Strage di lavoratori immigrati in Belucistan

Un recente attacco indiscriminato contro i lavoratori di una miniera in Belucistan getta ombre sospette sulle reali dinamiche di quella che si autorappresenta come una lotta di liberazione.
Non che non avessimo a suo tempo insinuato che dietro il recente attivismo di un autoproclamato movimento di liberazione ci fosse altro. Cioè, come minimo, l’ennesima strumentalizzazione di una lotta popolare di autodeterminazione. Se non addirittura una riedizione (in salsa pakistana o altra) della classica “strategia della tensione”.
In Belucistan, nel distretto sud-occidentale di Duki, l’11 ottobre oltre una ventina di persone sono state massacrate e un’altra decina ferite in una miniera di carbone. Le vittime erano minatori, mentre gli assalitori – una quarantina, in abiti civili – in mancanza di rivendicazioni per ora non sono stati identificati. Si presume comunque che si tratti di un’altra azione del bla (Balochistan Liberation Army), ultimamente piuttosto attivo. Pur mantenendo, ripeto, tutte le riserve sull’autenticità di questa recrudescenza.

Immagine rilasciata dal BLA, con due dei combattenti che avrebbero partecipato a un attentato dell’agosto scorso.

La brutale irruzione, durata almeno trenta minuti con bombe a mano e lanciagranate, si è scatenata direttamente contro gli alloggi dei lavoratori delle miniere della Junaid Coal Company. Dal comunicato della polizia si ricava che le vittime in maggioranza provenivano dalle aree di lingua pashtu del Belucistan; dove – come il persiano e la lingua dravidica brahui – risulta minoritaria rispetto alla prevalente lingua beluci. Almeno quattro degli assassinati erano invece originari dell’Afghanistan, forse hazara.
Gran parte dei macchinari sono stati dati alle fiamme. Haji Jairuyá Nasir, proprietario (o direttore) della miniera ha messo in guardia i soccorritori in quanto prima di andarsene gli aggressori avrebbero posizionato una decina di mine.
Pur nella consapevolezza della pesante situazione in cui versano i beluci, emarginati, sottoposti a repressione, che vedono le risorse naturali della loro terra svendute dal governo centrale di Islamabad alle compagnie estrattive, tale deriva settaria rivolta contro altri sfruttati non è assolutamente accettabile.
Per certi aspetti rievoca un’altro settarismo, quello indirizzato contro gli hazara insediati nella provincia pakistana del Belucistan (la maggior parte a Quetta). Attualmente sono circa mezzo milione, in gran parte discendenti da coloro che qui emigrarono dall’Afghanistan più di un secolo fa. Di religione sciita, periodicamente sono sottoposti a uccisioni mirate, rapimenti e massacri.
D’altra parte è notorio che molte milizie e movimenti radicali del Pakistan vengono manipolati dai servizi segreti (pakistani, ma non solo). Era il caso (tanto per citarne un paio, ma l’elenco sarebbe lungo) dei fondamentalisti sunniti di Lashkar-e-Jhangvi Al-Alami, considerato il braccio armato del movimento Sipah Sahaba Pakistan (ssp), a sua volta presumibilmente manipolato dai servizi). Dopo essere state dichiarate illegali, le due organizzazioni si ricostituirono come Millat Islamia Pakistane e Ahl-e-Sunnat Wal Jamat.
Non mancherebbero poi anche “influenze” esterne, in particolare saudite. Come nel caso di Wahhabi Daesh e da Lashkar-e-Jhangvi (ugualmente responsabile di attacchi contro la minoranza hazara).
Tra l’altro, forse è solo una coincidenza ma nel gennaio 2021 undici minatori hazara erano stati prima sequestrati e poi assassinati nella città di Machh (in questo caso sembrerebbe dall’isis). Si trattava di lavoratori qui emigrati – spinti dalla miseria – da Daikondi (Afghanistan). Le famiglie delle vittime avevano espresso la loro rabbia manifestando nelle strade contro il governo, definito “complice”, rifiutandosi addirittura di seppellire i morti come forma di protesta per la mancata protezione.