Il sito dell’Assemblada Occitana Valadas aveva rilanciato la terza edizione di “Una casa, una bandiera occitana!”, chiedendo di esporre il 24 giugno scorso, festa di San Giovanni, il vessillo di Tolosa su tutte le abitazioni dei paesi a dimostrazione “del tuo essere occitano”.
Con enfasi retorica e usando la grafia normalizada dell’Istitut Estudi Occitan (IEO) di Tolosa, rammentavano che “La crida s’espandísa en tota Occitània, de la Mediterranèa a l’Atlantic, di Alps ai Pirenèus!”.
Credo sia stata la penultima iniziativa dalla venatura “patriottica” dell’associazione, la quale recentemente, strappandoci un sorriso, rivendicava la rimozione di “via Roma” in luogo di “via Tolosa” o “via Occitania”. Essi forse non conoscono la stucchevole toponomastica di alcune vie del comune di Roccabruna in Val Maira: una dimostrazione di come gli amministratori locali che si occupano di cultura non dovrebbero agire. I roccabrunesi un bel giorno si sono visti appioppare, solo per fare alcuni esempi, la strada “dei Catari” (cioè i cavoli a merenda); la strada “Louis Alibert”, collaborazionista di Vichy e ideatore della norma classica della lingua occitana; la strada “Marcabrun”, trovatore della Guascogna… Tanto per chiarire come gli intellettualoidi giochino con la storia locale.
Senza il saggio di Corrado Grassi Correnti e contrasti di lingua e cultura nelle Valli Cisalpine di parlata Provenzale e Franco-Provenzale (1958), non saremmo qui a citare le parlate provenzaleggianti del Piemonte sud-occidentale, nonché la loro appartenenza a tali famiglie linguistiche.
Tuttavia gli occitanisti delle nostre valli, “grazie” alla predicazione prima di François Fontan e poi dello IEO, non si rassegnano al fatto che i provenzali alpini non sono mai stati, neppure lontanamente, in sintonia con la loro causa né storicamente legati alla Lengadòc, regione geograficamente distinta. La “fusione fredda” tentata nei laboratori tolosani non ha fatto breccia nel genius loci etno-culturale dei provenzali alpini.
Non si comprende dunque perché i provenzali piemontesi dovrebbero sventolare dalle loro case un simbolo che non riconoscono. Gli occitanisti, gli intellettualoidi, l’informazione locale e i media in generale, devono mettersi in testa una volta per tutte che nelle valli del Piemonte non è mai esistito un dilemma identitario. Semmai… questo sì… dalla seconda metà del 1900 è avvenuta un’occupazione culturale esogena, fallimentare per l’inconsistenza stessa della sua ideologia politica.
Il tratto distintivo, il genius loci dei provenzali alpini, è una voce distinta che non può far parte in nessun modo di una narrazione storica venuta da lontano. L’equivoco sta nel fatto che l’IEO (e stigmatizzo con severità il sentimento provenzalista che ha smesso di difendere le sue ragioni), teorizzando similitudini tra l’adstrato linguistico della Provenza alpina e i territori oltre il Rodano, ha osato federare, sia pur teoricamente, un’identità autoctona che non gli appartiene al fine di attuare un’egemonia culturale.
Parafrasando l’inizio del romanzo Il nome della Rosa: “Giunto al termine della mia vita di etnista, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare in questo articolo testimonianza degli eventi ‘tremendi’ a cui mi accadde di assistere”. Spero insomma che, oltre all’ignavia di alcuni, ci sia sempre qualcun altro a ricordare questo esecrabile evento a cavallo del terzo millennio: il ribaltamento della realtà identitaria a danno dei provenzali alpini del Piemonte meridionale.
Gli occitanisti, attraverso i loro agganci politici, si sono intrufolati nella legge italiana a tutela delle minoranze linguistiche utilizzando il neologismo “occitani” alla faccia degli ignari provenzali alpini. I loro avi avevano subìto la presenza più o meno ingombrante di casate straniere come gli Angiò o autoctone come i Marchesi di Saluzzo, ma mai i Saint Gilles di Tolosa!
Non mi sono mai occupato volutamente della destinazione e dell’uso dei finanziamenti della legge 482/99, ma il fatto è che gli occitanisti la ritengono ormai un riconoscimento formale. Sarà anche formale; ma secondo le tabelle ministeriali del dipartimento per gli Affari e le Autonomie, i fondi per l’anno 2021 destinati alla minoranza “occitana” sono stati di 429.212 euro! Tuttavia su L’Agenda, quotidiano on-line della Valle Susa, del 26 aprile scorso l’Assemblada lamenta:
È però nostro dovere riconoscere come questa legge non sia stata applicata per la minoranza linguistica Occitana. La legge prevede infatti che nei comuni riconosciuti come appartamenti a una di queste minoranza sia: consentito l’insegnamento della lingua in orario curricolare, ma purtroppo in nessuna scuola (dell’obbligo) nelle nostre vallate si insegna l’occitano a fianco all’italiano e alle lingue straniere (inglese, francese ecc). Questo sovente è determinato dall’assenza di scuole dell’obbligo nei nostri comuni (che generalmente sono di piccole dimensioni) ma anche dal fatto che non ci sia una università che laurei insegnanti in lingua Occitana.
E allora? La legge concede da 23 anni la sua disponibilità. L’uso o il mancato uso dei fondi è una questione che investe l’organizzazione culturale sul territorio. Se in questi decenni molti enti locali “occitani” non hanno espresso alcuna progettualità è probabile che non abbiano compreso, fin dall’inizio, la portata culturale e identitaria della legge avendo guardato solo all’ipotesi dei finanziamenti.
Per quanto riguarda l’università, dico subito che ho sempre pensato che la spinta identitaria debba venire dal basso, dalle comunità etno-linguistiche e non da esperimenti di laboratorio. Giorni fa abbiamo appreso che il comune di Rifreddo, in Valle Po, è entrato nell’area dei comuni a tutela delleminoranze linguistiche storichee in particolare dellalingua occitana. Emblematiche sono state le dichiarazioni del sindaco Cesare Cavallo. “Da anni ragioniamo sul fatto di dare la maggior tutela possibile alle tradizioni linguistiche e culturali. Oltre alla tutela della lingua piemontese, che per fortuna è tuttora discretamente parlata nel nostro paese, abbiamo voluto riprendere le tradizioni culturali e linguistiche occitane che derivano dalla nostra appartenenza a tale contesto geografico”. “Da domani Rifreddo potrà avvalersi dei fondi previsti dalla Legge 482/99 utilizzandoli per iniziative legate all’identità culturale, storica e per un processo di integrazione europea e di rinascita economica del territorio”.
Sembra dunque che l’interpretazione della legge di tutela da parte degli amministratori si traduca nell’aspettativa di una sorta di “reddito di minoranza”. Un reddito destinato a lingue considerate numericamente “inoffensive”, che ne priva altre – di indubbia rilevanza numerica come quella piemontese, ma a rischio – di ogni sostegno statale.
Prima di concludere è utile andare a una ormai datata ricerca (ma è l’ultima) dell’IRES Piemonte, condotta insieme al dipartimento di Scienze del linguaggio e letterature moderne e comparate dell’Università di Torino. Nel 2002, essi predisposero il progetto per una Indagine sulla situazione sociolinguistica e socioculturale nei territori delle quattro minoranze linguistiche storiche del Piemonte. Le informazioni sono state raccolte in due successive indagini sul campo, la prima nella primavera-estate 2003 e la seconda tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 (il file pdf è scaricabile da internet).
In questa sede mi interessa unicamente la stima del numero di maggiorenni locutori in lingua piemontese, “occitana” e franco-provenzale in Piemonte. Ecco i dati estrapolati dalla ricerca.
- Lingua piemontese: competenza attiva (chi la parla) 2.000.000; competenza passiva (chi la comprende) 1.140.000.
- Lingua occitana: competenza attiva 47.000; competenza passiva 21.000.
- Lingua francoprovenzale: competenza attiva 14.000; competenza passiva 8000.
Come ho anticipato, la ricerca è datata ai primi anni del 2000, ma da questa ci rendiamo conto, non senza un sobbalzo, del divario numerico tra locutori e fondi erogati alle minoranze linguistiche soggette a tutela. Per fare un esempio, solo alla lingua franco-provenzale (della quale ho il massimo rispetto) sono stati destinati, sempre nel 2021, 457.834 euro.
La lingua piemontese, dunque, si parla ancora discretamente senza essere tutelata da una legge dello Stato e senza prendere un euro. In altri casi, invece, si somministrano fondi a chi non fa nulla per difendere la vera parlata locale. Praticamente una farsa a cinque stelle.