Morten Uhrskov Jensen, storico danese, collaboratore del quotidiano “Jyllands-Posten” e segretario del partito politico Dansk Samling (unità danese), ha partecipato il 19 luglio scorso a una videoconferenza del Middle East Forum, illustrando le progettate restrizioni all’immigrazione in Danimarca e il loro significato per il resto d’Europa.
Da quando la legge sugli stranieri del 1983 ha liberalizzato le sue politiche migratorie, la Danimarca ha assistito a un afflusso in costante aumento di asilanti, in particolare dai Paesi musulmani. Il piccolo Stato (5,8 milioni di abitanti) “non ha avuto il controllo dei propri confini”, ha detto Jensen, poiché questa legge ha permesso ai migranti “di presentarsi alla frontiera danese” chiedendo di ricevere asilo e di essere ammessi a meno che le autorità danesi non possano dimostrare che non ne abbiano diritto.
Di conseguenza, gli ultimi quattro decenni hanno determinato fortissimi mutamenti demografici in Danimarca. La parte della popolazione che ha “radici nel terzo mondo” è cresciuta dall’uno al dieci per cento, dando luogo al quindici per cento di tutte le nascite nel Paese.
Gli immigrati maomettani in Danimarca non si sono integrati. Jensen ha affermato che la comunità musulmana è afflitta da “bassi livelli di istruzione, scarsa partecipazione al mercato del lavoro e alti tassi di criminalità”. Un’elevata percentuale di questi immigrati “non intende assimilarsi”, preferendo piuttosto “costruire società parallele” nel nuovo Paese ospitante. Jensen attribuisce questo ai “rigidi” precetti della religione islamica. Questi precetti, che comprendono pregiudizi radicati contro donne, ebrei e omosessuali, sono in aperto contrasto con la Danimarca come “Paese moderno in cui l’uguaglianza è data per scontata”. Anche la “mentalità tribale” e la sfiducia nelle istituzioni statali prevalenti nel mondo arabo contrastano nettamente con i valori danesi.
Tra le altre restrizioni all’immigrazione, il primo ministro danese Mette Frederiksen sta progettando di richiedere che i migranti in cerca di asilo vengano internati in Paesi terzi che collaborino con la Danimarca.
Mentre tali proposte sono sempre più comuni negli schieramenti politici di destra, il partito socialdemocratico della Frederiksen e i suoi partner di coalizione di governo appartengono invece al centrosinistra. I socialdemocratici hanno dominato la politica danese per decenni, in gran parte perché la stragrande maggioranza della popolazione sostiene le loro politiche economiche. Ben il 70-75% degli elettori danesi approva uno stato sociale “esteso” con le sue “tasse elevate, sanità gratuita, scuole pubbliche, assistenza agli anziani e alto livello di sicurezza sociale”.
Dopo l’11 settembre, tuttavia, i socialdemocratici hanno subìto notevoli perdite elettorali, principalmente a causa del crescente scontento verso la loro politica permissiva sull’immigrazione. Il “populista” Partito Popolare Danese (DF), combinando opposizione all’immigrazione e sostegno al welfare state, “ha rubato un numero enorme” di voti della classe lavoratrice ai socialdemocratici. Nel 2015 il DF, grazie al binomio “Stato sociale/frontiere chiuse”, ha ottenuto oltre il 21% dei voti.
Mette Frederiksen, diventata leader dei socialdemocratici nel 2015, ha ammesso che se l’afflusso di stranieri fosse continuato senza sosta “lo stato sociale sarebbe andato distrutto”, e che in ogni caso la posizione del suo partito sull’immigrazione era politicamente insostenibile. Detto fatto: alle elezioni generali del 2019, la nuova piattaforma socialdemocratica basata su “una politica economica di centrosinistra e una politica migratoria di centrodestra” si è rivelata una proposta vincente tra gli elettori danesi, portando la Frederiksen sulla poltrona di primo ministro. Gli altri partiti di sinistra del parlamento non hanno avuto altra scelta che appoggiarla, anche quelli che non gradiscono la politica governativa sulle frontiere: l’unica alternativa sarebbe stata di sostenere la destra. Jensen è certo che i socialdemocratici prevarranno di nuovo alle prossime elezioni nel 2023.
La politica migratoria della Frederiksen contrasta nettamente con quella di altri paesi nordici, in particolare della Svezia, malgrado quest’ultima stia soffrendo in misura ancora maggiore gli effetti disastrosi dell’immigrazione musulmana. La differenza degli approcci politici di Danimarca e Svezia può essere attribuita alle loro diverse radici socioculturali, ha affermato Jensen. La Svezia per tradizione è in mano a élites che pilotano la politica, mentre la tradizione danese nasce più “dal popolo”.
Tuttavia, Jensen vede la Danimarca come un “canarino nella miniera di carbone” che potrebbe “dare l’esempio” al resto d’Europa sulla gestione dei problemi migratori, sempre che i socialdemocratici continuino con la loro politica di “arrestare l’invasione di rifugiati in Danimarca”.