Lo schema è questo: un immigrato sbarca in Italia, anche perché sbarcare in Germania dall’Africa pare piuttosto dura; questo immigrato è però interessato ad andare in Germania, perciò formula una regolare domanda alle autorità tedesche mentre l’Italia è definito paese “di primo arrivo”; l’immigrato dunque va in Germania, ma i tedeschi dopo un po’ decidono che è meglio perderlo che trovarlo: allora organizzano dei voli charter per riportare in Italia lui e altri 49 immigrati per un totale di 50 ogni mese.
In pratica ci prendiamo i rifiuti umani della Germania (quelli non umani invece li esportiamo) e la cosa è contemplata dal famigerato trattato di Dublino, che prevede questo: il Paese di primo arrivo (che assai spesso è l’Italia per motivi geografici, e quasi mai, per la stessa ragione, è la Germania) è responsabile della procedura per cui l’immigrato fa richiesta di protezione internazionale e infine di immigrazione nel paese da lui scelto, ma, se questo paese poi lo scarta, l’immigrato deve fare ritorno nel paese di primo arrivo e sono cavoli del primo paese, che ovviamente si affaccia sul Mediterraneo.
Incubo Dublino
E tutto questo, sulla carta, lo sapevamo. Sapevamo, pure, che il precedente governo si era ribellato a questo automatismo e aveva impedito che la Germania perlomeno organizzasse questi sfacciati voli charter. Quello che non sapevamo è che ora, col nuovo governo cosiddetto giallorosso, i voli charter si preparano a ricominciare a pacchi di 50 immigrati alla volta: questo ogni volta che Berlino respinge questi “dublinanti” – li chiamano così.
A raccontare questa storia è il quotidiano tedesco Die Welt, che cita fonti del ministero dell’interno del suo Paese. Secondo il giornale, l’attuale governo ha calato le braghe e ha accettato il piano che il precedente governo aveva respinto, prevedendo un organico e spedito ritorno in Italia dei “dublinanti” presenti in Germania e a questa sgraditi. Non è che prima i tedeschi non ci rimandassero buona parte degli immigrati passati prima da noi: ma l’azione era perlomeno rallentata da un mancato accordo che l’attuale governo sembra invece aver avallato, anche perché in precedenza a rifiutare lo schema era stato il Viminale guidato dal “cattivo” Matteo Salvini. Die Welt lo scrive espressamente: l’obiettivo del governo gialloverde era mettere fine ai voli dalla Germania (che frattanto ha continuato a rimandare indietro qualche migrante, utilizzando voli commerciali e andando in contro alle classiche scenate di chi non vuol partire) mentre con l’attuale governo andrà tutto a posto grazie a un paio di charter al mese appositamente dedicati.
Il giornale tedesco ha anche interpellato il suo ministero dell’Interno, il quale ha fatto la classica “non smentita” suonata come una conferma: “Il governo è in costante contatto con i partner europei per migliorare bilateralmente la capacità di trasferire i migranti nei rispettivi Stati membri, ai sensi del regolamento di Dublino. Nel 2019 non sono stati effettuati voli tra Italia e Germania”. Come a dire che c’è da riprenderli.
Non smentita
Il ministero tedesco però non dice che, anche senza voli charter, nel solo 2018 (ultimi dati disponibili) hanno spedito in Italia 2850 immigrati: e, con un piano di voli organico, il loro numero potrà solo aumentare. Anche perché, nella prima metà del 2019, la Germania ha presentato all’Italia 8.146 richieste di trasferimento di migranti respinti, ma di fatto quelli ricollocati nel nostro paese sono stati solo 1.164, questo perché appunto l’Italia aveva reso meno automatico il trasbordo.
Nessuno ha smentito Die Welt, in conclusione, e gli esponenti del governo si sono limitati a non commentare una notizia che Matteo Salvini, viceversa, non si è fatto sfuggire: “Smascherata dai media tedeschi l’ennesima fregatura del governo… Conte, Di Maio e Renzi annunciano di spedire in Germania poche decine di immigrati scaricati in Italia dalla solita ong, ma poi si piegano di nascosto a Berlino e accettano 50 profughi al mese, tutti i mesi”. Come detto, il commento di Salvini spicca soprattutto perché non ce ne sono altri.
Filippo Facci, “Libero”.