Risaliva a due anni fa, in occasione della giornata mondiale delle api, la notizia che in base a studi della fao si meditava l’utilizzo di api africane, oltre che per sfamare le popolazioni locali, anche per salvaguardare l’apicoltura e la produzione di miele in Europa e Nordamerica.
Negli ultimi anni, intere colonie di api risultano scomparse: negli usa oltre la metà negli ultimi 60 anni, in Europa il 20% negli ultimi due decenni.
Inoltre, sempre nel nostro continente, quasi il 10% degli insetti impollinatori si trova ormai sulla soglia dell’estinzione. Un problema non indifferente se pensiamo che la stragrande maggioranza delle piante dipende da questo tipo di impollinazione.
Tra le cause principali, la diffusione dei pesticidi, eufemisticamente detti “fitosanitari”; oltre a un generale indebolimento delle varietà europee, legato presumibilmente a carenze alimentari, diventate più fragili nei confronti degli agenti patogeni.
L’idea della fao sarebbe stata di utilizzare api mellifere africane, descritte come “più aggressive e più resistenti”: si tratta per lo più di insetti ancora allo “stato brado” (buon per loro!) che si rifugiano nelle cavità degli alberi o delle rocce. E che – sottolineava il documento fao – soprattutto godono di ottima salute. La qualità del miele prodotto sarebbe eccellente, come confermano gli apicultori sudafricani che le impiegano (dopo averle “addomesticate”) da molti anni. Anche se, data la loro “aggressività”, essi ricorrono ad alcuni espedienti come l’utilizzo di alveari singoli, di un abbigliamento adeguato (tute complete con stivali, guanti e velo) e soprattutto di grandi quantità di fumo.
Stupore quindi nell’apprendere che in questi giorni, proprio a causa di un intervento promosso dalla fao, in Africa si stia calcolando, non in milioni, ma in miliardi il numero di api morte a causa dei pesticidi.
Apprendo infatti da “Nigrizia” del 22 maggio che
per due anni la fao ha usato in Etiopia e Kenya oltre un milione di litri di “insetticidi convenzionali”, alcuni finanziati dall’Unione Europea che però sul suo territorio ne aveva vietato l’uso.
Tra il 2019 e il 2021, in coincidenza con il dilagare del Covid-19, le locuste del deserto (Schistocerca gregaria, in genere provenienti dalla penisola arabica) planarono a sciami sulle terre dell’Africa orientale, Kenya ed Etiopia in particolare, mettendo a repentaglio la sicurezza alimentare di milioni di persone.
La risposta è stata quella di inondare con i pesticidi chimici (e anche con non meglio identificati “biopesticidi”) milioni di ettari di terreno, sia quelli a colture sia quelli a pascolo. Come è stato accertato – e ammesso dalla stessa fao – l’organizzazione onusiana aveva inviato nella regione oltre un milione di litri di “insetticidi convenzionali”.
Sempre la fao…
Stando alle indagini del Topfer Muller Gabner, un centro di ricerca berlinese, pubblicate su Agronomy, solo in Etiopia questo avrebbe provocato la morte di miliardi di api, e l’abbandono degli alveari per altrettante, con un forte calo nella produzione di miele.
Curiosamente, se vogliamo, il tmg è il settore di ricerca di un ufficio di consulenza fondato da ex funzionari della fao e del programma per l’ambiente della Nazioni Unite.
Ora, stando a quanto dichiarato dalle agenzie, questi esperti fuoriusciti avanzerebbero “critiche al finanziamento dato dall’Unione Europea, tramite la fao, per l’approvvigionamento di agenti chimici da tempo vietati in Europa”.
In particolare il pesticida clorpirifos che, si è scoperto, produrrebbe “danni cerebrali nei bambini piccoli e in quelli non ancora nati”.
Per la cronaca (nera?), l’Etiopia ha fatto uso principalmente di malathion e clorpirifos (quest’ultimo vietato in Europa e comunque entrambi ritenuti tra i più nocivi per le api), mentre sul Kenya si è sparso deltamethrin e fenitrotion (anche questo vietato in Europa). Conosciuti come “organo-fosfati” tali sostanze “disinfestano” in breve tempo, ma con spiacevoli effetti collaterali: non solamente sulle api, ma anche sulla microfanuna (altri insetti, uccelli, piccoli mammiferi e rettili) e sugli ecosistemi in generale.
Ciò che tuttavia sembra preoccupare maggiormente organizzazioni internazionali e autorità è la “perdita di circa 500 milioni di dollari” per il calo dell’80% della produzione di miele (tra il 2017 e il 2021).
Più intelligentemente (e più eticamente per quanto possibile) la Somalia avrebbe contrastato le locuste con il metarhizium acridum (considerato un “bio-insetticida) e soprattutto con il teflubunzuron (un regolatore di crescita degli insetti). Non sarà la panacea, ma meglio che niente. Mi permetto di suggerire maggior rispetto per quei volatili che di locuste fanno scorpacciate (vedi le cicogne). Un po’ come – si parva licet – da noi gli aironi cenerini con il cosiddetto “gambero killer” di importazione, e gli storni con le cimici orientali (quelle scure).
Lievemente sconcertante ricordare che solo pochi giorni fa, in maggio, alcuni apicultori veronesi e vicentini avevano annunciato di aver avviato un progetto umanitario (“contro la denutrizione infantile” e per “lo sviluppo di una nuova economia locale” basata sui piccoli produttori) rispettivamente in Guinea Bissau e in Angola. Con “corsi intensivi” di due settimane per gli apicoltori della Guinea Bissau a cui avrebbero anche donato varie attrezzature (arnie, smielatori, bilance, tute…). Insegnando, cito testuale, “a fare ulteriormente selezione, per addolcire il carattere ancora selvaggio e un po’ aggressivo che le loro api conservano, in modo da lavorare più facilmente”.
Non solo. Ora, invece del “miele dal gusto affumicato che riuscivano a fare con metodi tradizionali, oggi sono passati a produrre ottimi mieli di varie tipologie”. Non discuto le buone intenzioni, ma posso dire che intravedo un atteggiamento vagamente paternalistico?
In realtà possiamo affermare che anche in questo utilizzo dei pesticidi inteso come omologazione, l’Africa si va “modernizzando”.
Quello che sta accadendo (chissà cosa ne direbbe Rachel Carson?) è in sintonia con recenti episodi che si sono manifestati nel Veneto. Vedi nel novembre dell’anno scorso proprio in Lessinia con forse un milione di api morte, tutte nello stesso luogo, nel giro di poche ore. Le analisi effettuate hanno dato conferma che si trattava di avvelenamento fulminante da pesticidi.
Più recentemente migliaia di api risultavano sterminate nei pressi di Abano per i pesticidi sparsi su un campo di colza. Qui l’amministrazione sarebbe intervenuta prontamente, forse preoccupata per le possibili disdette dei turisti teutonici, in genere attenti a queste cose…