Anche i militanti curdi in sciopero della fame a Strasburgo hanno aderito alla marcia parigina del 12 gennaio. Iniziativa con cui – nel sesto anniversario – si vuole ribadire che l’assassinio impunito delle tre femministe curde (Sakine Cansiz, Fidan Dogan, Leyla Soylemez) è un crimine di Stato, un’azione di terrorismo istituzionale perpetrato dal governo turco.
Come ha sottolineato un loro portavoce, Dilek Ocalan: “Il movimento di liberazione ha acquistato ulteriore forza dalla lotta delle donne curde come la compagna Sara”.
Nel loro comunicato, rivolgono un appello a tutti i curdi in Europa per sostenere questa lotta e a partecipare alla manifestazione di sabato a Parigi.
È ormai chiaro come il sole che il triplice assassinio avvenuto nella sede del CIK (Centro di informazione Kurdistan) in rue La Fayette (una vera e propria esecuzione extragiudiziale, da squadroni della morte) era stato pianificato dai servizi turchi, dal MIT. Ed è altrettanto evidente – come ha ribadito Dilek Ocalan – che l’atteggiamento dello Stato francese, quantomeno restio a far luce sul triplice omicidio, rischia di sconfinare in una sorta di “complicità nella politica genocida della Turchia”. Con questo massacro – ha continuato Dilek – “hanno voluto mettere alla prova la nostra volontà, il nostro impegno, hanno cercato di farci allontanare, dissociare dall’amore di Sakine e dalla costanza di Rojbin per la lotta, dalla speranza per il futuro di Leyla. Volevano annientare l’identità stessa del movimento di liberazione delle donne curde”.
Ma questo non è avvenuto. Il rigetto, l’indignazione per il massacro del 9 gennaio 2013 ha avuto eco mondiale e la lotta delle donne curde ne ha tratto ulteriore forza. In sostanza si può affermare che l’azione terroristica di rue Lafayette “si è rivelata un boomerang per il governo turco”.
Ricordando quanto era avvenuto tra il 2015 e il 2017 in Bakur (Kurdistan sottoposto all’occupazione turca) il portavoce ha voluto evidenziare quale sia la mentalità genocida dello Stato turco (definito senza eufemismi “fascista”):
Hanno raso al suolo le nostre città, bruciato i nostri giovani, mutilato i corpi delle donne combattenti, distrutto anche i cimiteri, bombardato i nostri guerriglieri con tonnellate di esplosivo, trasformato il paese in una immensa prigione e seminato i germi della paura nel cuore delle persone. E adesso credono di poter sopprimere anche le richieste più umane e democratiche del nostro popolo con la scorciatoia della repressione. Tuttavia, non ci riusciranno.
E questo perché nel nostro movimento ci sono compagne come Sakine Cansiz che hanno sputato in faccia ai macellai. Un movimento che si alimenta dello spirito di Hayri Durmus e di Kemal Pir (“Noi amiamo a tal punto la vita da essere disposti anche a morirne”). Un movimento di decine di migliaia di combattenti, donne e uomini, che hanno trasformato le montagne del Kurdistan in una fortezza della Resistenza…
Va riconosciuto un fatto storicamente incontestabile. La lotta di migliaia e migliaia di partigiani curdi ispirati dal pensiero di Abdullah Ocalan (il dirigente curdo segregato a Imrali) ha consentito la salvezza, anche fisica, del popolo curdo destinato altrimenti a essere annientato. Ed è significativo che l’idea del Confederalismo democratico abbia saputo affascinare – dando una prospettiva di fuoriuscita possibile, realistica dall’oppressine statale e capitalista – anche a molti arabi, armeni, siriaci, assiri, turcomanni. Non è solo una speranza, ma una convinzione: “Un giorno questa oppressione avrà fine, le autorità e i loro palazzi crolleranno. Coloro che si inchinano davanti alla tirannia, quelli che sono diventati ostaggi timorosi, finiranno nelle pagine dimenticate della Storia”.
Dai grévistes, è stata poi riaffermata la solidarietà con Leyla Guven e ribadita la volontà di non recedere. Di proseguire, costi quel che costi, nello sciopero fino al raggiungimento dei loro obiettivi (in primis la fine dell’isolamento per Ocalan).
Oltre a Leyla (la cui vita, al 65° giorno di sciopero nella prigione di Amed, è ormai a rischio) sono stati ricordati Nasir Yagiz a Hewler (Erbil) al 52° giorno, i 226 prigionieri politici al 27° giorno, Iman Shis a Galler (26° giorno) e ovviamente quelli di Strasburgo.