Nel 2018, la polizia turca ha iniziato a tempestare di perquisizioni i grossisti di cipolle sospettando che stessero aumentando artificialmente i prezzi degli ortaggi nel tentativo di “rovesciare illegalmente” il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan. I giornali filogovernativi proponevano titoli come La polizia trova cipolle nel magazzino di cipolle, che in Italia sarebbe stato un titolo del “Male”… Più o meno nello stesso periodo, Erdogan ha dichiarato che gli Stati Uniti stavano progettando di danneggiare economicamente la Turchia, proprio mentre il suo governo firmava un accordo con il consulente di gestione americano McKinsey per aiutare Ankara a varare un nuovo programma economico a medio termine.
Nel 2014, il presidente ha suscitato grasse risate affermando che i marinai musulmani avevano raggiunto il continente americano nel 1178, ossia 314 anni prima di Colombo, e che il genovese aveva raccontato nelle sue memorie di aver visto una moschea in cima a una collina sulla costa di Cuba. Da allora non è cambiato granché. Nel giugno 2020, “Sabah”, un feroce quotidiano pro Erdogan, affermava che un antico sito di Salonicco, in Grecia, costruito 300 anni prima di Maometto, era una moschea.
Uno dei deputati di Erdogan, Ali Ihsan Yavuz, è diventato la barzelletta dell’anno 2019 quando lui e i funzionari del suo partito non sono riusciti a provare le loro accuse di frode elettorale, dopo aver perso Istanbul a favore di un candidato dell’opposizione. “Anche se non è successo nulla [di illegale]”, ha detto, “qualcosa è successo”.
Prima del medesimo turno delle elezioni municipali nel marzo 2019, un sindaco del distretto di Esenyurt, dello stesso partito di Erdogan, ha dichiarato: “Se perdiamo Esenyurt, perderemo l’islam; perderemo la Mecca e Gerusalemme”.
Quando Erdogan ha posto il veto a una proposta di legge che posticipava l’installazione di filtri alle ciminiere delle centrali termoelettriche, i titoli recitavano: “Il presidente della repubblica Erdogan pone il veto alla proposta di legge del presidente del partito Erdogan”. Il disegno di legge ostacolato da Erdogan era stato proposto da Erdogan stesso.
Nel maggio di quest’anno, le autorità turche hanno arrestato un turista iraniano per aver steso un asciugamano decorato con la Union Jack britannica su un balcone in un giorno festivo. La gente del posto lamentava che l’esposizione del drappo fosse un atto provocatorio. L’accusato – come spiegò egli stesso – invece stava semplicemente asciugando un asciugamano bagnato.
Un sindaco del AKP, il partito di Erdogan, ha deciso di erigere nella sua città una statua del capo ottomano Ertuğrul Ghazi. Sfortunatamente, la statua non assomigliava al sultano del XIII secolo, bensì all’attore che lo aveva interpretato nella serie TV Resurrection Ertuğrul trasmessa dall’emittente statale TRT-1.
In una conversazione telefonica con il presidente americano Donald Trump, Erdogan gli rivelò che i curdi erano le menti dietro le turbolenze politiche in corso in America. Teoria comunque più realistica di quella che una volta era stata proposta dal capo consigliere di Erdogan, Yiğit Bulut, il quale sosteneva che le proteste antigovernative nel 2013 erano il risultato di un attacco telecinetico scatenato da forze oscure.
Le demenzialità turche hanno anche aspetti ben più sgradevoli. In giugno, i commentatori di un canale televisivo pro Erdogan hanno invitato i servizi segreti di Ankara ad assassinare i giornalisti turchi residenti all’estero. “Inutile menare il can per l’aia: dove abitano si sa… Vediamo cosa succede se un bel po’ di loro vengono sterminati. Piazza un proiettile in testa a qualche giornalista, e vedrai come se la fanno sotto”: sono le parole del commentatore Cem Küçük, con particolare riferimento al giornalista turco Abdullah Bozkurt, direttore del “Nordic Monitor” e membro del Middle East Forum.
Europei solo per convenienza
Forse non sorprende che, con tutta quella follia che aleggia sulle loro teste, i turchi siano confusi su come dovrebbe essere condotta la politica estera del loro Paese.
Un sondaggio dell’università Kadir Has di Istanbul rivela che la percezione dei turchi circa la propria identità nazionale – la Turchia è un Paese islamico; è un Paese europeo; è unico – si suddivide in parti quasi uguali: quelli che la vedono come una nazione islamica hanno raggiunto il 56,3% nel 2018, il 32,9% nel 2019 e il 22,4% nel 2020, con un forte calo di quasi 34 punti percentuali in soli due anni. Nel 2020, il 21,5% ha dichiarato che la Turchia è un Paese europeo e il 27,4% lo ha considerato sui generis, senza alcun legame con altre identità.
Indipendentemente dalla loro percezione identitaria, il 51,5% dei turchi sostiene l’adesione della Turchia all’UE e il 55,2% pensa che l’adesione della Turchia alla NATO dovrebbe continuare. In linea con questo pensiero, la percentuale che vede la Russia come partner strategico è scesa dal 55,8% nel 2019 al 37%.
Questi numeri sembrano coerenti, ma anche qui c’è confusione. Il settanta per cento dei turchi ritiene che la peggiore minaccia per il loro Paese siano gli Stati Uniti, in calo dall’81,3% nel 2019. Ma quando è stato chiesto con quale Stato o Stati la Turchia dovrebbe cooperare in politica estera, il 27% ha indicato gli USA, secondo gruppo per dimensioni dopo il 30,2% di “Paesi turchici in Asia centrale”. In altre parole, il secondo più grande gruppo di intervistati ha affermato che Ankara dovrebbe collaborare in politica estera con il Paese che rappresenta la maggiore minaccia per la Turchia.
Questa disposizione verso gli Stati Uniti riflette una miscela tipicamente turca di odio e pragmatismo: l’America è Satana, ma non dovremmo far arrabbiare il potente nemico. È un matrimonio senza amore, se non addirittura all’insegna dell’odio. Allo stesso modo, la maggior parte dei turchi vede l’UE come un club cristiano ostile, ma sostiene l’adesione della Turchia per puro interesse economico.