Evidentemente il presidente francese non sottovaluta quanto sta avvenendo in Nuova Caledonia e ha deciso di prendere direttamente in mano la situazione. Un focolaio che potrebbe divampare (al momento rimangono ancora in piedi alcune barricate), non soltanto per la questione irrisolta dell’indipendenza, ma anche per l’attuale crisi dell’industria del nichel, principale fonte di lavoro per la popolazione e per i kanak in particolare.
Atterrato il 23 maggio a Nouméa, Macron lasciava intendere che forse lo stato di emergenza (copri-fuoco tra le 18 e le 06, proibizione di raduno, proibizione di vendita di alcol e trasporto di armi, messa al bando di Tik-Tok) potrebbe essere revocato. Ma solo dopo l’ulteriore dispiegamento di altre 3mila unità di polizia.
Già qualche giorno prima – per la precisione dopo una settimana dall’inizio della sollevazione contro la contestata riforma del corpo elettorale – il governo di Parigi aveva preso la decisione di mobilitare gign, raid, crs e la gendarmeria mobile in supporto alla polizia.
Nel frattempo la procura di Nouméa annunciava di aver aperto inchieste sui “mandanti” della sollevazione, individuando in particolare una decina di esponenti della Cellule de coordination des actions sur le terrain (ccat), un collettivo indipendentista sorto nel 2023. Alcuni sarebbero già finiti agli arresti domiciliari.
Dopo le vittime dei primi cinque giorni di disordini, il 18 maggio si registrava un’altra vittima (portando a sei il numero delle persone decedute: due gendarmi, quattro civili) e alcuni feriti a causa dello scambio di colpi di arma da fuoco nel nord dell’isola principale (l’arcipelago ne comprende circa 140). A scatenare la sparatoria, il tentativo di alcuni caldoches, i neocaledoni di origine europea, di forzare una barricata eretta dagli indipendentisti.
Comunque Emmanuel Macron, appena sbarcato a Nouméa, è stato chiaro: le forze di polizia francese resteranno in Nuova Caledonia “per tutto il tempo necessario”. Si tratterebbe di una “priorità assoluta”, come ha ribadito incontrando esponenti politici e imprenditori. La ribellione di questi giorni è stata innescata dalla proposta, da parte dell’assemblea nazionale francese, di consentire ai residenti stranieri in Nuova Caledonia da almeno 10 anni di votare alle elezioni locali. Ovviamente con la conseguente ulteriore emarginazione della popolazione nativa kanak, 40% di una popolazione totale di circa 270mila persone.
Quanto agli europei, si suddividono tra caldoches (discendenti dei coloni, alcuni addirittura dei comunardi qui deportati) e francesi arrivati negli ultimi decenni dalla “metropoli” (i metro). Più un 11% che si definisce appartenente a entrambe le comunità.
Con la prevista riforma costituzionale, finora approvata dal senato e dall’assemblea nazionale in forma separata, altri 25mila residenti acquisterebbero il diritto di voto per le assemblee provinciali e per il congresso, che a loro volta eleggono il governo.
Un lungo conflitto
Utilizzata nel XIX secolo come colonia penale, soprattutto per i detenuti politici, tra il 1897 e il 1903 la maggior parte degli indigeni vennero trasferiti (deportati) nelle isole minori adibite a “riserve indiane”.
Risale al 1984 la formazione del fronte di liberazione nazionale kanak e socialista (flnks, dichiaratamente indipendentista) e l’inizio di una guerra civile “a bassa intensità” durata quasi fino agli anni novanta con almeno un’ottantina di morti. L’episodio più drammatico, conosciuto come il “Massacro di Ouvréa” (5 maggio 1988) avvenne nelle grotte di Gossanah dove si erano asserragliati i militanti indipendentisti con alcuni gendarmi presi in ostaggio. L’assalto delle troupes de choc costò la vita a 19 indipendentisti e a due militari.
Con gli “accordi di Mantignon” del 26 giugno 1988 – confermati da quelli di Nuoméa del 5 maggio 1998 – da entrambe la parti si avviava un percorso per la “soluzione politica” del conflitto.
Ma l’anno successivo, il 4 maggio 1989, nel corso della cerimonia di commemorazione per i “19 di Gossanah”, Jean-Marie Tjibaou e Yewéné Yewéné, due leader carismatici dei kanak, venivano uccisi da Djubelly Wéa, un esponente oltranzista dell’indipendentismo più radicale.
E la recente sollevazione lascia intendere che la questione rimane aperta a ulteriori sviluppi.