Quando il 21 aprile erano state ridimensionate le misure restrittive per il contenimento della pandemia, a Bagdad numerosi manifestanti antigovernativi avevano colto l’occasione per riprendersi la piazza. Si trattava della stessa opposizione popolare sorta nell’ottobre dell’anno scorso per denunciare la corruzione della casta dominante accusata, tra l’altro, di subire passivamente le ingerenze di Paesi stranieri. Da allora sarebbero oltre cinquecento i manifestanti caduti negli scontri con la polizia. E un’altra vittima – oltre a numerosi feriti – veniva segnalata anche il 21 aprile nei dintorni di piazza Tahrir.
Questi i precedenti. Più recentemente, l’11 maggio, a pochi giorni dall’insediamento del primo ministro Mustafa Kadhemi, altri raduni non autorizzati di decine e decine di persone si sono registrati in diverse città irachene; ancora e soprattutto in piazza Tahrir, dove gli insorti chiedevano a gran voce (letteralmente) la “caduta del regime” lanciando pietre e molotov. Da parte della polizia si rispondeva con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni in grande quantità. Tuttavia i manifestanti riuscivano ugualmente ad abbattere una prima barriera eretta dalle forze governative sul ponte Al-Jumhuriyah con l’intento di bloccare l’accesso alla zona verde, dove si trovano molti uffici governativi e alcune ambasciate.
Altro focolaio di ribellione, la città di Nasiriyah dove la protesta ha adottato la tattica dei blocchi stradali ottenuti sia incendiando pneumatici sia con fitte sassaiole contro la polizia.