Truppe siriane a Minbej? Per la Turchia meglio di no.
Ankara non ci sta. Le milizie YPG avevano invitato l’esercito siriano a dispiegare i propri soldati nella città del nord della Siria, strappata agli integralisti nel 2016 e ancora sotto il controllo delle FDS (Forze democratiche siriane, alleanza arabo-curda in cui sono integrate le YPG). Qui, qualche giorno fa un’esplosione in un ristorante, opera di un attentatore solitario, aveva causato una ventina di vittime, tra cui alcuni militari americani. Rivendicato dallo Stato Islamico, si tratta dell’attacco più devastante condotto dal 2014 contro la componente statunitense della coalizione anti-ISIS in Siria.
“Nonostante il tentativo delle YPG, non consentiremo al regime siriano di entrare a Minbej”, ha dichiarato alla stampa Hami Aksoy, portavoce del ministero degli Affari Esteri turco.
Come è noto, la Turchia considera le YPG un “gruppo terrorista” in quanto legate al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), in armi contro Ankara dagli anni ottanta.
L’annunciato ritiro statunitense dalla Siria, pur con qualche successivo ripensamento, aveva determinato nei curdi – consapevoli di rischiare l’ennesima operazione di pulizia etnica da parte dell’esercito turco – la sofferta decisione di appellarsi al regime di Damasco.
Ma la Turchia, alleata e sponsor dei “ribelli” anti-Assad, non poteva certo vedere di buon occhio tale prospettiva. Nelle trattative avviate l’anno scorso, e poi interrotte, tra Ankara e Washington, Minbej doveva diventare teatro di una soluzione, un compromesso che prevedeva – dopo il ritiro curdo e la (improbabile) riconsegna delle armi agli USA – la presenza di pattuglie congiunte turco-statunitensi.
L’8 gennaio era previsto un incontro tra Erdogan e John Bolton. Ma allora il presidente turco, in aperta polemica con Trump, si era rifiutato di incontrare il consigliere alla sicurezza statunitense.
L’incontro, per quanto posticipato di una decina di giorni, è poi avvenuto il 18 gennaio. Forse una conseguenza della minacce di Trump di “devastare l’economia turca” se Ankara avesse approfittato della nuova situazione in Siria per attaccare i curdi.
Presenti, oltre a Erdogan, il senatore repubblicano Lindsey Graham, il ministro degli Affari Esteri Cavusoglu (che si era già incontrato con Graham il 6 gennaio), Ibrahim Kalin (portavoce di Erdogan) e Fahrettin Altun (direttore delle comunicazioni della presidenza).
Rilanciata nella riunione la proposta (risalente ancora al 2013 da parte di Ankara) di una “zona di sicurezza di 32 chilometri a protezione della frontiera meridionale turca”.
In febbraio Cavusoglu dovrebbe a sua volta recarsi a Washington per la prevista riunione della coalizione internazionale contro lo Stato Islamico.