Strumentalizzano le popolazioni tribali?

Donna di etnia kutia-kondh.

Mentre di regola in India le popolazioni originarie (adivasi) subiscono l’oppressione e le deportazioni governative, in Assam – pare – si vorrebbe armarle in una prospettiva settaria (divide et impera).
Già nel 2010 la corte suprema dell’India emetteva un ordine di espulsione nei confronti di circa 8 milioni di persone. Mentre il governo di Narendra Modi (Bharatiya Janata Party, ||bjp|) tentava di far adottare emendamenti e leggi per consentire ai rangers… detto senza eufemismi… di aprire il fuoco contro gli adivasi nelle aree forestali, svuotando a livello legislativo il Forest Rights Act. E mentre la creazione di un registro nazionale dei cittadini e una legislazione discriminatoria (sempre senza aufemismi) in campo religioso, rischiava di trasformare gli adivasi in “apolidi” in casa loro.
Persino la sacrosanta difesa delle ultime tigri può diventare il pretesto per deportare le popolazione autoctone.

Il caso Assam

Ma, come per l’indipendentismo anche qui talvolta si applica la “geometria variabile”. Sembrerebbe questo il caso dell’Assam, Stato nord-orientale dell’India, dove il governo locale (e in particolare il ministro dell’interno Himanta Biswa Sarma, del ||bjp|) ha ventilato la possibilità di concedere solo ai nativi il porto d’armi (“licenze per armi da fuoco alle popolazioni indigene in aree vulnerabili”). Ufficialmente per autodifesa, per ragioni di sicurezza
Per l’opposizione invece si tratterebbe di una misura settaria su basi etniche che porterebbe alla formazione di vere e proprie milizie, esasperando ulteriormente le tensioni già esistenti con la popolazione musulmana. Come sta già avvenendo nello stato confinante di Manipur dove periodicamente esplodono conflitti armati tra kuki e meitei.
Anche perché, come denunciava “The Wire”, Sarma non sarebbe nuovo a queste operazioni. Già quando era un esponente dell’opposizione con il Congress aveva tentato di utilizzare i conflitti etnici tra autoctoni assamesi e coloro che – talvolta impropriamente – vengono definiti “migranti bengalesi” (provenienti dal Bangladesh e in gran parte di religione islamica), ma pensando alla propria carriera politica, per ottenere i voti delle comunità indigene.
Oggi evidentemente ci riprova, utilizzando la medesima retorica, da membro del ||bjp|. Non tanto, si presume, per rispetto della cultura e identità tribale, ma prosaicamente in vista delle elezioni del 2026. Sarma giustifica tale “concessione selettiva” in quanto “la gente si sente indifesa, e spesso i centri di polizia più vicini sono troppo lontani”.
Non casualmente i cinque specifici distretti in cui la misura verrà applicata sono zone a prevalenza musulmana.