Nonostante lo sbandierato cessate-il-fuoco mediato dalla coalizione internazionale (sostanzialmente dagli usa) tra fds e compagine turco-jihadista (vedi sna), il 15 dicembre l’esercito turco ha bombardato la centrale elettrica di Til Temir nel cantone di Cizîr, nord-est della Siria, lasciando l’intera zona senza elettricità.
Continua intanto la veglia sulla frontiera tra Nusaybin (provincia di Mardin, Turchia) e Qamishlo (nel distretto omonimo, in Siria), risposta pacifica alle brutali operazioni militari di Ankara e bande affiliate (sna) contro il Rojava. Tra i manifestanti che chiedevano sia la fine della guerra contro i curdi sia la liberazione di Ocalan, alcune “Madri per la Pace” (tra cui Gurbet Tekin), esponenti politici, familiari dei prigionieri politici, lanciando slogan come “Bijî berxwedana Rojava”, “Bedengî mirinê berxwedana jiyanê”, “Rojava halki yalniz degildir”. Oltre a quello, immancabile e ormai storico: “Jin Jiyan Azadî”.
Evidentemente di diverso avviso le bande del cosiddetto Esercito nazionale siriano (sna, proxy di Ankara) che in contemporanea bloccavano al ponte di Qereqozaq un convoglio formato da dieci autobus e sei ambulanze inviati per l’evacuazione umanitaria dei civili da Manbij (sempre nel quadro degli accordi di cessate-il-fuoco).
Nel frattempo l’opinione pubblica si interrogava se il nuovo potere insediato a Damasco introdurrà o meno l’obbligo del velo. Anche se non è il caso di fare dell’ironia (il valore simbolico delle norme non va sottovalutato), forse sarebbe il caso di occuparsi della liberazione delle donne yazidi ancora segregate, imprigionate, schiavizzate (con o senza velo) a Idlib nella Siria nord-occidentale. Lì dove al-Jolani governava fino a pochi giorni fa. Oltre naturalmente alla incombente pulizia etnica pianificata da Ankara in Rojava.
Tra amenità sul nuovo look di al-Jolani (in effetti ricorda il giovane Fidel Castro, sarà un caso?) e nuove occupazioni israeliane nel Golan, c’è anche chi si interroga mettendo in guardia sulla concreta possibilità di una ripresa generalizata degli scontri armati su tutto il territorio siriano (e non solo nel nord-est dove non si sono mai spenti).
Timori per le minoranze
Timori per le minoranze da parte di una ong siriaca (European Syriac Union, fondata nel 2004), la quale, analizzando la situazione politico-militare (definita “molto critica”) creatasi nella Siria del dopo-Assad, invita la comunità internazionale a “esercitare una pressione sui gruppi salafiti impedendo una nuova ondata migratoria e la ripresa della guerra civile”. Constatando che la vittoria dei gruppi jihadisti è il risultato “sia del vuoto di potere sia degli errori dell’opposizione”, esprime il fondato timore che la Siria potrebbe semplicemente “regredire di oltre 50 anni”.
Parlando anche pro domo sua, la ong denuncia i rischi che corre non solo la comunità siriaca in quanto cristiana, ma anche quelle di curdi, yazidi, drusi e musulmani laici. Senza dimenticare la più esposta, quella delle donne. Auspicando la costituzione di un “governo inclusivo” che possa soddisfare le esigenze di tutta la composita, multietnica società siriana.
E la Russia cosa fa?
Non è chiaro al momento. Stando a quanto diffuso da un sito curdo (lekolin.org), Mosca avrebbe assunto un ruolo ambiguo: quello del “guastafeste”, in sintonia con l’alleato-concorrente di Ankara, con cui avrebbe concordato azioni congiunte nelle riunioni tenute alla base aerospaziale di Khmeimim (dove entrambe addestrano le proprie truppe). Lo scopo, impedire un possibile avvicinamento, un riconoscimento reciproco tra l’aadnes e il nuovo governo di Damasco.
In un comunicato, lekolin org sostiene che a Khmeimim “Russia e Turchia hanno creato una camera di riunioni dell’intelligence comune. I servizi segreti turchi (mit) condividono tutte le informazioni su hts in loro possesso con la Russia, mentre la Russia in cambio condivide con la Turchia le sue informazioni sull’amministrazione autonoma del nord e dell’est della Siria e sulle fds”.
Ovviamente alla Turchia interessavano e interessano soprattutto notizie in merito alla dislocazione delle forze fds a Manbij, Kobanê, Raqqa et Deir ez-Zor (in vista dell’assalto finale al Rojava), fornendo in cambio a Mosca informazioni sulle strutture di hds a Idlib e Aleppo.
Inoltre Ankara avrebbe chiesto a Mosca di riesumare le “cellule dormienti” del regime Baas e – grazie all’addestramento dei servizi segreti russi – rimetterle in campo per alimentare le ostilità tra tribù arabe e curde nelle regioni di Hassakê e Raqqa. Vedi i recenti disordini a Raqqa del 12 dicembre, quando uomini armati hanno aperto il fuoco tra la folla in piazza al-Naim (anche se non si esclude l’intervento di altre “cellule dormienti” finora relegate nel deserto e ora risvegliate per l’occasione: quelle dell’isis).
Un ottimo pretesto per giustificare l’invasione del Rojava direttamente da parte della Turchia. Tra l’altro in questi giorni viene confermata la presenza alla frontiera con Kobanê di centinaia di altri mercenari (ex membri di Daesh guidati da Abu Fetih e addestrati per un anno in Turchia). Presumibilmente con il compito di infiltrarsi nella regione di Kobanê, Raqqa et Deir ez-Zor per operare contro le fds, come ha più volte denunciato il comandante delle sdf Mazloum Abdi.
Parola di jihadista…
Volendo poi a tutti i costi essere un tantino ottimisti (e vedere il “bicchiere mezzo pieno”), andrebbero riportate le ultime dichiarazioni di Abu Muhammad al Jolani (in un video diffuso da Sky News Arabia) sui curdi, i quali farebbero “parte della patria”. Per il capo finora indiscusso di Hayat Tahrir al Sham, nella Siria di domani a tutti sarà consentito “vivere insieme secondo la legge”. Ha inoltre riconosciuto che “la popolazione curda è stata sottoposta a grandi ingiustizie”, per cui “se Dio vuole, nella prossima Siria, i curdi saranno fondamentali. Vivremo insieme e tutti otterranno i loro diritti per legge. Non ci saranno più ingiustizie contro il popolo curdo”. Inoltre “cercheremo di riportare i curdi, parte integrante del tessuto sociale siriano, nelle loro zone e nei loro villaggi”.
Per rassicurare il suo sponsor turco, ha poi insistito su quella che a suo avviso sarebbe una “grande differenza tra la comunità curda in Siria e il partito dei lavoratori del Kurdistan”, il pkk.
Quanto al futuro politico complessivo della Siria, per il leader di hts “la forma dell’autorità sarà lasciata alle decisioni di esperti, giuristi e del popolo siriano”.
In Siria, aveva proseguito, “saranno organizzate elezioni libere ed eque. Lavoriamo per formare comitati specializzati per riesaminare la costituzione, in modo da garantire giustizia e trasparenza”, in vista di una “soluzione globale per tutte le fazioni armate e nessuna arma sarà consentita al di fuori del quadro dell’autorità dello Stato siriano. Questo approccio riflette il nostro impegno a ripristinare la stabilità e a estendere la sovranità dello Stato sull’intero territorio”.
Che poi ci sia da fidarsi, questo è un altro paio di maniche.
Per concludere, sarebbe in gran parte completata l’entrata in Iraq attraverso il valico di frontiera di al-Qaim di centinaia di soldati siriani in fuga, avvenuta con il consenso delle autorità irachene e con la collaborazione delle fds.