Nel 1508 attraverso la Lega di Cambrai l’intera Europa, eccezion fatta per l’Inghilterra, si coalizzò contro la Serenissima.
Il 14 maggio 1509 ad Agnadello (Cremona) ci fu la prima epica battaglia, che si concluse con una tragica disfatta per l’esercito veneziano. Da una parte l’esercito del re francese Luigi XII, nel quale spiccavano personaggi come Charles II d’Amboise, governatore di Milano; Jacques de la Palice, maresciallo di Francia, più famoso per l’aggettivo “lapalissiano”; il cavaliere senza macchia e senza paura Pierre Terrail de Bayard; e diversi “italiani”: Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo di Francia; Gian Nicolò Trivulzio, conte di Musocco, il quale dopo la battaglia ricevette il feudo di San Giovanni in Croce nel cremonese; Michele Antonio del Vasto, marchese di Saluzzo; Teodoro Trivulzio, maresciallo di Francia, governatore di Genova e di Lione; Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, che poi ritroveremo nella battaglia di Polesella; Galeazzo Sanseverino, marchese di Bobbio; Achille Torelli, conte di Guastalla; Mercurio Bua, conte di Acquino e Roccasecca; Galeazzo I Pallavicino, figlio del marchese di Busseto.
L’esercito del “padre del popolo” francese era composto da circa 25.000 effettivi tra i quali 2300 cavalieri pesanti, circa 4000 cavalleggeri e circa 20.000 fanti di varie nazionalità (svizzera, francese e italiana).
Dalla parte opposta, l’esercito della Serenissima guidato – al grido di “Marco, Marco” – da Nicolò Orsini conte di Pitigliano con il titolo di capitano generale, e da Bartolomeo d’Alviano con il titolo di governatore generale. Li affiancavano Pietro del Monte, Dionigi Naldi da Brisighella, Lucio Malvezzi, Pandolfo Malatesta, Antonio dei Pio da Carpi, Gian Francesco Gambara, Lattanzio da Bergamo e Citolo da Perugia.
Come provveditori generali troviamo Giorgio Corner, che si era particolarmente distinto in Friuli, e Andrea Gritti, che ritroveremo poi come eroico difensore di Padova e successivamente doge dal 1523 al 1538,
Sulla carta l’esercito veneto poteva contare anch’esso su circa 25.000 effettivi dei quali 1500 cavalieri pesanti, circa 1500 schiavoni, 300 stradioti e circa 20.000 fanti, tra i quali spiccavano i romagnoli “brisighelli”, diverse compagnie di ventura (tra i comandanti ricordiamo Citolo da Perugia, Giacomo Secco da Caravaggio e Giovan Francesco Gambara), nonché centinaia e centinaia di uomini organizzati nelle “cernide”, non tutti sufficientemente armati e addestrati (vanno ricordati i circa 1000 vicentini guidati da Giacomo da Ravenna).
I due condottieri della Serenissima erano profondamente diversi tra di loro: tanto prudente era l’Orsini, con un atteggiamento attendista, disposto a subire le provocazioni e le devastazioni dei francesi, trincerato com’era nel campo di Orzinuovi (BS), che reputava “vincere il non perdere”, quanto aggressivo, quasi temerario era invece Bartolomeo d’Alviano, che dalla sua aveva anche la recente vittoria in Cadore sulle truppe di Massimiliano.
Nei primi di maggio gli eserciti si vennero a trovare a pochi chilometri di distanza: quello francese era arrivato a Rivolta, saccheggiandola, quello veneto a Casirate.
Nelle prime ore del giorno 14 i francesi partirono per Pandino, importante nodo strategico sulla strada per Crema, ma trovarono già sul posto l’avanguardia veneziana che fu attaccata. Mentre l’Orsini ordinava il ripiegamento, l’Alviano prese i suoi uomini e attaccò il nemico, trovandosi però in una inferiorità numerica spaventosa di uomini e di mezzi, e nonostante la sua eroica resistenza fu ferito e catturato.
Il re Luigi XII, stupito dal valore dell’Alviano, ordinò che non fosse ammazzato e lo portò prigioniero in Francia, liberandolo dopo quattro anni quando si strinse un’alleanza tra Venezia e Parigi. Oltre all’Alviano, il re di Francia esaltò altri quattro veneziani che si batterono con grande eroismo: Baldassarre Scipione e Pietro Testa che erano stati fatti prigionieri, e Mariano Conti e il conte Pietro Martinengo che erano rimasti uccisi.
Luigi XII disse che “se i Viniziani avessero avuti duecento uomini simili, egli sarebbe stato loro prigione quel giorno”, come ricorda il Da Porto nelle sue Lettere storiche.
L’esercito della Serenissima fu praticamente distrutto; non si sa quanti soldati veneti persero la vita in battaglia o nei giorni seguenti, diverse fonti parlano di 4-5000 morti. L’esercito francese dilagò nella terraferma senza praticamente trovare resistenza, e per diversi giorni l’esercito della Serenissima fu allo sbando.
Il perfido Machiavelli annotò compiaciuto che la Serenissima in una giornata perse tutto quello che aveva conquistato in ottocento anni…
Tutto sembrava perduto per la Repubblica Veneta, l’esistenza stessa dello Stato Veneto venne messa in discussione; ma prima da Treviso e poi da Padova iniziò la riscossa la quale, nel nome di San Marco, si concluse con la riconquista di Verona nel 1517: la Serenissima, da sola, mantenne quasi inalterati i propri confini.
Un trionfo dovuto alla saldezza dello Stato, a una straordinaria diplomazia, alla capacità dei suoi condottieri, alla fede cristiana, ma soprattutto all’incrollabile attaccamento a San Marco del contadino veneto, pronto a farsi impiccare dichiarando che “era Marchesco e che Marchesco voleva morire, e non voleva vivere altrimenti”, per citare ancora il Machiavelli. Se ci fosse una colonna sonora di questa pagina leggendaria della nostra storia veneta, da essa salirebbero le grida di “Marco, Marco!” e “Viva San Marco!”
L’illustrazione del titolo è di Martina Tauro, tratta dal volume La Lega di Cambrai e la Serenissima di E. Beggiato.