Le canzoni demotiche della Grecia si suddividono in due grandi gruppi o filoni di ispirazione: da una parte, quelle che hanno per oggetto un sentimento, un impulso dell’anima, dall’altra quelle che raccontano un evento, una storia, un mito. Queste ultime sono le c.d. canzoni narrative che, a loro volta, si differenziano in canzoni akrìtike e in paralojès. Le canzoni akrìtike si riferiscono alle eroiche imprese, alla vita e alle avventure degli akrites, signori feudali i cui possedimenti erano situati ai confini orientali (principalmente) dell’impero bizantino, costituendo in tal modo il primo e più importante baluardo alle offensive delle popolazioni limitrofe, in prevalenza musulmane. Le paralojès invece si sostanziano nel racconto di fatti e vicende collegate con l’esistenza umana, fatti e vicende di solito, naturalmente, connessi con tragici destini.
Fra i due predetti tipi di canzone demotica le affinità sono tali, e le commistioni così frequenti e disorientanti, che problematico e poco convincente, oltre che deviante, risulta spesso il tentativo di una coerente differenziazione e definizione tematico-strutturale. Si dà il caso, infatti, che caratteri, testi e caratteristiche akrìtiki trovino ampio luogo di esistere nelle paralojès senza minimamente “stonare”, mentre un’impronta palesemente favoleggiante 1) è diffusa non infrequentemente nelle composizioni akrìtike. 2)
A quanto sembra da più parti accettato e confermato, il criterio più sicuro per meglio discernere una canzone akrìtika da una paralojì consiste nella corretta valutazione dell’elemento drammatico in esse insito: è evidente che tale elemento nelle paralojès viene espresso in forma del tutto superlativa, mentre nel canto akritiko il racconto assume bensì intensità, sempre però nelle redini di un controllo, si direbbe, razionale, a sangue freddo.
I temi delle paralojès sono ampiamente tratti da antiche memorie mitologiche, tragici fatti di cronaca, eventi che hanno scosso la pace sociale, rappresentazioni di remoti contenuti tradizionali,. addirittura invenzioni ed elaborazioni del tutto fantastiche. Comune componente di tutte le fattispecie è la “forma favolistica”, piuttosto l’atmosfera favolistica che pervade la narrazione arricchendola di un alone fascinoso di particolare seduzione.
Non si ritiene superfluo ricordare 3) l’osservazione di uno dei più acuti studiosi di letteratura greca: 4) le paralojès “somigliano al riassunto tecnico di una favola, spesso drammatica, scritta in versi”, il.che ci conduce alla definizione che per primo enunciò Claude Fauriel 5) e cioè chansons romanesques, ovvero canzoni romanzesche, quindi prettamente “immaginate”, inventate, precisazione che di sana pianta adottò più tardi anche A. Passow 6) nella sua raccolta di canzoni demotiche greche utilizzando il termine di πλαστό nel significato di “immaginario”, “inesistente nella realtà”, appunto “mitico”.
Quanto alla parola paralojì, παραλογή (plur. paralojès, παραλογές), la paternità appartiene al padre della laografia greca, Nikolaos Politis, il quale – adottando il termine paralojè, παραλογαί, plur. di παραλογή, paralojì (in katharèvussa, lingua dotta) utilizzato nello scorcio del XIX sec. ad Atene per indicare una varietà di espressioni della musa popolare aventi forme e carattere di piccolo epos – ne restrinse il significato per comprendere solo quello attribuito ai testi demotici presi in esame nell’ambito dello “stile narrativo”
La medesima definizione di paralojès, peraltro, rientra nella generale suddivisione che pratica il buon senso popolare, ossia in canzoni vere e proprie e canzoni narrative, 7) canzoni, queste ultime, che non si cantavano, ma solo venivano recitate, fors’anche declamate con particolare tono di voce lamentosa, sofferente. 
Anche a Cipro la canzone narrativa prende il nome di periloì (περιλοή), plur. periloès (περιλοές), sicuramente deformazione di paralojì.
Da un punto di vista relativo alla esecuzione (rappresentazione esterna) della paralojì, va detto che questa, almeno fino al 1912, veniva solo recitata: trattandosi di testi poetici di particolare lunghezza, una loro interpretazione canora poneva insormontabili problemi di luogo e di tempo, oltre che naturalmente di… pazienza degli ascoltatori.

paralojès canzone demotica greca

Le origini delle paralojès

Le origini delle paralojès non costituiscono che una parte del generale problema delle origini delle canzoni demotiche greche nel loro complesso.
A una domanda semplice e ovvia, alla quale si potrebbe anche immaginare sia facile che corrisponda una risposta altrettanto semplice e ovvia, fa invece riscontro una risposta assolutamente complicata, in ogni modo contenente elementi di incerta e congetturale valutazione, sì che a nessuna sinora definitiva e inconfutabile conclusione è stato possibile pervenire a tutto scapito di ogni indagine anche scientificamente condotta,
Si deve risalire a C. Fauriel, 8) nel 1824 (ma la perplessità di questi è certamente anteriore), quando nella sua Introduzione, per molti aspetti di straordinario interesse, egli si chiede se quella poesia moderna che riscontra nelle canzoni appena scoperte abbia la sua fonte nella poesia greca antica, in quella intermedia 9) oppure in una più recente tradizione di pochi lustri addietro, concludendo con la convinzione, per svariati punti di vista non molto lontana dalla realtà, che le moderne composizioni demotiche greche 10) rispecchiavano, sia pure in forme e contenuti alterati dagli inevitabili fattori del tempo, dei costumi e della società, una poesia popolare antica. Una deduzione, questa, basata sul confronto, per molti aspetti sorprendente, con quanto ci è pervenuto (poco, per la verità, ma abbastanza per l’amante demotico francese) della antica musa popolare, per cronologia successivamente spostata verso l’epoca bizantina medievale a opera di studiosi di fine XIX secolo.
Vi si riscontrano, nella terminologia generale della canzone demotica, delle parole la cui derivazione antica viene alla mente in modo del tutto immediato e spontaneo. Lo stesso dìcasi per un buon numero di paralojès i cui titoli in maniera più che evidente ricordano antiche tematiche e suggeriscono antiche correlazioni, con riferimento a episodi mitologici e perfino a reminiscenze del teatro classico tragico.
Così la paralojì della “madre assassina” non manca di importanti punti di contatto con il personaggio di Tieste e altri paralleli personaggi mitologici. La canzone “del fratello morto” tematicamente si avvicina sia al ritorno dagli inferi di Persefone a sua madre Demetra sia al ritorno di Adone dall’Ade ad Afrodite. Anche il “mito di Alceste” si riflette nella tematica del sacrificio della donna sposata per la salvezza del proprio consorte. Storie o personaggi mitologici e di cronaca antica si riscontrano nei soggetti di altre paralojès ancora.
Ma quale è l’origine del termine paralojì, un termine per lo meno inconsueto nella storia delle letteratura greca e nella storia della canzone demotica?
È di Stilpon Kiriakidis, laografo di profondissima cultura e scienza, uno dei “grandi” in materia, il più importante studio su tale argomento. 11) Lo studioso vi trae la conclusione – un’ipotesi di grande fascino e di non minore perspicacia storico-culturale – che detto termine altro non sia che la tmesi dell’antica parola parakatalojì (παρακαταλογή). 12) Ed era, quest’ultima, un termine del linguaggio teatrale per indicare la recita in forma melodrammatica di determinate parti di tragedie con accompagnamento musicale di uno strumento chiamato klepsìamvos (κλεψίαμβος). 13)
E a quanto pare 14) doveva trattarsi di una specie di “interludio”, inserito tra la katalojì (καταλογή), ovvero la recitazione pura e semplice di parti poetiche (si direbbero, forse, recitativi) e la vera e propria ωδή, il canto musicale che costituiva componente portante dell’opera rappresentata.
Tutto ciò conduce alla convinzione che la parola paralojì, così come più sopra delineata nella sua evoluzione letterale, si riferisse e conducesse al convenzionale linguaggio del teatro e quindi a una “natura” teatrale, allo stesso modo della parola τραγούδι (tragudi), canzone, direttamente discendente dal termine antico τραγωδία (tragodìa), tragedia, nuovamente quindi un àmbito e un rapporto teatrale. Infine, parallele ed equivalenti a paralojì, parakatalojì e katalojì sono le espressioni katalòjasma (καταλόγιασμα) e katalòji (καταλόγι) riferite a produzioni poetiche del genere dei miroloja (compianti) o dìstica (distici), esistenti non solo durante i tempi bizantini, ma altresì assai più addietro, in epoca antica nella accezione di “canzone”.
Da quanto precede, pertanto, molteplice risulta la relazione della parola paralojì con l’entroterra poetico-teatrale antico. Prova di simile asserzione, e conferma, non può che essere l’origine del verso decapentasillabo, verso demotico per eccellenza. La sua discendenza dall’antico tetrametro giambico catalettico costituiva in èra antica il verso principe nella commedia e quello con il più ampio riflesso orchestico.

Il pantomimo

Nel primo periodo dell’età imperiale romana ottiene notevole e costante successo la rappresentazione (in forma di recitazione scenica) di corali estrapolati dalle tragedie alle quali organicamente appartenevano, 15) una procedura, questa, il cui inizio quasi sistematico può essere fatto risalire al periodo ellenistico.
È evidente la portata di simile mutamento, sostanzialmente radicale, giacché in questo modo le antiche, classiche tragedie venivano “sventrate”, venivano utilizzate solo alcune loro parti, delle volte altresì opportunamente “ritoccate”, lasciando “inerte” tutta la rimanente, in pratica pesantemente mutilata e senza vita propria, col rischio di un definitivo scadimento nell’oblio dell’originaria stesura. Ovviamente, ognuna delle sezioni in cui veniva “spartita” la tragedia era presentata al pubblico da attori o musicisti all’uopo “specialisti”: chi interpretava i testi poetici dialogici e chi la linea musicale.
La nascita quindi di un nuovo modo di fare teatro corrisponde esattamente alla cessazione delle rappresentazioni integrali delle tragedie dopo l’irrimediabile perdita della loro coesione testuale.
Durante la medesima età imperiale romana si consolida un altro genere teatrale le cui origini tuttavia e una sua sommessa propagazione risalgono al V sec. a.C.: il pantomimo, sostanzialmente una tematica drammatica in forma orchestica, ovvero un complesso di movimenti, armoniosi o meno, delle mani, dei piedi e del corpo 16) eseguiti da un danzatore-attore 17) con l’accompagnamento musicale affidato a un coro o a un trageda, τραγωδός, nel senso di “esecutore di τραγούδι”, canto o canzone.
Il pantomimo può essere tragico o comico, a seconda dell’oggetto del suo intreccio, né più né meno di quanto era in vigore 5-6 secoli prima. Originario nelle regioni di influenza ellenica, il pantomimo si trapianterà felicemente a Roma, e comunque in Italia durante il periodo imperiale, trovandovi fertilissimo terreno di sviluppo e diventando lo spettacolo di maggior gradimento dei cives romani. Le soluzioni e le varianti, le invenzioni e i rifinimenti, le tematiche e i caratteri umani, soprattutto nelle tragiche rappresentazioni orchestiche poi confluite e arricchite nella pratica pantomimica, codificati nel predetto periodo, percorrendo il cammino inverso passano e si consolidano nel territorio e nella tradizione greci in epoca bizantina dando luogo alle caratteristiche invenzioni poetiche delle paralojès. 18)
Il teatro del pantomimo non si riduce certamente all’attore pantomimo, ma prevede tutto un complesso di “collaboratori” la cui opera si aggiunge e completa organicamente la produzione base pantomimica. Così troviamo orchesti (danzatori e danzatrici), musicisti, citaredi, tragedi, coreuti e perfino i c.d. omeristi, rapsodi che declamano poesie epiche, inizialmente autonomi “giramondo” e poi “incorporati” nella prassi teatrale quando questa divenne per molto tempo spettacolo di moda che era quasi obbligatorio non perdere.
Un teatro quindi di tale diffusione e gradimento da divenire non solo nel centro dell’impero romano, ma addirittura nelle più remote periferie assoluta parte integrante nella vita culturale delle masse popolari.
Ricapitolando, quindi, erano tre le forme di intrattenimento artistico offerte al pubblico: le tragedie orchestiche, i pantomimi e i racconti epici degli omeristi. In particolare le prime traggono ed elaborano i loro canovacci, come s’è detto, da situazioni mitologiche dell’antico teatro greco, in forme, bisogna dire, notevolmente modificate e “rivedute” rispetto ai modelli originali. Sono le c.d. fabulae salticae, aventi un carattere piuttosto ibrido, epico-lirico, è stato detto, in quanto non erano né narrazioni epiche, né dialoghi drammatici veri e propri. Modesta ne era la qualità nella loro maggior parte, gli artisti essendo poeti più che mediocri, 19) la cui attività di autori era prevalentemente legata a esigenze del vivere quotidiano.
Nel contempo si osserva la precisa trasformazione del termine τραγωδία, tragedia (e il suo significato) nel termine τραγούδι, canzone (e nel suo significato). È un processo praticamente irreversibile che dipende dalla pure irreversibile trasformazione delle antiche opere tragiche. Queste non vengono più rappresentate nella loro forma integrale. Sono letteralmente “scardinate” e solo le parti cantabili vengono utilizzate, costituendo autonomi temi, per lo più trasformati nella trama in modo da convenire ai postulati del teatro dell’epoca e alle aspettative dell’allora pubblico, in tal modo assumendo la forma della canzone (τραγούδι, appunto) che poteva facilmente andare sulla bocca di tutti in tutte le latitudini dell’impero.

Tragedia orchestica e pantomimo in epoca bizantina

Verso la metà del 400 d.C. la popolarità e la “moda” della tragedia orchestica prende a diminuire, con molta probabilità perché, continuando a mantenersi collegata con le istanze culturali dell’antica religione dodecateistica, viene a trovarsi coinvolta nella vasta rete di critiche, polemiche, accuse, calunnie e ostilità messa in atto dal clero cristiano e dai letterati suoi sostenitori.
Peraltro, la caduta sotto il dominio arabo-persiano di molte regioni ellenistiche ai confini dell’impero contribuisce notevolmente alla limitazione della “superficie di influenza” della tragedia orchestica col suo carattere e linguaggio prettamente greci, e inoltre rivolta a un pubblico più colto, più raro e quindi più facilmente “superabile” in quanto “voce in capitolo”.
Al contrario, il pantomimo e le commedie orchestiche acquisiscono sempre maggior vigore e favore popolare, trovandosi sulla linea dell’attualità che variamente, ma sempre incisivamente, interpretano e rendono di facile consumo presso tutti gli strati sociali, e in particolare quelli inferiori. D’altronde, com’è noto, la comicità e la facezia sia verbalmente esposte sia gestualmente rappresentate posseggono ben altra forza di persuasione e penetrazione nell’animo e, in proiezione, nel subconscio dell’essere umano rispetto alla austerità e solennità, sia pure ammantate di elevato valore estetico, di recite dove primeggia l’elemento drammatico, per non dire talora lugubre e tragico.
Per quanto strano e paradossale quindi possa apparire, la collera dei cristiani anziché colpire sopra tutto il pantomimo e gli spettacoli orchestici comici, che con infrenabile verve ridicolizza e schernisce tutto quello che nel culto cristiano si riferisce al sacro e al dogmatico, si rivolge piuttosto alla tragedia orchestica, la sfianca a furia di critica e censura e la conduce all’appassimento, come se per quell’establishement cristiano fossero più pericolosi i riferimenti agli antichi miti greci che non gli sconvenevoli, volgari sberleffi e dileggi delle commedie orchestiche di attualità. Ed è incredibile come gli anatemi e le scomuniche della chiesa più che danneggiare (almeno all’inizio) le plebee e frivole commedie e pantomini, abbiano più specialmente recato grave pregiudizio alle compassate e sostenute tragedie sia pure nella loro “diluita” forma orchestica. 20)
In tal modo, il pantomimo continua, malgrado tutto, una “carriera” senza intoppi fino al X secolo d.C., sempre nel pregiudiziale consenso delle autorità imperiali, lasciando addirittura ampia memoria di autori ed esecutori orchestici circondati da buona fama. 21) Ciò che, infine, appare degno di rilievo è il completo disinteresse di tali autorità per i modi e i mezzi con cui si svolgevano le rappresentazioni spesso sacrileghe dei pantomini e delle commedie orchestiche, mai comunque vietati, né tantomeno posti sotto controllo.
Per ritornare, però, doverosamente alle paralojès di cui è qui luogo di discutere, anche in Grecia accade, nella considerazione che trattasi più o meno di generi affini di poesia popolare, che venga utilizzato alternativamente il termine di ballate, composizioni parimenti narrative, in Europa occidentale proprie non solo della letteratura demotica, ma altresì della produzione di poeti “dotti” o “laureati” soprattutto nei secoli XIII e XV.
A nostro parere un accostamento paralojìballata è in linea generale improponibile, giacché la prima non è canzone da ballo, mentre la seconda lo è; inoltre, la prima tratta argomenti per lo più di esito drammatico, spesso tragico, mentre la seconda predilige temi socialmente (più) anodini e, dal punto di vista umano, di conseguenza assai meno impegnativi; infine, strutturalmente la prima è resa da una uniforme successione di versi, in prevalenza decapentasillabi o talora ottonari o dodecasillabi, mentre la seconda caratterizza una maggiore varietà e variabilità ritmica e strofica, oltre che l’esistenza di un ritornello.
A parte queste importanti ragioni di differenziazione di contenuto e di struttura che attribuiscono alle paralojès una fisionomia del tutto particolare, più apparentata con analoghe espressioni nei Paesi balcanici piuttosto che con le ballate dell’Europa occidentale, si sa che l’entroterra delle paralojès è molto più profondo, attraversando i canti degli antichi drammi orchestici dei primi secoli d.C. e oltre ancora un entroterra di più remota profondità temporale le cui radici s’immergono spesso nella tradizione della tragedia del V sec. a.C.
E sono quindi quei canti che la trasmissione orale tramanda nel corso delle generazioni conformandoli alle situazioni e condizioni sociali, storiche e consuetudinarie dei luoghi di diffusione (regionale/nazionale) in un stimolante processo osmotico con le autoctone creazioni poetiche popolari. In questo modo le paralojès entrano a far parte integrante del grande filone di canzone demotica.
Ovviamente, e in particolare per le paralojès, una datazione sulla loro “nascita” è improponibile, anche se è palese che le stesse non appartengono a un medesimo, unitario periodo, ma risultano composte in diverse epoche non molto vicine tra di loro, ciò che si riflette anche nella tematica trattata. 22)
Peraltro non poche paralojès propongono concreti elementi di confronto con le canzoni akrìtike, sia per quanto concerne lo stile sia in relazione all’oggetto. Il che condurrebbe alla conclusione secondo la quale non sarebbe da escludere che la composizione delle più vecchie paralojès possa essere coeva con le prime composizioni akrìtike nello scorcio del IX sec. d.C., trattandosi entrambe di produzioni di un certo tipo di poesia “naturalmente” narrativa e rispecchiante quasi un congenere eroico modo di vivere e morire nella tragicità di un destino impossibile da evitare.
D’altra parte, come per le canzoni akrìtike, la cui creazione appartiene a un particolare, unico genere di poeti intimamente inseriti nell’atmosfera eroica dei liminari difensori dell’impero bizantino – poeti mai più “riprodottisi” nelle successive vicende della storia ellenica – parimenti la formazione delle paralojès presuppone l’esistenza e attività di una specifica categoria di autori i quali nelle stesse paralojès ed entro quei dati limiti di tempo esauriscono le proprie narrazioni e il medesimo genere letterario cui esse appartengono.
Quanto al territorio dove, in special modo, fioriscono queste paralojès, è da tutti ammesso che si tratta delle regioni interne dell’Asia Minore, forse anche quelle dell’Anatolia, verso i confini orientali con le nazioni arabe (di allora e di adesso).
Si è detto che le paralojès fanno parte del genere narrativo di canzone demotica, al pari delle canzoni akrìtike, con la differenza che, mentre queste ultime sviluppano andamenti prossimi all’ampio discorso epico, le prime svolgono una tessitura drammaticamente frammentaria e frammentata, sull’onda di ritmi rapidi e fortemente cadenzati in forme dialogiche incalzanti, specie nei punti di maggior impatto sentimentale o/e emotivo.
Fondamentale quindi appare il dialogo, nel suo aspetto più drammatico, nell’economia poetica e tecnica delle paralojès, un dialogo che si articola non solo tra due persone (personaggi che qualificano la paralojì), ma anche, nel caso di un unico attore agente, tra una persona e un animale (di solito un uccello) e ancora tra interlocutori del tutto convenzionali, nella irrinunciabile esigenza di costruire una vera e propria  sequenza dialogante.
Non sarà ozioso elencare qui di seguito le più importanti e famose paralojès:

  • Del fratello morto (Του νεκρού αδερφού), forse il canto più forte della poesia popolare greca
  • Del ponte di Arta (Του γεφυριού της Άρτας)
  • Il ritorno del marito emigrato (Ο γυρισμός του ξενιτεμένου συζύγου)
  • Della madre assassina (Της μάνας φόνισσας)
  • Di Mavrianòs e di sua sorella (Του Μαυριανού και της αδερφής του)
  • Della donna ripudiata  (Της απαρνημένης)
  • Il vampiro (Ο βρικόλακας)

 

 
N O T E

1) Nel senso di “favola”, “mito”, al di là della realtà.
2) cfr. D. Petròpulos, Canzoni demotiche greche, vol. I, Atene 1958.
3) La canzone demotica – Paralojès, a cura di J. Joannu, Atene 1970, 19832, pag. 8.
4) K.Th. Dimaràs, Storia della letteratura neoellenica, Atene 1948, 20009.
5) C. Fauriel, Chants populaires de la Grèce moderne, vol. II, Paris 1825.
6) A.Passow, Popularia Carmina Graeciae recentioris, Lipsiae 1860.
7) v. S. Kiriakidis, Laografia Greca, Atene 1965.
8) C. Fauriel, Chants populaires de la Grèce moderne, Paris 1924-1925.
9) Fauriel la definisce “vecchia”, contrapposta ad “antica”, con molta probabilità intendendo un periodo di costante civiltà letteraria, forse tra epoca ellenistica e X-XI sec. d.C.
10) Certamente non tutti i generi, cosa in pratica impossibile storicamente a realizzarsi, ma senza alcun dubbio sì, per alcuni determinati tipi.
11) S. Kiriakidis,vLa canzone demotica, Atene 1990. pag. 5.
12) J. Joannu, nella sua op. cit. menziona, a sostegno e per analogia, un’altra parola: αμφιφορεύς, che per tmesi diventa αμφορεύς (anfora).
13) Strumento musicale  di nove corde, utilizzato, come rivela il suo nome, per tramutare, trasformare i giambi.
14) v. anche D. Petròpulos, op. cit. pag. 25.
15) Ma già in epoca classica la “frammentazione” di opere tragiche aveva aperto la strada alla totale trasformazione dello spettacolo teatrale che seguì poi nei decenni successivi.
16) Si ritiene che le attuali, contemporanee forme di danza, lontane dalle figurazioni della scuola classica, corrispondano assai all’ordinamento gestuale pantomimico del I-II sec. d.C.
17) In latino chiamato gesticulator, attraverso i cui gesti, movimenti, mosse, scatti, salti, ecc. si cercava di rappresentare o simboleggiare i contenuti delle trame messe in scena.
18) cfr. S. Kiriakidis, Laografia Greca, Atene 1922.
19) Sono stati definiti “librettisti dell’epoca” (La canzone demotica. Paralojès, a cura di J. Joannu, pag. 15).
20) San Giovanni Crisòstomo è uno dei più accaniti accusatori.
21) Particolari luoghi di azione degli spettacoli orchestico-pantomimici erano le feste nuziali,  avvenimenti insiti nella natura umana e perciò comunque irrinunciabili e sempre “di moda”. Ed è appunto nelle feste nuziali che vengono assimilate e ricomposte le tematiche delle antiche tragedie sì che queste,  attraverso il filtro dei canti orchestici come elaborati nei secoli successivi, si riversano nella tipologia delle canzoni nuziali, da una parte, e delle paralojès, dall’altra, nel ricettivo àmbito del popolo della campagna (v. S. Kiriakidis, Storia della poesia demotica, Grande Enciclopedia Greca, vol. Grecia).
22) D. Petropulos, Canzoni demotiche greche, Atene 1958.