palazzine a più piani di edilizia popolare. Il termine insulae, isole, spiegherebbe la presenza di tali edifici a poca distanza l’uno dall’altro.
La domus si sviluppava in senso orizzontale e aveva un piano solo; era caratterizzata dall’assenza di finestre sulle mura esterne per evitare possibili incursioni di ladri, e prendeva luce da un’apertura rettangolare sul tetto detto compluvium. L’abitazione aveva una forma geometrica che si inquadrava bene negli isolati quadrangolari che caratterizzavano la pianta urbana dei centri abitati. 97)
Le insulae prevedevano di solito una struttura in legno e un materiale di costruzione di scarsa qualità al punto che i crolli erano frequenti. Questa era una peculiarità delle case dei poveri o comunque delle classi meno abbienti che vivevano sui vari piani in piccoli alloggi.
Queste, per sommi capi, erano le caratteristiche distintive delle abitazioni urbane mentre fuori dalle mura delle città, nelle aree rurali si trovavano le cosiddette villae.
L’archeologia rivela che vi erano due tipi di villae: la villa urbana che si collocava nei dintorni dei centri urbani, e la villa rustica che si trovava lontano dagli abitati. La prima era, potremmo dire, la residenza di prestigio delle classi più agiate, dove il dominus viveva e incontrava i suoi ospiti organizzando grandi ricevimenti (spesso questa dimora aveva una piscina, un grande giardino e una biblioteca), mentre la seconda aveva una duplice funzione, quella di sede abitativa del dominus e quella di complesso produttivo agricolo e di gestione di un latifondo.
Un esempio di villa urbana è la cosiddetta villa di Valdonega che è stata scoperta nel comune di Verona e risale al I secolo d.C. Si tratta di un’abitazione lussuosa, con pavimenti a mosaico e le pareti affrescate. Dagli scavi sono emersi solo tre ambienti che davano su un portico, in quanto il resto della struttura si troverebbe sotto la superficie del terreno dove sono stati costruiti moderni edifici. 98)
Un esempio di grande villa rustica è invece quella scoperta a Palazzo Pignano, in provincia di Cremona. Si tratta di un complesso a padiglioni che risale al IV-V secolo d.C. La scoperta di mosaici nel pavimento denota il carattere lussuoso dell’abitazione del dominus; inoltre sono stati scoperti dei canali dove veniva convogliata aria calda in modo da ottenere un impianto di riscaldamento.
La villa era costituita da strutture connesse tra di loro; è stato scoperto un ambiente che fungeva da magazzino dove venivano riposte le granaglie e gli altri prodotti agricoli. Scavando il terreno circostante la villa gli archeologi hanno scoperto tutta una serie di frammenti di ceramiche: si tratta di contenitori e di olle, cioè vasi che potevano servire alla conservazione dei cibi ma anche semplicemente per riporre degli oggetti come i gioielli. Sono state ritrovate anche monete romane che risalgono al IV secolo d.C. e frammenti di vetro soffiato. 99)
L’insediamento rurale romano si differenziava dallo stanziamento rurale dei popoli che avevano preceduto i Romani in queste terre in quanto caratterizzato da una produzione agricola per il mercato. Ci riferiamo al fatto che le grandi villae, di cui abbiamo fatto l’esempio, erano vere e proprie aziende agricole costituite da edifici raggruppati intorno a una corte dove era presente la residenza del proprietario; ma anche i rustici dove vivevano gli schiavi o comunque coloro che lavoravano la terra alle sue dipendenze.
Lo sfruttamento agricolo della valle padana precedente all’arrivo dei Romani aveva invece sostanzialmente un carattere di sussistenza, volto a soddisfare i bisogni di chi lavorava la terra. A sostegno di questa interpretazione si legga il testo di C.T. Smith. 100)
Il dominus di queste villae rustiche spesso aveva la sua residenza fissa in città e solo periodicamente risiedeva nelle tenute di campagna, che potevano anche essere gestite da un liberto, cioè da uno schiavo liberato che stipulava un contratto con il dominus e aveva le mansioni di un moderno fattore. 101) La villa rustica scoperta nel territorio di Russi (Ravenna), costituita dalla lussuosa abitazione del proprietario con pavimenti a mosaico, sala da pranzo, impianti termali e due magazzini per lo stoccaggio dei prodotti agricoli, rappresenta un esempio di questo tipo di gestione della terra. 102)
Una malta che si legava alla pietra e al mattone rappresentava, oltre al legno, un tipo di materiale da costruzione molto comune per queste dimore padronali. Per via dell’uso di questi materiali che si deteriorano con difficoltà – a differenza del legno con il quale erano costruite le casupole dei contadini – non è stato difficile per gli archeologi scoprire i resti di queste villae e allo stesso tempo ha reso agevole fare una mappatura della diffusione delle suddette anche nell’area oggetto della nostra ricerca. A sostegno di questa interpretazione possiamo osservare quanto afferma Clifford T. Smith. 103)
Goti e Longobardi
Gli storici generalmente sono concordi nel considerare il 476 d.C. come l’anno del crollo dell’impero romano d’occidente, che diede luogo alla creazione dei cosiddetti regni romano-barbarici.
Si è soliti indicare il 489 d.C. come l’anno dell’invasione dei Goti, originari della penisola scandinava e il 568 d.C. come quello dell’invasione dei Longobardi, anch’essi di origine scandinava ma provenienti dalla pianura pannonica. Questi popoli penetrarono dai confini nord-orientali della penisola (l’odierno Friuli – Venezia Giulia) e avanzarono a nord e a sud del fiume Po.
Goti e Longobardi durante la loro avanzata si limitarono a occupare siti preesistenti di fondazione romana e pre-romana, 104) ben consapevoli della superiorità della civiltà romana, capace di utilizzare materiali da costruzione molto innovativi 105) per i cosiddetti barbari, i quali nei loro luoghi d’origine adottavano principalmente il legno come materiale da costruzione.
Alcune città di fondazione romana come Pavia (Ticinum) e Brescia (Brixia) divennero centri molto importanti culturalmente e politicamente sotto il dominio longobardo. Pavia divenne addirittura capitale del regno e Brescia sede di un importante ducato. Una peculiarità dell’insediamento longobardo su questo territorio fu prediligere la campagna piuttosto che la vita urbana, e in ciò si intravede un’analogia con lo stanziamento in quest’area dei popoli pre-romani. Tale elemento culturale comune a Longobardi e autoctoni avrebbe facilitato la loro fusione, consentendo alle generazioni che seguirono nei secoli una incisiva e duratura eredità culturale e genetica.
L’organizzazione della società longobarda in Fare, un termine che indicava dei gruppi di famiglie, avrebbe una qualche analogia con le famiglie che costituivano le comunità autonome, per esempio i Galli cisalpini che da secoli abitavano queste terre. L’insediamento di queste comunità longobarde nei centri urbani della valle padana avrebbe dato impulso dopo alcuni secoli ai liberi comuni, che si svilupparono come organismi autonomi con leggi e magistrature indipendenti, e rappresentarono una peculiarità della Padania in età medievale. Un’interpretazione sempre sostenuta dal grande padanista Gilberto Oneto. 106)
Abbiamo a disposizione diversi tipi di fonti che ci permettono di ricostruire l’insediamento sul territorio padano dei suddetti popoli. Possono essere parte della tradizione scritta, cioè di tipo narrativo, ordinate cronologicamente, come la testimonianza di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro: politico, letterato e storico di fama sotto il regno di Teodorico (493-526 d.C.), scrisse una Chronica e una Historia Gothorum. O come la testimonianza del monaco latino di origine ostrogota Iordanes che intorno al 552 d.C. scrisse il De origine actibusque Getarum. 107)
Per quanto riguarda i Longobardi, una testmonianza ci giunge dagli scritti del monaco Paolo Diacono che discendeva da una nobile famiglia longobarda del Friuli e aveva studiato nella città di Pavia. Paolo Diacono scrive in lingua latina Historia Longobardorum 108) nell’anno 789 d.C. Seguendo il suo racconto il re Alboino e la sua gente penetrarono il confine nord-orientale delle Alpi e giunsero nel territorio dell’attuale Friuli nell’anno 569 d.C.. Alboino scelse come baluardo della sua avanzata la città di Cividale e penetrò nel Veneto, in Lombardia e in Piemonte, quindi attraversò il Po e giunse in Emilia.
Per comprendere l’insediamento umano in Padania sono quindi importantissime le fonti storiche, cioè le testimonianze più antiche. 109)
Ma anche la toponomastica rappresenta una fonte linguistica molto importante ai fini di una ricostruzione dell’insediamento nell’area padana di Goti e Longobardi. Per quanto riguarda i toponimi di origine germanica, è opportuno ricordare che il popolo dei Goti, i quali dominarono la penisola per 60 anni (dal 488 al 555 d.C.), 110) ha lasciato diverse tracce nella toponomastica padana. Ritroviamo nomi come Gòdia, in provincia di Forlì (“sede dei Goti”), Godi 111) nel territorio di Piacenza, Gòdega in Veneto e Vigone (Vicus Godonis) in Piemonte che ci ricordano la loro colonizzazione. 112) Gódega significa “gotico” e allude a un antico insediamento di Goti, mentre Vigone (da castrum o vicus Godonis) alluderebbe all’accampamento, alla tenuta di un signore di origine gotica.
Altri toponimi che attestano la loro presenza sul territorio dell’Italia settentrionale sono Goito, centro in provincia di Mantova, Sesta Godano dal nome di persona gotico Goda, in provincia di La Spezia, 113) Rovigo, derivato probabilmente dal nome del proprietario gotico del luogo, tale Hrodico e Breda 114) che ritroviamo in diverse aree della valle padana, derivato dal termine gotico braida che indicava un terreno incolto, un prato, una campagna aperta. Si tratta in questo caso di un toponimo che ci dà informazioni sulla natura del luogo. Il centro di Monghidoro, paese dell’Appennino Tosco-Emiliano in provincia di Bologna, deriva il suo nome da Mons Gothorum (“Monte dei Goti”); il toponimo latino allude a un antico insediamento di Goti in quest’area e rappresenta un etnotoponimo cioè un nome di luogo che rivela la presenza nel passato di un insediamento etnico.
Seguendo quanto afferma G.B. Pellegrini 115) vi sono altri piccoli centri nel nord il cui toponimo ci riporterebbe a un antico insediamento di Goti; si tratta di Godio (Casale Monferrato, AL), di Montegridolfo in Romagna dal gotico Gredwulfs, di Adro (BS) dal nome gotico Adra, di Medolfe (MN) dal gotico Medwulfs, Buttanengo (NO) forse < Bôtil-iggs e Gisfengo in provincia di Torino che deriverebbe forse da Geiswins.
Si evidenzia che la colonizzazione dei Goti in Italia, più precisamente degli Ostrogoti cioè dei Goti orientali, si caratterizzò per un’accettazione della cultura e della lingua latina. Dobbiamo considerare che questo popolo era già venuto a contatto con la civiltà romana prima di giungere nella penisola e che lo stesso re Teodorico, dopo aver conquistato l’Italia, chiese all’imperatore romano d’oriente il conferimento ufficiale della carica di re e patrizio della penisola. Questo gesto sottolinea la sua grande considerazione per la civiltà romana, e per alcune virtù considerate caratteristiche distintive dei Romani. Teodorico era ben conscio della superiorità romana nel campo del diritto e della pubblica amministrazione e aspirava a una fusione tra le virtù belliche proprie del suo popolo e le virtù romane. 116) L’analisi fin qui condotta sui toponimi di origine gotica ci rivela che questo popolo non impose ai vinti la propria lingua, dal momento che generalmente ai luoghi occupati non venivano assegnati ex novo nomi gotici (anche se naturalmente c’erano delle eccezioni).
È opportuno ricordare che i Goti erano in numero decisamente inferiore rispetto alle popolazioni autoctone (si pensa che durante la conquista ne giunsero circa 100-200mila), e questo favorì senz’altro una fusione tra i vincitori e i vinti a svantaggio della lingua gotica.
Riconsiderando la storia dell’invasione longobarda nella nostra penisola emerge chiaramente che si trattò anche stavolta di un flusso migratorio di scarse proporzioni. La toponomastica di origine longobarda rappresenta indubbiamente uno strumento importante per ricostruire la natura di tale insediamento. Si deve considerare che i Longobardi rispetto ai Goti erano un popolo molto meno romanizzato: fino al momento della loro invasione avevano avuto scarsissimi contatti con la civiltà romana e ciò si riflette in alcuni toponimi dei luoghi che i suddetti occuparono. Esempio significativo circa la natura dell’insediamento longobardo è dato dal termine Fara presente in molti toponimi dell’area in oggetto. Fara in lingua longobarda indicava il gruppo di individui uniti da parentela che costituivano i corpi di spedizione durante la migrazione. 117) Come afferma Konrad Huber 118) questi gruppi comprendevano anche donne, bambini, individui appartenenti ad altre etnie come Bulgari, Sassoni e anche degli schiavi. Tali gruppi formavano delle unità militari e il termine in questione stava anche a indicare il sito assegnato a un singolo gruppo durante l’opera di colonizzazione.
Alcuni toponimi come Fara Novarese (Novara), 119) Farra di Alpago (Belluno), Farra di Soligo (Treviso), 120) Fara Vicentino (Vicenza), Fara Gera d’Adda (Bergamo) sono esempi di località in cui è presente il termine nella sua forma originaria o con una lieve alterazione.
I centri di San Michele, frazione di Morfasso e San Gabriele frazione di Piozzano in provincia di Piacenza furono parte anch’essi di un dominio longobardo e rappresentano invece degli agiotoponimi, cioè indicano il culto di un santo. In questo caso i toponimi sono una fonte importante circa un aspetto particolare della cultura di questo popolo germanico: si tratta di santi raffigurati con la spada che erano assai venerati dai Longobardi. 121) Seguendo questa teoria anche il nome di S. Michele dei Mucchietti, una frazione di Sassuolo (MO), sarebbe di origine longobarda facendo parte di un dominio longobardo.
Un altro toponimo che ricorre nel nord Italia e che con tutta probabilità ha un’origine longobarda è Centenaro 122) il quale deriverebbe dall’antico termine germanico Centena con il quale si indicava una suddivisione della popolazione pari a un nucleo di cento famiglie a cui veniva data la terra da colonizzare. Questo toponimo rappresenta quindi una fonte di informazione sul tipo di insediamento longobardo e lo ritroviamo in provincia di Piacenza (frazione di Ferriere) e nel territorio di Brescia (frazione di Lonato).
Sala è un altro toponimo presente nella nostra penisola che trae la sua origine in età longobarda; il termine si riferisce alla casa padronale in cui veniva effettuata la raccolta dei prodotti della terra dovuti al proprietario, pertanto rappresenta una importante fonte di informazione sulla società rurale di quel tempo. 123) Sala Baganza (Parma), Sala Biellese (Biella), Sala Bolognese (Bologna), Sala Monferrato (Alessandria) e Sale Marasino (Brescia) ne sono alcuni esempi.
Gastaldo dal longobardo Gastald che denominava l’amministratore del re e provvedeva alla riscossione dei tributi, è un toponimo che ci dà informazioni sulla struttura della società al tempo della dominazione longobarda, e i centri di Gastaldi (Torino) e la strada della Gastaldia (Padova) ne sono alcuni esempi.
Un altro toponimo che ci dà informazioni sulla natura dei luoghi è Gualdo che deriva dall’antico termine germanico-longobardo wald (foresta). Lo ritroviamo nel centro di Gualdo, una frazione di Voghiera in provincia di Ferrara, e Gualdo, frazione di Roncofreddo (FC) che rappresentano altri luoghi in cui avvenne la colonizzazione longobarda.
I toponimi Gaggio, Gazzo, Gaggiano e Gazzano sarebbero portatori anch’essi di un sostrato linguistico longobardo derivando dall’antico termine Gehagi il cui significato sarebbe “fondo cintato, proprietà privata, riserva di caccia, terreno boschivo riservato”. 124) Seguendo questa teoria, il centro di Gaggio Montano, un paese dell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, avrebbe origine longobarda; ciò è avvalorato dal fatto che il suddetto centro era proprio un dominio longobardo durante l’Alto Medioevo ed era denominato in latino Gajum Reginae, “bosco della Regina”.
Se osserviamo una carta dell’Italia settentrionale possiamo notare tutta una serie di toponimi con suffisso in -engo presenti in alcune aree di Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto. Corrispondono a centri di piccole e medie dimensioni. Ricordiamo tra essi Barengo (NO), Bosco Marengo (AL), Verolengo (TO), Bollengo (TO), Scurzolengo (AT), Casalpusterlengo (LO), Martinengo (BG), Bottolengo (BS), Pastrengo (VR), Bussolengo (VR) e Gossolengo (PC). I maggiori studiosi del passato e del presente sono concordi nell’affermare che il suddetto suffisso trae la sua origine al tempo delle invasioni germaniche nell’Alto Medioevo. Si tratterebbe di un suffisso gentilizio che indica l’appartenenza a una famiglia e deriverebbe dall’ antico suffisso germanico -ingos; ad esempio in Bollengo sarebbe riconoscibile il cognome germanico Bolo. 125)
Il fatto che i suffissi in -engo siano o meno di origine longobarda è una questione assai dibattuta fin dal passato. 126) Secondo alcuni eminenti studiosi i toponimi in -engo proverebbero una colonizzazione militare longobarda lungo le principali vie di comunicazione terrestre e fluviale della valle padana. 127) Secondo altri la distribuzione di questi toponimi non seguirebbe le suddette vie di comunicazione e quindi non proverebbe un insediamento di tipo militare. 128) Per altri ancora alcuni toponimi in -engo hanno un’origine germanica, altri invece risalgono a un sostrato linguistico pre-latino. Da ciò emerge anche la considerazione che i Longobardi, nell’area oggetto della mia ricerca, non fondarono nuove città e villaggi, quindi la loro non fu una colonizzazione vera e propria ma si limitarono a occupare siti preesistenti 129) e in alcuni casi vennero adottati da essi toponimi preesistenti.
Riconsiderando l’invasione e l’insediamento dei Longobardi emerge che i suddetti lasciarono attraverso la toponomastica una traccia considerevole della loro lingua e cultura. Il fatto stesso che dal nome degli invasori Longobardi la pianura padana assunse il nome di Longobardia è una prova evidente di tale impronta, perpetuatasi nel nome Lombardia che designa la regione in cui è compresa buona parte della valle del Po.
Le città
Le città dell’area in oggetto hanno subìto nel corso dei secoli una evoluzione morfologica che è conseguenza dei mutamenti sociali, economici e politici che hanno coinvolto i loro abitanti. La pianta di una città può rispecchiare per esempio la necessità di una struttura militare di difesa, come nel caso del castrum romano, caratterizzato da un reticolo di strade basate sul cardo e sul decumanus. 130) Alcune città del nord, nel loro nucleo originario, hanno una caratteristica pianta a scacchiera che testimonia la loro origine romana. Torino, Aosta e Pavia sono esempi assai significativi di questa tipologia di struttura. 131) In particolare la città di Torino, sviluppandosi nel corso dei secoli e diventando la capitale del ducato di Savoia in età moderna, ampliò questo tipico schema urbanistico ortogonale proprio del castrum romano, 132) seguendo una precisa strategia politica e militare in quanto si voleva, attraverso questa fisionomia urbana, rimarcare il potere assoluto del duca e agevolare il transito del suo esercito. Si volle espandere infatti la città seguendo il tracciato di un reticolo di strade diritte, secondo l’uso dell’architettura del Rinascimento che ebbe un effetto di maestosità e signorilità a magnificare la grandezza della casa regnante. 133)
I secoli XVIII e XIX, in cui Casa Savoia consolidò anche attraverso i conflitti militari la propria sovranità in questa città, videro uno sviluppo urbano e architettonico sempre improntato a una grande armonia di strade che si incrociano ad angolo retto e di piazze monumentali che hanno mantenuto questa peculiarità di grande signorilità, evidente anche oggi agli occhi del visitatore.
Le piante di altre città rispecchiano invece la necessità di avere una cinta muraria di difesa come nel caso di alcuni centri fondati nel Medioevo. Cittadella, vicino a Padova e Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, conservano poderose cinte murarie che risalgono al XIII e al XII secolo e ben rappresentano questa tipologia di centri.
Proprio al Medioevo risalgono le tipiche piante radiocentriche con strade a raggiera che si dipartono da un nucleo centrale. Questa tipologia di pianta è propria ad esempio di Crema e Milano, la prima con un centro costituito dalla piazza del Duomo da cui si dipartono vie irregolari e in cui sono evidenti le tracce di due cerchie di mura di età medievale; la seconda in cui l’impianto medievale è ben evidente entro la cerchia dei navigli e in cui le tracce della Mediolanum di età romana non sono quasi più visibili. 134)
Il centro della città di Bologna ha conservato nei secoli un tipico impianto medievale pur essendo rimasta qualche traccia dell’antico nucleo romano a scacchiera diviso dal cardo e dal decumanus, su cui si andò a innestare la via Aemilia. 135) Da una osservazione della pianta della città emerge che in età medievale furono costruite due cerchie di mura. La prima che risale al secolo XII, e una seconda cerchia più ampia di forma poligonale che risale al secolo XIV. Le porte sono rimaste le uniche testimonianze di queste mura lungo la cui cerchia scorrono i viali di circonvallazione. Osservando la mappa della Bologna medievale, si nota la peculiarità che alle due estremità dell’asse decumanus una serie di vie si irradia a ventaglio. 136) Il centro della città ha mantenuto nel corso dei secoli una traccia della presenza dei Longobardi nell’aspetto a semicerchio delle strade che si adattavano alle costruzioni difensive. 137)
Nel secolo XI questa città lungo la via Aemilia era sede di commerci e vi si svolgevano importanti fiere, 138) ma era anche un libero comune, caratterizzato dalla partecipazione di diversi ceti sociali al governo citadino, come accadeva in altri centri della Padania. 139)
I liberi comuni sarebbero un’eredità culturale dello stanziamento delle antiche fare longobarde in alcune città di quest’area. Il carattere autonomo di queste comunità longobarde – le quali a loro volta rappresentavano una continuità con il carattere autonomo delle tribù indigene stanziate in questi luoghi nel corso della avanzata romana nella Cisalpina – avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel favorire il carattere autonomo dei liberi comuni. A sostegno di questa interpretazione si legga quanto afferma Gilberto Oneto. 140)
Nell’àmbito dell’attuale area emiliano-romagnola si potrebbero delineare due zone distinte per caratteri culturali ed economia: una emiliana che potremmo definire “longobarda”, da Modena a Piacenza, che ha prima ereditato e poi mantenuto nel corso dei secoli quella cultura germanica, esportata dai Goti, dai Longobardi e anche dai Franchi, in seguito al crollo dell’Impero Romano. Questa zona nei secoli ha sempre avuto come polo di attrazione culturale ed economico l’area lombarda al di là del corso del Po. Per contro, l’area corrispondente all’attuale Romagna che anticamente si identificava con l’Esarcato bizantino, è stata sempre attratta nell’orbita degli affari e della cultura dei territori al di la del crinale appenninico, come la Toscana.
Possiamo poi delineare due aree intermedie corrispondenti alle città di Bologna e Ferrara. che culturalmente ed economicamente hanno sempre mantenuto una posizione mediana tra le altre due aree. Questa interpretazione è avvalorata da quanto si legge in Storia dell’Emilia-Romagna, a cura di Aldo Berselli. 141)
L’esempio specifico dell’area emiliano-romagnola dimostrerebbe che si è preservata in un certo qual modo, nel corso dei secoli fino a oggi, un’antica eredità culturale che ha origine nel Medioevo, pur considerando i processi di contaminazione culturale odierni, risultato del fenomeno dell’immigrazione dal centro-sud della penisola e da Paesi stranieri.
L’aspetto urbano delle principali città padane in età medievale riflette la loro vocazione mercantile e artigianale. Gli esempi di Milano e Bologna sono significativi in questo senso. Bologna, per esempio fu centro di produzione artigianale e mercati, come quello settimanale del sabato che nel 1219 si teneva in quella che oggigiorno è denominata piazza VIII Agosto. Vi si svolgeva la vendita di sementi, di attrezzi per l’agricoltura e di animali, ma anche di abbigliamento e calzature. Da notare che il mercato settimanale in questa piazza si svolge tutt’oggi.
Inoltre si tenevano due fiere annuali, nei mesi di maggio e agosto. Si trattava delle fiere di San Procolo e della fiera del Reno. Vi accorrevano un gran numero di mercanti, tra cui molti fiorentini di cui ci è giunto un libro contabile scritto in lingua volgare, relativo agli affari conclusi alla fiera di San Procolo del 1219. 142) In area emiliano-romagnola abbiamo notizia di altre due importanti fiere che si svolgevano in età medievale a Ravenna e a Rimini. 143)
Ricapitolando, alcune città della cosiddetta Italia cisalpina, nel Medioevo, diventano sedi di mercati in cui si incontrano periodicamente mercanti locali e internazionali, e i primi sono i responsabili della distribuzione dei beni a livello regionale. Questi centri che erano anche liberi comuni, furono anche centri di produzione, come per esempio Milano, famosa per la produzione della lana ma anche di armi; Asti, anch’essa famosa per i suoi mercanti che commerciavano con Francia e Inghilterra e anche per i suoi banchieri; Piacenza, altro centro di commerci facilitato dal fatto di essere vicino a una strada che portava da Milano a Genova. Bologna della cui vocazione mercantile abbiamo parlato, era anche sede di produzione della seta e sede di una famosa università che rappresentava un polo di grande attrazione. Le città di Padova e Verona erano sedi di produzione di manufatti della lana. 144)
Questa vocazione per il commercio, per l’artigianato e per l’industria da parte di molti centri della Padania rappresenta un insieme di risorse che riflettono dei valori, delle conoscenze, delle tradizioni che si rifanno a un passato remoto in cui in queste terre vivevano a contatto genti diverse. L’industria della ceramica nell’area di Modena, per esempio, affonda le sue origini in età romana. Sono stati infatti ritrovati molti reperti archeologici che attestano già a quei tempi la produzione di ceramica: secondo Plinio il Vecchio la città di Mutina (Modena) era un centro importante per la produzione della ceramica, nonché famosa per la presenza, nelle sue campagne, di una produzione agricola molto fiorente. 145)
L’aspetto urbano delle città è generalmente caratterizzato dalla presenza nel suo centro di un palazzo sede del potere politico, e di un duomo o una cattedrale che rappresentano il potere religioso (a questo proposito l’esempio della piazza Maggiore di Bologna è molto esaustivo). 146)
In età contemporanea, diverse città padane vedono la trasformazione degli anelli di circonvallazione, che seguivano i tracciati delle antiche mura, in viali adibiti alla circolazione degli autoveicoli e dei motoveicoli. I viali di circonvallazione sono una peculiarità di Bologna e Milano, ma anche di altre città dell’area padana come Piacenza e Parma. 147)
In questi territori esistono anche tipi di città il cui sviluppo urbano ha portato alla fondazione di un nuovo centro abitativo che si distingue dal primo nucleo. Si tratta della cosiddetta città multipla di cui Bergamo è l’esempio pratico. 148) È costituita da un da un nucleo urbano che risale all’età pre-romana e romana e il suo sito si trova su un’altura con uno scopo difensivo, la cosiddetta arx romana. Nel corso dei secoli si è sviluppata una città “bassa”, cioè ai piedi di questa altura, allargandosi nella pianura con una struttura fatta di vie regolari, sede delle principali attività amministrative ed economiche. 149)
Ci sono poi esempi di centri urbani progettati e costruiti allo scopo di rappresentare un avamposto di un dominio territoriale confinante con il territorio di una potenza straniera. La città di Palmanova, fondata nell’attuale territorio della regione Friuli-Venezia-Giulia, ne è un esaustivo esempio. Essa fu costruita su progetto di architetti militari della Repubblica di Venezia in età moderna, nell’anno 1593, con la funzione di avanguardia del territorio della Serenissima Repubblica ai confini con l’Impero d’Austria.
Palmanova è caratterizzata da una pianta geometrica a stella. Le mura di difesa, in cui vi sono tre porte di ingresso, sono dotate di spigoli per meglio respingere le cannonate dell’esercito nemico e allo stesso tempo permettono ai cannoni di avere un miglior piazzamento di tiro. 150)
Il centro di Sabbioneta, vicino a Mantova, è un altro esempio di città fortificata da mura con una pianta a esagono irregolare: struttura intesa a sfruttare al meglio la funzione difensiva e offensiva delle armi da fuoco. Al suo interno ha la peculiarità di una cittadella militare con un impianto a scacchiera come altri centri di cui abbiamo fatto menzione. Fu fondata e si sviluppò alla fine del XVI secolo per iniziativa di Vespasiano Gonzaga Colonna, e l’armonia delle sue architetture segue i canoni tipici del Rinascimento.
Un altro esempio di centro che si è sviluppato diventando una città-fortezza militare è Cuneo. 151) Passò sotto il dominio del ducato di Savoia nell’anno 1382 e questo fatto determinò, nel corso dei secoli, un profondo cambiamento per la sua economia e il suo aspetto urbano. Cuneum alla fine del secolo XII era diventato un libero comune il quale, data la sua collocazione geografica a breve distanza dalle Alpi marittime, esercitava un notevole flusso commerciale in direzione della Francia 152) e in direzione di altri centri della Valpadana. La città ebbe anche un ruolo fondamentale nello smercio del sale che proveniva dal sud della Francia. 153) Si ha notizia, in un documento datato 1203, di un grande mercato 154) di derrate alimentari (olio pesce, frumento e altri prodotti) che si svolgeva appunto a Cuneo nella giornata del martedì. Da notare che esso si tiene tutt’oggi nella imponente piazza Galimberti proprio di martedi, rappresentando un’eredità culturale del Medioevo. La vocazione mercantile di questa città, al centro di una provincia che è sede di un’agricoltura di eccellenza e allevamenti di bestiame (in particolare bovini assai pregiati per la loro carne), affonda le proprie origini nei tempi remoti da noi descritti.
Riconsiderando la funzione di Cuneo come città-fortezza, avamposto del dominio dei Savoia vicino ai confini con la Francia, la sua sottomissione al dominio sabaudo determinò la creazione di un impianto urbanistico a scacchiera, con le vie che si incrociano ad angolo retto tipico di una cittadella militare. Questa peculiarità rappresenta un interessante analogia con la fisionomia urbana di Torino; 155) e pur considerando che quest’ultima divenne capitale di un ducato e Cuneo era ed è tutt’oggi una piccola città, alcune caratteristiche distintive dell’aspetto urbano delle due città rappresentano agli occhi dei visitatori un aspetto inconfondibile del retaggio culturale di casa Savoia in Piemonte.
La campagna
Occorre considerare che gli insediamenti rurali nella cosiddetta “Italia Cisalpina” hanno avuto origine soprattutto da condizioni ambientali e in parte anche da trasformazioni economiche e sociali. 156) Il loro sviluppo è stato condizionato soprattutto dal rapporto tra l’uomo e il suo sfruttamento del terreno agricolo circostante, nonché dall’allevamento degli animali e dalla presenza di terreno a pascolo.
La tipologia degli insediamenti isolati così come quella dei villaggi rurali rappresenta quindi una conseguenza del tipo di sfruttamento agricolo e del tipo di allevamento del bestiame. Questa premessa ci permette di evidenziare una sostanziale differenza tra la forma degli insediamenti rurali e quella dei cosiddetti borghi e dei centri urbani, che invece erano fortificati, cioè circondati da mura e da porte di ingresso: essi nacquero e si svilupparono privilegiando il rapporto tra l’uomo e i suoi simili, come per esempio tra un commerciante e il suo cliente, o tra l’amministratore e il popolo. Ne risulta che l’aspetto urbano delle città è molto differente da quello degli insediamenti rurali. A sostegno di questa interpretazione si legga quanto afferma il già citato Guido Barbina. 157)
Come dicevamo all’inizio, la principale tipologia di villaggio (nell’eccezione del termine usato da Guido Barbina) in area padana è il cosiddetto villaggio allargato, 158) la cui conformazione urbanistica è volta a salvaguardare sia i buoni rapporti umani, sia il rispetto della vita privata. La sua morfologia è rimasta sostanzialmente invariata fino alla seconda metà del XX secolo, allorché hanno avuto luogo le grandi trasformazioni nella tecnologia agraria e vi sono stati anche fortissimi esodi dall’agricoltura. Tutto ciò ha determinato anche cambiamenti nell’aspetto di questi villaggi.
Con il termine di villaggio sono indicati anche tipologie di insediamenti che sono sorti lungo i due lati di una strada. 159) Nel caso della pianura padana, oggetto della nostra ricerca, ci riferiamo per esempio ad alcuni insediamenti che si sono sviluppati in età romana lungo la via Aemilia, come Forum Gallorum, l’odierna Castelfranco Emilia (vicino a Modena) e come Forum Popilii, l’odierna Forlimpopoli, posta tra Forlì e Cesena. I due centri hanno in comune la caratteristica di essersi sviluppati in età romana (II secolo a.C.) e che uno dei loro due principali assi stradali è costituito dal tracciato dell’antica via Aemilia. Entrambe si trovano in aree dove sono visibili le tracce dell’antica centuriazione romana. In queste zone le strade hanno avuto uno sviluppo rettilineo che segue il tracciato a maglia reticolare delle centuriazioni. 160)
Vi sono poi altre tipologie di insediamenti rurali, detti lineari poiché le abitazioni sono collocate tutte lungo un lato della strada principale che corre lungo l’argine di un fiume o di un canale. Li ritroviamo nell’area del Polesine e della bassa pianura ferrarese. 161) Il centro di Occhiobello, in provincia di Rovigo, è nato e si è sviluppato seguendo questa tipologia di insediamento rurale, con le case ubicate in basso al piede esterno dell’argine del Po.
Le zone del Polesine e della bassa ferrarese nel corso dei secoli hanno subìto un’opera di bonifica del proprio territorio paludoso. Tale area, prospiciente al Mare Adriatico, era nell’antichità ricoperta da rigogliose foreste delle quali non è rimasto quasi più nulla, data l’opera di diboscamento già messa in atto dai coloni romani che portarono avanti un’opera di bonifica e di canalizzazione delle acque per sfruttare al meglio le grandi risorse della caccia, della pesca e della produzione del sale caratteristiche della zona nella quale comprendiamo anche la pianura costiera di Ravenna. 162)
L’ unica porzione di territorio ad aver mantenuto tracce consistenti delle antiche foreste che, fino a tutto il Medioevo, si affacciavano sull’alta costa adriatica, è il cosiddetto Gran Bosco della Mesola. Parte del parco Delta del Po in territorio ferrarese, è un bosco con una superficie di 1058 ettari che rappresenta quanto è rimasto dell’antico Bosco Eliceo, termine riferito alla presenza del leccio, un albero che era molto diffuso in quest’area. 163) Una parte del “Boscone” della Mesola (il toponimo si riferisce all’omonimo paese e deriva da media insula per la sua posizione tra terra e acqua) fu riserva di caccia del duca D’Este, signore di Ferrara, nel secolo XVI, e a quei tempi era addirittura circondato da mura.
Ciò che rimane di questo antico polmone verde, dove vivono varie specie di uccelli, daini e una specie di cervo, considerato una sottospecie degli ungulati che anticamente vivevano nella pianura, rappresenta un vero e proprio monumento naturalistico, una peculiarità di queste terre dove la vegetazione, il suolo e le acque si compenetrano, plasmate dalla mano dell’uomo.
Sempre in tema di antropizzazione rurale in area padana, abbiamo varie tipologie di insediamenti isolati. La casa cosiddetta unitaria, che comprende al suo interno un’abitazione e altri locali adibiti a stalla, magazzini, fienile (rustico) e quella cosiddetta a edifici separati (abitazione e rustico) in cui gli edifici si possono trovare uno di fronte all’altro, con un aia nel mezzo. Esempi delle due tipologie di casa rurale si trovano in Emilia, nella pianura bolognese. 164)
Ci sono poi esempi di case rurali unitarie caratteristiche dell’area nord-occidentale della Padania, per esempio in Piemonte, dove l’abitazione e il rustico hanno una parete in comune. Al pian terreno troviamo la cucina-soggiorno mentre le camere da letto sono al piano superiore e generalmente condividono un lungo ballatoio o balcone. La stalla e il magazzino dove trovano riparo le macchine agricole sono al piano terra, e al piano superiore il fienile. Queste cosiddette cascine sono molto frequenti nella campagna collinare e pedemontana piemontese, e come ricordano Carlo Cencini e Piero Dagradi sono chiamate case a elementi giustapposti. 165)
Abbiamo poi insediamenti isolati con una struttura più complessa: le cosiddette case a corte chiusa e a corte aperta. Si tratta in pratica di grandi fattorie di forma quadrangolare con una corte. In esse sono presenti le abitazioni e tutti i fabbricati adibiti a rustico. Ubicate al centro di una grande azienda agricola, sono caratteristiche della pianura lombarda, piemontese e in parte emiliana. Si tratta anche di aree percorse da importanti canali costruiti a supporto dell’agricoltura, il Cavour in Piemonte, a supporto della coltura del riso. Queste grandi cascine, il cui termine deriva dall’antico lombardo cassina (casa colonica), a sua volta derivato probabilmente dal termine latino capsa (recipiente), sono la testimonianza di un grande sviluppo di produttività agricola e di allevamento del bestiame, nata e incrementata nel corso dei secoli. 166)
Tali case coloniche a corte traggono probabilmente la loro origine dalle grange cistercensi di età medievale. Si trattava in pratica di fabbricati rustici, di fattorie agricole in cui lavoravano le comunità agrarie benedettine che dipendevano da un monastero; e se andiamo ancora più a ritroso nei secoli, i precursori delle suddette cascine si possono ritrovare nelle villae rustiche romane di cui abbiamo fatto menzione. 167)
In area veneta, nella pianura di Padova rivolta verso la laguna veneta e in particolare in tutta la zona lagunare da Grado in Friuli fino alle valli di Comacchio (Ferrara), quindi il Delta del Po, ma anche in alcune aree della pianura bolognese (Marmorta, Malalbergo) bonificate all’inizio del ‘900, 168) è presente un altro tipo di casa rurale tradizionale: si tratta dei cosiddetti Casoni, una struttura abitativa di forma rettangolare con un tetto spiovente ricoperto di paglia, i muri esterni in mattoni, canne, paglia e fango, materiali facilmente reperibili nelle suddette aree, ricoperti di intonaco di calce. Fungevano da abitazioni oppure anche da magazzini, depositi di attrezzi per l’agricoltura, da fienili oppure da depositi per imbarcazioni nelle zone tra terra e acqua. Molte di queste abitazioni scomparvero in seguito all’opera di risanamento dei vari territori; altre, dopo essere state restaurate, sono meta di visitatori (come a Piove di Sacco, vicino a Padova).
Alcuni studiosi ipotizzano dai vari materiali impiegati nella costruzione di queste abitazioni che le medesime traessero origine da quelle dei primi insediamenti neolitici.
In definitiva, queste strutture abitative tradizionali variano molto da un’area all’altra della valle padana, espressioni di una civiltà contadina che è nata in epoche remote e si è sviluppata nei secoli. Tale civiltà rurale, espressione della grande laboriosità di queste genti, viene molto ben descritta dallo scrittore e viaggiatore inglese Thomas Coryat all’inizio del XVII secolo:
Era una terra di laboriose, ciclopiche formiche, un grande laboratorio sperimentale dove i saperi delle arti, le tecniche degli “inzignari” idraulici, i denari dei mercanti e la fatica dei lavoranti avevano costruito un gigantesco orto irriguo e navigabile. Era un verde paese dove i contadini e le loro donne, tutti a piedi nudi, lavoravano chini sotto il sole di giugno, una enorme piana, nella quale, scomparse le vecchie culture, il riso e il granoturco crescevano accanto alle erbe foraggere”. 169)
Come osserva il viaggiatore inglese, gli abitanti di queste aree rurali diedero vita a un processo di umanizzazione della natura che rappresenta un’eredità culturale per tutti noi. 170)
Ai giorni nostri, questi insediamenti sopravvivono in un contesto economico e anche sociale profondamente diverso da quello in cui nacquero, 171) ma rappresentano un grande insegnamento su come l’uomo può vivere in armonia con la natura che lo circonda.
Etnia e territorio
Ci eravamo posti l’obiettivo di illustrare una chiara relazione tra lo stanziamento umano nella Padania dalla protostoria ai giorni nostri e la sua cultura, ossia l’insieme di valori, di credenze, di usi e costumi che lo caratterizzano. Ciascuno dei popoli che hanno vissuto in epoche lontane nell’area padana ha trasmesso qualcosa della propria cultura, della propria economia e della propria visione della realtà alle generazioni che si sono susseguite.
I caratteri culturali delle popolazioni padane attuali sono il prodotto del contatto e anche dello scontro fra gruppi di etnie diverse, mentre la tipologia degli insediamenti rispecchia anche le peculiarità degli ambienti circostanti.
Ai nostri tempi l’immigrazione di popolazioni dalla penisola italiana, così come quella da Paesi extraeuropei, ha comportato un processo di contaminazione della cultura che coinvolge anche l’aspetto esteriore dell’insediamento umano, e quindi quello delle case isolate, dei villaggi e delle città: un fenomeno accettabile a patto che non porti a uno squilibrio tale da far soccombere le tradizioni locali.
Nel complesso, tuttavia, i piccoli centri hanno mantenuto quella fisionomia culturale che fin dai secoli passati è stata una caratteristica distintiva dell’insediamento umano nell’Italia transpadana e cispadana, dalle Alpi fino al crinale dell’Appennino settentrionale.
La speranza è che nell’èra della globalizzazione che privilegia la mercificazione degli esseri umani e delle idee; in un momento storico in cui persone e cose tendono a essere omologate, perdendo ogni carattere distintivo, si cerchi con ogni mezzo di preservare non soltanto le proprie identità etniche ma anche quei “paesaggi culturali” che rappresentano le nostre radici e senza i quali perderemo la nostra umanità.
N O T E
1) “La pian. comprende dunque le parti pianegg. e piane dei bacini di Po, Adige, Brenta, Piave, Tagliamento, Isonzo e dei bacini adriatici dell’Appenn. sett., cioè le parti paianegg. e piane del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e del Friuli, dell’Emilia e della Romagna, e prende il nome dal Po che, fra tutti e quello che essenzialm. contribuisce a formarla col fondo del suo bacino”. (Scuola Militare, 1896 – 97, Testo appartenuto al cadetto Celso Annibale Mijno che raccoglie gli Appunti delle lezioni di Geografia per gli allievi del primo anno del corso speciale, in Modena coi tipi della società tipografica antica tipografia Soliani, 1896, p. 149).
2) Piero Dagradi – Carlo Cencini, Compendio di Geografia Umana, Patron Editore, Bologna, 2003, p.14.
3) Mario Ortolani, Geografia della popolazione, Piccin Nuova Libraria, Padova,1985, pp. 2, 3, 4, 9.
4) Mario Ortolani, Geografia delle sedi, Piccin Nuova Libraria, Padova,1984, p. 143.
5) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p.15.
6) Marco Aime, Cultura, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, p. 11.
7) Dionisia Russo Krauss, Lingue e spazi, Elementi per l’analisi geografica dell’espressione linguistica, Aracne editrice, Roma, 2011, p. 29.
8) Clifford T. Smith, Geografia storica dell’Europa. Dalla Preistoria al XIX secolo, Laterza, Roma – Bari, 1986.
9)Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit.,
10) Clifford T. Smith, op.cit., pp. 147, 148.
11) Mario Mijno, Toponomastica della Padania – Prima parte: le etnie in campo, Dall’età del Ferro all’alto medioevo, tra popoli autoctoni e invasioni in “Etnie”
12) Clifford T. Smith, op. cit., p. 154.
13) Giuseppe Barbieri, Lucio Gambi, (a cura di), La casa rurale in Italia,Olschki Editore, Firenze, MCMLXX., p. 221.
14) Guido Barbina, La Geografia umana nel mondo contemporaneo, Carocci editore, Roma, 2000, p. 150.
15) Luigi Luca Cavalli- Sforza, Geni, Popoli e Lingue, Adelphi Edizioni, Milano, 2001, p. 251
16) Dionisia Russo Krauss, op. cit., p. 29.
17) E. Camera, R. Fabietti, Elementi di storia antica, volume secondo con documenti, Roma, Bologna, Zanichelli, 1979, pp. 21, 22.
18) Mario Ortolani, op.cit., p. 91.
19) Riccardo Querciagrossa, L’evoluzione della regione del Delta del Po dalla Preistoria ai giorni nostri, II. L’Età romana.
20) Clifford T. Smith, op.cit., p. 147.
21) R. Lazzeroni (a cura di), Linguistica storica, La Nuova Italia scientifica, 1987, pp.164, 165, 166.
22) Clifford.T. Smith, op.cit., pp.148, 149.
23) “I toponimi hanno un interesse durevole: storico, geografico, linguistico e soprattutto umano. Possono svelarci come vivevano i nostri antenati e in quale modo concepivano la vita. I toponimi possono essere pittoreschi, perfino poetici; o possono essere pedestri o perfino triviali”. (Simeon Potter, Our Language, Penguin Books , London, 1966, p.151).
24) Mario Mijno, Toponomastica della Padania – Prima parte: le etnie in campo, Dall’età del Ferro all’alto medioevo, tra popoli autoctoni e invasioni in “Etnie”
25) 25 Ibidem.
26) Adolfo Zavaroni, Antiche iscrizioni liguri nella Tana delle Fate presso il lago Pratignano (Appennino modenese), edizione ridotta, p.1.
[27) Mario Mijno, op.cit.
28) Piero Dagradi, Carlo Cencini, op. cit., p. 220
29) Cfr. p. 7.
30) Gerhard Rohlfs, Studi e ricerche su lingue e dialetti d’Italia, introduzione di Franco Fanciullo, Sansone editore, Firenze, 1990, p. 39
31) Ibidem, p. 39.
32) Ibidem, p. 49.
33) Francesco Perono Cacciafoco, Pre-Indo-European Relics: The *borm-Root in the European pre-Latin Context, in Acta Linguistica: Journal for Theorethical Linguistics, vol. 9, n 2, 2015, pp.57- 69
34) Gerhard Rohlfs, op.cit., p. 66
35) Francesco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, il Mulino, Bologna, 1997.
36) Savj-Lopez, Prof. P.E. Guarnerio (a cura di), Le origini neolatine,Editore Ulrico Hoepli, Milano, Ristampa anastatica, 1948, p. 50.
37) Alessandra Aspes (a cura di), Il Veneto nell’antichità: preistoria e protostoria, Verona, Banca popolare di Verona, 1984. ISBN non esistente.
38) Francesco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, il Mulino, Bologna, 1997.
39) Ibidem p.64
[40) Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini, Vincenzo Tinè, Francesca Veronese (a cura di) Venetkens. Viaggio nella terra dei veneti antichi, Marsilio, 2013, p. 79
41) Giovan Battista Pellegrini, Origini. Veneti, Venezia, Venezie: Dai Veneti ai Venetici, Storia di Venezia (1992), in Treccani
42) Ibidem
43) Ibidem
44) Paolo Campidori, Mugello, Romagna, Toscana e Valdisieve, Toccafondi Editore, Borgo San Lorenzo, 2006, Massimo Pittau, Dizionario della lingua etrusca, Libreria editrice Dessì, Sassari, 2005.
45) Giorgio Giordano, Origine degli Etruschi, il mistero rimane, in “Il Secolo XIX.” 20/10/2017.
46) Arnaldo D’Aversa, La valle padana tra Etruschi, Celti e Romani, Paideia Editrice, Brescia, 1986, pp. 21, 26, 32, 34.
47) Ibidem, p.22.
48) A. Camera, R. Fabietti, op.cit., pp. 21, 22.
49) Ibidem, p. 22
50) Arnaldo D’Aversa, op.cit., p. 22.
51) Ibidem, p. 35.
52) Ibidem, p. 28.
53) Ibidem, p. 31.
54) Ibidem, p. 32.
55) Ibidem, p. 33.
56) Appunti tratti da una visita alla mostra: “Etruschi, viaggio nelle terre dei Rasna” al museo civico archeologico di Bologna dal 07.12.2019 al 24.05.2020.
57) “Anche nel V secolo a.C. avvenne una massiccia irruzione celtica nella valle del Po dell’Italia settentrionale. Questa era prima un’area scarsamente popolata e questi Galli cisalpini erano una forza potente”. (Grover S. Krantz, Geographical Development of European Languages, Peter Lang, New York, Bern, Frankfurt am Main, Paris, p. 119.
58) Thomas William Rolleston, i miti celtici, II ed., Longanesi & C., Milano, 1995, p.12
59) Venceslas Kruta – Valerio Massimo Manfredi, I Celti in Italia, Mondadori, Milano, 1999, p. 69.
60) Ibidem, p. 69, 70.
61) Ibidem, p. 69, 70.
62) Gerhard Rohlfs, op.cit., p. 38.
63) Ibidem, p. 38.
64) Gualtiero Ciola, Noi, Celti e Longobardi, Edizioni Helvezia, Venezia, 1987, p. 47.
65) Ibidem, p. 47.
66) P. H. Reaney, The Origin of The English Place Names, Routledge and Kegan Paul, London Henley and Boston, 1960, p. 72.
67) Gehrard Rohlfs, op.cit., p. 51.
68) Ibidem, p. 51
69) Ibidem, p. 51
70) Ibidem, p. 51
71) Gualtiero Ciola, op.cit., p. 190.
72) Sergio Salvi, L’Italia non esiste, Camunia, Firenze, 1996, pp. 42, 43, 44.
73) Riccardo Querciagrossa, L’evoluzione della regione del Delta del Po dalla preistoria ai giorni nostri, II. L’Età romana.
74) Enciclopedia Universale Treccani
75) Marco Belpoliti, La Pianura, Einaudi Editore, Torino, 2021, p. 14
76) Savj-Lopez, P.E. Guarnerio (a cura di), op.cit., p. 64.
77) Ibidem, p. 64.
78) Riccardo Querciagrossa, op.cit.
79) Mario Mijno, Toponomastica della Padania – Terza parte:substrati, lingue e dialetti in “Etnie”
80) Sergio Salvi, La lingua padana e i suoi dialetti, La libera compagnia padana, 1999, pp. 60,61.
81) Marco Belpoliti, op.cit., p.13.
82) Savj -Lopez, P.E. Guarnerio (a cura di), op.cit., p. 64
83) Riccardo Querciagrossa, op.cit.
84) Cfr. p. 25.
85) Gilberto Oneto, L’invenzione della Padania, La rinascita della comunità più antica d’Europa, Foedus Editore, Bergamo, 1997, p. 56
86) Cfr. p. 28.
87) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p.285.
88) Ibidem, p. 285, 286.
89) Cfr. p. 10
90) Cfr. p. 26
91) Cfr. p. 27.
92) Giovanni Brizzi, Andare per le vie militari romane, Il Mulino, Bologna, 2020, p. 93.
93) Ibidem, p. 99
94) Ibidem, p. 99, 100.
95) Curiosità dall’Italia e dal mondo per le infrastrutture. Come erano fatte le strade romane e cosa ci insegnano. in “We Build Value” Digital Magazine.
96) Marco Mansuelli, I Cisalpini, (III sec. a. C – III sec. d. C), Sansoni, Firenze, 1962, p. 145.
97) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p. 207.
98) Villa romana di Valdonega, Verona .In “ArcheoVeneto”, il portale per conoscere l’archeologia del Veneto.
99) You Tube, La villa romana tardo antica di Palazzo Pignano (Cr) in “Archaeoreporter.”
100) Clifford.T. Smith, op.cit., p. 120, 122
101) Ibidem, p.123.
102) Villa romana di Russi in sito del Ministero della Cultura
103) Clifford T. Smith, op.cit., p. 123, 125
104) Cfr. p. 32
105) Cfr. p. 36
106) Gilberto Oneto, op.cit., pp. 57 – 84.
107) Vittoria Dolcetti Corazza, Introduzione alla filologia germanica, seconda edizione riveduta, Giappichelli Editore, Torino, 1987, p. 23.
108) Ibidem, p. 32.
109) Gina Fasoli – Paolo Prodi, Guida allo studio della storia medievale e moderna,Patron Editore, Bologna, 1983, p. 113.
110) Pierluigi Lanfranchi, I barbari, da invasori a padri d’Europa (Atlanti del sapere), , Giunti Editore, Firenze – Milano 2004, p. 92.
111) Ad ogni luogo il suo nome: la trasformazione del territorio attraverso i toponimi locali. Progetto ITAS G. RAINERI, Piacenza, a.s. 2010 – 2011 CLASSE III C p. 8
112) Gerhard Rohlfs, op. cit., p.57.
113) Vittoria Dolcetti Corazza, op. cit., p. 68.
114) Nicoletta Francovich Onesti, Goti e Vandali. Dieci saggi di lingua e cultura altomedievale. Latino e Gotico nell’Italia del VI secolo. Artemide Editore, Collana Proteo, 2013, p. 186.
115) G.B. Pellegrini, Toponomastica italiana, 10.000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni contrade, fiumi, monti, spiegati nella loro origine e storia, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1990, pp. 266, 267, 268.
116) Vittoria Dolcetti Corazza, op.cit., p. 68.
117) Ibidem, p. 69.
118) Konrad Huber, I toponimi in -engo dell’Alta Italia, p.104.
119) Ibidem, p. 69.
120) Pierluigi Lanfranchi, op.cit., p. 92.
121) Progetto ITAS G. RAINERI, CLASSE III C, op.cit., p. 7.
122) Ibidem, p. 8.
123) Giovan Battista Pellegrini, op.cit., pp. 272, 273.
124) Pino Mollica, Note di toponomastica sugli insediamenti longobardi, p. 1.
125) Gerhard Rohlfs, op.cit., p. 41.
126) Konrad Huber, op. cit., pp. 102, 103.
127) Jakob Jud, Die Verteilung der Ortsnamen auf engo in Oberitalien, 1937.
128) Corrado Grassi, Strategia e analisi regionale in toponomastica. Archivio Glottologico 50 (1965).
129) C.Mastrelli, La toponomastica lombarda di origine longobarda. In: I Longobardi e la Lombardia, 1978.
130) Guido Barbina, La Geografia umana nel mondo contemporaneo, Carocci Editore, Roma, 2000, p. 154.
131) Cfr. Introduzione, p.3.
132) Torino, Augusta Taurinorum, (Bavorelli) in Marco Mansuelli, op.cit., p. 364
133) Prof. Federica Caldi, Torino Barocca, in federicacaldi.altervista.org –
134) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., pp. 288 – 292.
135) Cfr. p. 27.
136) Fig. 75 – Le fasi dello sviluppo di Bologna in Piero Dagradi, Carlo Cencini, op.cit., p. 291.
137) Aldo Berselli (a cura di), Storia dell’Emilia Romagna, Imola (Bologna), Santerno Edizioni SAS di Gian Franco Fontana &C., 1984, p. 408.
138)Aldo Berselli (a cura di), op.cit., p. 535.
139) Alcuni altri liberi comuni della valle padana erano Milano, Asti, Verona, Parma e Brescia per citarne alcuni.
140) Gilberto Oneto, op.cit., p. 84.
141) Aldo Berselli (a cura di ), op.cit., p. 676.
142) Ibidem, p.535
143) Ibidem, p. 535.
144) Remo Caserani – Lidia De Federicis, Il materiale e l’immaginario, Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico, Volume terzo, La società urbana, Loescher Editore, Torino, I edizione 1979, ristampe 1983, 1984, 1985, 1986, p. 31
145) Giovanni Brizzi, op.cit., p. 108.
146) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p. 286.
147) Le piante delle città di Bologna medievale, Milano, Parma e Piacenza in Cartografia, Marco Mansuelli, op.cit.
148) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p. 289, 290.
149) Ibidem, p. 289.
150) Fig. 72, in Piero Dagradi, Carlo Cencini, op.cit., p. 289.
151) Cfr. p. 10, 32.
152) I mercati e le fiere di Cuneo nel Medioevo in Piemonte medievale. Paesaggi Arte Storia.
153) Ibidem
154) Giovanni Cerutti, Appunti di storia dei mercati di Cuneo, p. 5.
155) Cfr. p. 47.
156) Guido Barbina, op.cit., p. 152.
157) “Nel villaggio la forma dell’insediamento privilegia il rapporto tra lavoratore-suolo agricolo e pascolivo, in modo da permettere al primo il migliore controllo del terreno coltivato, mentre nella città la struttura abitativa tende a privilegiare il rapporto uomo-uomo (commerciante-cliente; amministratore-amministrato ecc.) e di conseguenza la forma urbanistica della città, e naturalmente anche quella degli edifici, assumono aspetti del tutto differenti da quelli del villaggio.” Guido Barbina, op.cit., p. 154.
158) Cfr. Introduzione p. 4
159) Carlo Cencini – Francesco Corbetta, Popolazione, ambiente, territorio, seconda edizione, 1995, editore Cappelli, Bologna, p. 183.
160) C.T. Smith, op.cit., p. 125.
161) Carlo Cencini, Francesco Corbetta, op.cit., p. 183
162) “La Padusa si estendeva all’incirca dalla zona dell’attuale cittadina di Bondeno, fino a lambire Ravenna e Cervia, allora chiamata Ficocle, dove già in epoca etrusca la laguna era stata adibita al redditizio e fondamentale ruolo di salina. I Romani, pur consapevoli delle difficoltà di colonizzare le zone interne della Padusa e del Delta del Padus, (nome latino del Po, detto anche Eridanus), furono spinti a portare avanti una monumentale opera di canalizzazione, bonifica e costruzione di strade e città.” Riccardo Querciagrossa, op.cit.
163) Paolo Cortesi, Il boscone della Mesola, Minerva Soluzioni Editoriali S.r.l., Argelato (Bo), 2005.
164) Carlo Cencini, Francesco Corbetta, op.cit., p. 185.
165) Piero Dagradi – Carlo Cencini, op.cit., p. 212.
166) Giacomo Corna-Pellegrini, “La casa rurale della Pianura padana si integra alla città”, in Scripta Nova, Revista electrónica de Geografía Y Ciencias sociales, Vol. VII, num. 146 (048), 1 de agosto de 2003.
167) Cfr. pp. 36, 37.
168) Appunti tratti da una visita alla Istituzione Villa Smeraldi, Museo della civiltà contadina, San Marino di Bentivoglio (Bologna), 12.06.2024.
169) Marco Belpoliti, op.cit., p. 98.
170) “Cos’è la cultura? È l’elemento terra animato da un’esperienza”, Michele Giovagnoli, alchimista e scrittore.
[1] 171 Giacomo Corna-Pellegrini, op.cit.