È universalmente noto che Elon Musk, oltre che di SpaceX, Neuralink, The Boring Company e altro, è a capo della Tesla, azienda produttrice di veicoli elettrici, batterie, congegni, marchingegni e dispositivi per l’energia solare. Nella dichiarata intenzione di “accelerare la transizione verso un mondo di energia sostenibile” (facendo nel frattempo un sacco di quattrini, si presume).
Ma a volte tanto dichiarato amore per la “sostenibilità” può scontrarsi con le ragioni della Natura: per esempio a Grünheide, piccolo comune di nemmeno diecimila abitanti nel Brandeburgo, non lontano da Berlino.
Verso la metà di agosto, con quella che oggi possiamo interpretare come un’ambigua mossa destabilizzante, Tesla aveva annunciato l’intenzione di una “pausa sul progetto di raddoppio” della sua Gigafactory, costruita in tempi record nel 2021. Praticamente, all’epoca almeno, l’unica fabbrica di Tesla per la produzione di auto elettriche in Europa. Lo scopo iniziale era raddoppiare la produzione di veicoli passando da 500mila a un milione all’anno. Per cui altri ben 120mila ettari di foresta andavano sacrificati, rasi al suolo (letteralmente). Progetto a cui naturalmente (è il caso di dirlo) si oppongono molte realtà ambientaliste.
Ufficialmente, stando alle dichiarazioni rese alla dpa dal direttore della Gigafactory, André Thierig, la “pausa” era dovuta all’incertezza in materia di “domanda del mercato”, inferiore alle previsioni (per non dire “fallimento dell’auto elettrica”). Una confessione di cedimento che tuttavia non mancava di alimentare qualche diffidenza da parte del movimento civico di opposizione Tesla den Hahn abdrehen (“Staccare la spina di Tesla”, una coalizione di cui fa parte Natur und Landschaft in Brandenburg).
Anche se, forse, in un primo tempo si credeva di intravedervi una possibile, piccola vittoria (o perlomeno una “tregua”), conseguita dopo “anni di proteste, centinaia di manifestazioni, di azioni intense [compresi i tentativi di invadere i cantieri] contro gli effetti nocivi dell’azienda automobilistica sull’ambiente e sulla salute”. Inoltre nella foresta – sempre naturalmente – era sorta una zad (dal francese zone à défendre).
Del resto i dubbi sui reali propositi di Tesla erano legittimi. Come mai, per esempio, nella foresta proseguivano le bonifiche di sminamento alla ricerca degli ordigni risalenti alla seconda guerra mondiale? Alquanto improbabile che si trattasse di preoccupazione per la salute degli abitanti.
Per cui, affermavano ancora in agosto gli ecologisti con una buona dose di preveggenza, ”non lasciamo la presa e continueremo a lottare”.
Infatti ora il progetto è ripartito alla grande e così anche la resistenza ambientalista si è dovuta attrezzare per il nuovo livello si scontro.
Dal pomeriggio del giorno 9 ottobre tre militanti, vestiti di nero e dal volto coperto, hanno occupato per 21 ore una macchina escavatrice bloccando i lavori di movimento terra. Già in precedenza nell’area interessata erano stati abbattuti diversi alberi in preparazione di una stazione ferroviaria (per le merci) e per l’ulteriore espansione del polo logistico della mega fabbrica. Mentre una sezione speciale di polizia cercava invano di sloggiare i tre attivisti con una piattaforma auto-elevatrice (operazione difficoltosa e non scevra da pericoli a causa del suolo molle, morbido della foresta), altri manifestanti, bersagliati dalla polizia con spray al peperoncino, tentavano ripetutamente di superare le recinzioni del cantiere per raggiungerli.
Stando alle notizie d’agenzia, uno dei tre (forse per accordi presi in precedenza, così da poter fornire una versione autonoma della vicenda) avrebbe lasciato volontariamente la postazione e per ora non sarebbe indagato, mentre gli altri due venivano arrestati.
Per quanto ci riguarda, visto e considerato il buon livello dei rapporti (al netto del gossip) tra Elon Musk e l’attuale presidente del Consiglio dei ministri, la vicenda di Grünheide potrebbe costituire un segnale premonitore: non sia mai che Elon Musk sbarchi (o meglio atterri) anche qui per traghettarci verso la presunta “energia sostenibile”. Magari a spese di qualche habitat nostrano non ancora completamente degradato.