Bambini in carcere nel Queensland (soprattutto aborigeni)

Cosa nota, ma da ribadire: per gli aborigeni australiani l’arrivo dei coloni europei fu un evento non solo devastante ma apocalittico. Da fine del mondo, o almeno del loro mondo.
Ai nostri giorni, come denunciava un rapporto di Survival International, “gli aborigeni hanno 6 volte più probabilità di morire in età infantile rispetto agli altri cittadini australiani e 22 volte più probabilità di morire di diabete. La loro aspettativa di vita alla nascita è di 17-20 anni inferiore a quella degli altri australiani” (si legga Il progresso può uccidere).
Un inciso sul diabete: è un effetto collaterale (ma poi neanche tanto collaterale) della perdita, insieme alla terra, delle fonti tradizionali di nutrimento. E del conseguente impatto con altri cibi (zucchero, farina raffinata junk food) oltre che della diffusione dell’alcol, “anestetico” dei poveri e dei colonizzati. Forse se la passano leggermente meglio quanti hanno potuto rimanere nelle terre ancestrali – pur essendo le meno fertili e salubri – che in media vivono “dieci anni di più”.
Difficile stabilire quanti fossero prima della colonizzazione: tra i 300 e i 700mila, si presume, centinaia di gruppi autonomi di cacciatori-raccoglitori parlanti un insieme di 400 lingue diverse. L’arrivo dei bianchi britannici nel 1788 coincise con il diffondersi di nuove malattie (varicella, influenza, morbillo, vaiolo) che contribuirono a trascinarli in un rapido declino: una riduzione del 90% tra il XIX e il XX secolo.
Fino alla “soluzione finale”, condotta con centinaia di massacri pianificati. In buona parte per mano delle forze governative, il resto opera dei coloni (ma con la tacita approvazione delle autorità). L’ultima “spedizione punitiva” conosciuta, quella di Coniston, si svolse tra il 14 agosto e il 18 ottobre 1928 (cioè in pieno XX secolo).
In base ai dati forniti dal progetto Colonial Frontier Massacres Digital Map, si apprende che “le morti di aborigeni furono da 27 a 33 volte più numerose di quelle dei colonizzatori: furono uccisi tra 11mila e 14mila aborigeni, e soltanto da 399 a 440 colonizzatori”. Talvolta si trattava di rappresaglie sproporzionate (degne dei nazisti) per l’uccisione di un colono o per un furto di bestiame. Altre semplicemente per “dar loro una lezione” o comunque toglierli di mezzo, costringendo i superstiti ad andarsene altrove. Ricorrendo persino all’avvelenamento dell’acqua e del cibo.
Con la diffusione dei grandi allevamenti, antica piaga della “civilizzazione”, bambini e giovani aborigeni divennero potenziale forza lavoro a buon mercato come mandriani, anche riducendoli in schiavitù. Da cui la separazione forzata dalle famiglie, veri e propri sequestri di persona.

Attualmente la situazione dei minori di origine indigena non è poi di tanto migliorata. Se si considerano i dati del Cleveland Youth Detention Centre di Townsville, i bambini aborigeni costituiscono il 95% dei detenuti. Conseguenza delle condizioni di indigenza, emarginazione, subalternità in cui versano le loro comunità.
In questi giorni molte organizzazioni di difesa dei diritti umani e dei popoli (come il Centro giuridico indipendente dei diritti dell’uomo d’Australia) protestano per la nuova legge approvata il 12 dicembre nel Queensland che consente, “per sradicare la criminalità infantile e ristabilire la sicurezza”, la carcerazione di bambini di dieci anni. La nuova legislazione riguarderà tredici gravi violazioni del codice penale, dalla guida pericolosa all’omicidio, e comporterà le stesse pene – con un identico numero di anni – inflitte agli adulti condannati.
Anche se, bontà loro, l’amministrazione del primo ministro conservatore David Crisafulli ha ammesso che tale norma era “incompatibile con i diritti umani”. Inoltre costituisce una “violazione di numerose disposizioni internazionali” e consente di aggirare una legge australiana del 2019 sui diritti umani; decidendo comunque di procedere, sapendo di avere il sostegno anche dell’opposizione di centro-sinistra.
Stando ai dati ufficili, il numero dei bambini-ragazzi delinquenti (dai 10 ai 17 anni) era cresciuto in un anno del 6% (giugno 2022-giugno 2013). Facile previsione: a venir rinchiusi nelle case di sorveglianza e nei riformatori saranno soprattutto i giovanissimi aborigeni, provenienti da una popolazione il cui tasso di carcerazione è alquanto superiore a quello dei discendenti dei colonizzatori.
Il portavoce del Centro giuridico indipendente dei diritti dell’uomo d’Australia si dice convinto che non è questo il modo di “risolvere le cause profonde della criminalità giovanile: povertà, razzismo, traumatismi intergenerazionali, scarso accesso ai servizi sanitari e di sostegno…”
Per la presidente del Comitato dei diritti per l’infanzia onusiano, Ann Skelton, le “circostanze eccezionali” evocate dal governo non giustificano una “evidente violazione dei diritti dell’infanzia”, aggiungendo che “non è così che si renderà più sicuro il Queensland”.