Pedro Sánchez per riottenere la presidenza della Spagna ha bisogno dei voti di Junts, il partito del 130esimo presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, costretto all’esilio in Belgio in quanto perseguitato da Madrid dopo il referendum sull’autodeterminazione del 2017.
Puigdemont, tuttavia, non è per nulla disposto a favorire l’investitura di Sánchez, ora che il suo persecutore ha bisogno di lui. Al contrario, il 5 settembre ha tenuto una conferenza a Bruxelles davanti a giornalisti provenienti da 64 Paesi, sollevando la necessità di un accordo storico per risolvere democraticamente il conflitto tra Catalogna e Spagna. L’esule ha dichiarato che non ci sono opposizioni a un negoziato, ma che se Sánchez vuole essere appoggiato deve garantire i prerequisiti minimi per iniziare il confronto: riconoscere la legittimità del movimento indipendentista catalano, smettere di perseguitare questo movimento pacifico come se fosse una minaccia terroristica, approvare un’amnistia per tutte le “rappresaglie” penali (circa 1500) e consentire a un mediatore internazionale di monitorare i negoziati.
Paradossalmente, Sánchez potrebbe anche essere interessato a un’amnistia per le vittime catalane della repressione poliziesca, giustificandola pubblicamente come una via per porre termine al conflitto. Tuttavia la fine della repressione non coinciderà con la fine del conflitto, che andrebbe invece affontato alla radice: stabilendo cioè che il popolo catalano ha il diritto di esercitare l’autodeterminazione.
La vera motivazione – che Sánchez si rifiuta di riconoscere – è che bisogna concedere un’amnistia per cancellare i danni dell’azione fraudolenta da parte della giustizia centralista contro i sostenitori dell’indipendenza. Ma per Sánchez sarà difficile far accettare alla società spagnola un’amnistia per i membri di questo movimento, specialmente dopo aver messo in scena una campagna mediatica che ha bollato i catalanisti come “golpisti”, “criminali”, “terroristi”, “razzisti”… In realtà, la finalità occulta di questa amnistia sarebbe quella di cancellare le precedenti iniziative penali prima della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si prevede devastante per la Spagna.
Per tale motivo, durante la manifestazione oceanica dell’11 settembre, festa nazionale della Catalogna, nessuno ha chiesto l’amnistia né alcun patto di investitura per Sánchez, ma piuttosto il grido unanime è stato quello per l’indipendenza. E questa è la richiesta di Puigdemont: sono necessarie quattro precondizioni, ma il negoziato deve riguardare l’autodeterminazione. Sánchez è totalmente indisponibile a entrare in questo dibattito con la scusa che la Costituzione non lo permette. Il che è falso. Egli chiede di essere nominato presidente, ma non vuole cedere su qualcosa che è fondamentale per il nazionalismo spagnolo.
Pertanto, considerato che Sánchez non si dimostra un vero statista capace di condurre la Spagna a un negoziato in cui si rinunci all’uso della forza fisica e si usi soltanto la forza della democrazia, credo che ci stiamo avviando verso la sesta elezione in otto anni (normalmente ce ne sarebbero state due) e una destabilizzazione della Spagna come non si è mai vista prima.