Come ogni anno siamo entrati nel periodo in cui le vetrine dei negozi addobbate a festa, le luci multicolori e le luminarie che risplendono nell’oscurità delle giornate invernali nelle nostre città, oltre ai mercatini di prodotti tipici o semplicemente gli abeti (o gli alberi artificiali) e i presepi piccoli e grandi che si intravedono nelle case, ci suggeriscono che il Natale è prossimo.
Ma sempre meno, di anno in anno, rimane in questo periodo dell’Avvento qualcosa di davvero pregnante della festa religiosa nata tra il III e il IV secolo per commemorare la nascita di Gesù il 25 dicembre. Una data centrale dell’anno liturgico dei cristiani, seconda per importanza teologica solamente alla Pasqua di Resurrezione (ricordiamo che la maggior parte delle chiese ortodosse, seguendo ancora il calendario giuliano e non quello gregoriano, festeggiano il Natale il 7 gennaio).
La verità è che le luci sfavillanti e le nenie natalizie che riecheggiano nell’aria, così come le sacre rappresentazioni moltiplicatesi negli ultimi anni come richiamo turistico “fuori stagione” in molti piccoli centri, nascondono in tutto l’Occidente soprattutto la corsa agli acquisti e ai regali; portando in primo piano le logiche di quel consumismo che si è reso protagonista della vita sociale al posto degli atti e delle cerimonie un tempo associate in modo inscindibile al culto religioso, a una dimensione liturgico-religiosa con significati teologici inoppugnabili che oggi appaiono sempre meno chiari ai più.
Ove ciò non fosse già sufficiente a testimoniare la perdita dei veri significati all’origine del Natale, il politicamente corretto che ormai ha invaso il mondo ci porta quasi a nascondere le radici cristiane nella nostra cultura per non “infastidire”, con la nostra festa religiosa, chi professa altri credi. Come conferma la battaglia condotta da molte parti per l’abolizione del crocefisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, o di qualsiasi altra forma esteriore della professione di fede cristiana che possa in qualche modo ledere i diritti delle minoranze e la sensibilità religiosa di chi non è cristiano (persino la Costituzione ue, per lo stesso motivo, non riporta nel suo testo alcun riferimento alle origini cristiane della formazione dell’Europa e della cultura europea).
Radici nella protostoria
Non può sfuggire come la data scelta nel calendario cristiano per la ricorrenza del Natale e la celebrazione della nascita di Cristo, coincida sostanzialmente con il solstizio d’inverno, cioè con il giorno più corto dell’anno nell’emisfero settentrionale, momento nel quale i romani festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell’agricoltura (giorni in cui avvenivano anche a quel tempo scambi di doni e sontuosi banchetti).
In periodo imperiale, nel 218, l’imperatore Eliogabalo introdusse a Roma anche il Natalis Solis Invicti, ricorrenza ufficializzata poi da Aureliano nel 274 proprio il 25 dicembre; si trattava di una festa di ben più antiche origini, nota a vari popoli dell’impero e celebrata ancor prima da altre genti mediterranee, le quali festeggiavano in questo periodo dell’anno il momento della rinascita della luce con il progressivo allungarsi delle giornate rispetto al corrispondente diminuire delle ore di oscurità.
Tale coincidenza viene sostanzialmente confermata persino nella Tanach ebraica e nel Vecchio Testamento, in particolare nel III Libro del profeta Malachia, in cui si parla del Messia – quindi del Gesù dei cristiani – come nuovo “Sole di Giustizia”. Ma anche il Vangelo di Luca, laddove parla della missione di Giovanni Battista come di una preparazione alla venuta del Signore, lo descrive come “un Sole che sorge dall’alto” (Luca I, 68-79).
Un’altra conferma di questa coincidenza di data tra festa pagana e festa cristiana anche in tempi successivi è quella contenuta in un sermone di Papa Leone I, il quale nel 460 esprimeva il suo fastidio nei confronti di quei cristiani che, perpetuando in maniera sincretica le usanze pagane con quelle cristiane, manifestavano ancora una venerazione nei confronti del sole reputandolo una divinità, o confondevano la figura di Cristo con quella dell’astro, mescolando quindi il culto cristiano con quello pagano. “È così tanto stimata questa religione del sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il sole e, piegando la testa, si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dèi”, scriveva Papa Leone I.
Rimane un fatto assodato, comunque, che l’evangelizzazione dei popoli pagani nel periodo tardo-imperiale e poi in quello alto-medievale, soprattutto nel nord Europa, fu facilitata dall’adattamento che alcuni monaci missionari furono costretti ad attuare, pur di giungere alla conversione dei pagani, adeguando alla logica del nuovo culto molte feste tradizionali. Analoga fu la scelta di innalzare le prime chiese cristiane negli stessi luoghi dove sorgevano i maggiori templi dedicati a divinità pagane.
È così che alcune celebrazioni pagane furono ricondotte alle celebrazioni del Natale, conservandosi di fatto in alcuni casi quasi intatte fino a oggi nelle forme originarie, ma perdendo le simbologie che avevano avuto all’origine, come l’uso del vischio e dell’agrifoglio in segno benaugurale. Persino lo stesso albero decorato, oggi simbolo preminente del Natale, vanta una tradizione storica che rimanda ai druidi celtici: essi consideravano l’abete un simbolo di vita e di fortuna, anche perché si trattava di un sempreverde, e per questo lo addobbavano nel periodo più corto dell’anno con ghirlande, nastri colorati e oggetti a simboleggiare la sconfitta della morte (il buio) e il ritorno alla vita (la primavera successiva) con lo scopo di rendere omaggio agli spiriti della foresta come madre di vita, nel corso di una festa che si svolgeva proprio il 25 dicembre.
Al contrario, va sottolineata un’altra curiosità che lega la laicità al momento religioso del Natale: la secolarità di questa festa, infatti, è uscita ben al di là del perimetro dei popoli cristiani o degli Stati in cui vivono comunità anche minoritarie di cristiani, diffondendosi in molte aree del mondo dove il cristianesimo, più che minoritario, è di fatto un culto religioso inesistente: per esempio vaste aree del continente asiatico (si pensi all’India o alla Cina) e in alcune zone del Pacifico come la Malesia, dove di certo della festa religiosa non si hanno nemmeno gli echi lontani. In questi casi, ben al di fuori del suo significato religioso, il 25 dicembre ha assunto una rilevanza in termini proprio commerciali ed economici, legandosi all’usanza sempre più marcata dello scambio di doni.
E poi, al Natale è associata un’altra figura di alto valore simbolico, soprattutto per i bambini, quella di Babbo Natale (il Santa Klaus del nord Europa), anch’egli in qualche modo strettamente legato alla logica dei doni.
Su questo personaggio non si può non fare una riflessione partendo dalla sua origine storica, legata alla figura di un santo cristiano vissuto nella Licia, oggi parte della Turchia, nel IV secolo. Parliamo di San Nicola di Myra, rampollo di una famiglia benestante ma rimasto orfano in giovane età, il quale decise, prima di quanto avrebbe poi fatto San Francesco d’Assisi, di abbandonare le sue ricchezze distribuendole tra i più poveri, e questo prima di essere ordinato sacerdote e divenire col tempo vescovo.
Dopo la morte, avvenuta a Myra il 6 dicembre 343, le sue reliquie furono trasportate a Bari, di cui divenne il santo patrono, ma il suo culto si diffuse dappertutto nell’universo cristiano, a occidente come a oriente, raggiungendo a fine ‘600 gli Stati Uniti dove gli olandesi avevano fondato Nuova Amsterdam, in seguito ribattezzata New York dai coloni anglofoni. E dato che in Olanda San Nicola era conosciuto con il nome di Sinterklaas – il santo che la tradizione voleva portasse doni ai bambini buoni – la traduzione anglosassone del suo nome condusse in gran parte del mondo di lingua inglese alla sua denominazione di Santa Claus, quella con la quale è oggi più noto.
Dalla Licia a Rovaniemi
All’inizio dell’800 la storia di Babbo Natale-Santa Klaus iniziò a diffondersi in tutto il mondo cristiano, e la sua figura fu addobbata della leggenda della slitta e delle renne con le quali questa figura a metà tra il sacro e il profano, arrivando dai paesi innevati del grande nord, portava i doni ai bambini per il Natale.
Le prima narrazioni sulla sua figura sono legate alla penna degli scrittori Washington Irving (A History of New York del 1809) e Clement Moore (A Visit from Saint Nicholas del 1823). I suoi connotati furono ulteriormente definiti negli anni successivi, codificandosi nel 1920 grazie a un manifesto pubblicitario di Haddon Sundblom realizzato per la Coca Cola, pubblicato sulla rivista “The Saturday Evening Post”: un anziano dal viso paffuto e sorridente, con la barba bianca, vestito nel suo abito rosso, che sarebbe diventato di lì a poco non solo un simbolo per l’azienda di bibite statunitense ma per il Natale nel mondo.
È proprio “questo” il Babbo Natale che abita nella sua “casa” al Circolo Polare Artico, appena a nord della città finlandese di Rovaniemi, ai margini della N4-E75, e precisamente a Napapiiri, che in finlandese significa proprio “Circolo Polare Artico”: posto a 66°33’49” di latitudine nord, è la linea oltre la quale il sole da metà maggio a fine luglio non tramonta mai, come ricorda la striscia del parallelo disegnata fisicamente sull’asfalto, con le distanze chilometriche dalle maggiori capitali europee leggibili su grossi tronchi di legno.
Tutt’attorno è stato realizzato un villaggio dello shopping e dei divertimenti (e poteva non essere così?) che ruota attorno al Santa Klaus Village, con numerosi oggetti che si rifanno all’artigianato natalizio e a quello artico.
Un’altra curiosità è che proprio qui giungono le letterine indirizzate a Babbo Natale dai bambini di tutto il mondo: il suo “ufficio postale” disbriga tutta la corrispondenza, contrassegnando la risposta con il suo originale timbro. Da qui si può anche spedire una cartolina con il timbro ufficiale di Babbo Natale, mentre presso lo sportello informazioni si può richiedere il Certificato del Circolo Polare Artico o farsi timbrare il passaporto!
Ma, in particolare per i piccoli, l’emozione più grande è sicuramente poter incontrare Santa Klaus in carne e ossa (ma rigorosamente soltanto dalle nove alle diciassette), paludato nel suo tradizionale costume rosso da cui fa capolino un grosso sorriso che si fa strada attraverso la barba bianca. Con lui si può fare una foto (ovviamente a pagamento) per immortalare il momento dell’incontro, e persino scambiare qualche incerta parola in ogni lingua (Babbo Natale parla tutte le lingue, ovviamente), oltre che presentargli richieste e desideri specifici che il leggendario personaggio, aiutato come da tradizione da uno stuolo di renne e folletti, si impegnerà a realizzare nel più breve tempo possibile, aiutato dalle sue magiche e veloci renne.
Della parte religiosa del Natale non vi è più traccia nemmeno qui, dato che tutto è guidato dalle moderne leggi del consumismo.