La frammentazione della ex Unione Sovietica in vari Stati (più o meno sovrani) ha prodotto negli ultimi decenni, come ben sappiamo, anche alcune “isole” alla deriva, in particolare a ovest, cioè nel territorio europeo, dove nel frattempo l’Unione Europea cercava di espandersi in seguito alle prime richieste di ammissione di alcuni Paesi subito sfuggiti al controllo di Mosca, come Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, eccetera.
A questo contesto appartiene la Repubblica di Moldova, costituitasi come Stato indipendente nel 1991 – forse nota ai più come Moldavia – il cui territorio appare come un’ampia fascia di terra racchiusa tra la Romania e l’Ucraina, ma senza sbocco sul vicino mar Nero. Si tratta di un territorio con una popolazione che condivide con la Romania la lingua ufficiale (il romeno, di origine neolatina) e in parte il nome stesso, dato che la Moldavia storica è oggi divisa tra il nuovo Stato ex sovietico e la Romania, la cui estrema provincia orientale si chiama appunto Moldavia. Ecco perché la nuova entità ha dovuto modificare il proprio nome in Moldova.
Al suo interno la popolazione è ampiamente divisa tra coloro che vogliono tagliare definitivamente il cordone ombelicale con Mosca, aderendo all’ue e anche alla nato (se non addirittura riunendosi in federazione con la stessa Romania), e quanti invece vogliono a tutti i costi il riavvicinamento alla Russia putiniana.
Per di più la Moldova ha già subìto, proprio al momento della sua indipendenza, una breve ma sanguinosa guerra civile nella sua regione più orientale, la Transnistria, una strettissima striscia di terra a est del fiume Dniestr con capoluogo Tiraspol, dove risiede un’ampia percentuale di popolazione slava prevalentemente russofona. Grazie all’immediato intervento militare russo a sostegno delle forze indipendentiste locali, nel 1992 la Transnistria ha a sua volta proclamato l’indipendenza dalla Moldova denominandosi Repubblica Pridnestrovie, anche se questo passo è stata riconosciuto finora solo dall’Abcazia e dall’Ossezia del Sud, entrambe regioni separatiste della Georgia (a sua volta ex repubblica sovietica) e anch’esse autoproclamatesi repubbliche indipendenti con l’appoggio della Russia, sebbene mai riconosciute al pari della Transnistria come Stati indipendenti da altri Paesi.
Ma quello della Transnistria è solo uno dei due territori della Moldova popolati da minoranze etniche indipendentiste. Ne esiste un altro a sud del Paese, la Gagauzia, il cui capoluogo è Comrat. Qui vive una popolazione in maggioranza turcofona, i gagauzi, che ha preferito in questi anni non ostentare mire secessioniste come la Transnistria ma, con l’appoggio della diplomazia turca, ha chiesto e ottenuto un’ampia autonomia amministrativa locale dal governo di Chișinău, la capitale moldava. Ma anche qui, per quanto profondi siano i legami della popolazione con la Turchia, gran parte dei politici locali di fatto guardano anche (o soprattutto) a Mosca nel tentativo di evitare quello che considerano l’abbraccio definitivo con un occidente di cui non sembrano fidarsi e verso il quale hanno molte più riserve di quanto non ne nutrano le altre regioni della Moldova.
La storia e il territorio
È possibile affermare che i gagauzi sono i lontani eredi di tribù turco-selgiuchide che giunsero nella regione a nord del Mar Nero intorno al ‘400, occupandola e facendola divenire ben presto una delle province dell’impero ottomano. Fino a quel momento tutta l’area oggi della Moldova era controllata da un principato di fatto rumeno che si era trovato un secolo prima ad affrontare un’altra invasione, quella mongola.
Quando i russi, alcuni secoli dopo, iniziarono la loro guerra contro gli ottomani, la popolazione turca residente da ormai tre secoli nella zona iniziò a fuggire riparando verso sud e verso il territorio caucasico. Per non spopolare del tutto le terre, tuttavia, i russi proposero alla popolazione turca un’alternativa: convertirsi al cristianesimo (ortodosso) abiurando l’islam. Alcuni accettarono il compromesso, ed è così che i gagauzi, rimasti nelle loro terre, sono di fatto gli eredi di quei turchi cristianizzati.
Pertanto, i gagauzi hanno la particolarità di “sentirsi” turchi ma in obbligo con i russi che li salvarono dalla deportazione, russi ai quali li lega indissolubilmente la fede cristiana ortodossa. D’altronde, la loro storia “nazionale” ha di fatto inizio appena nel 1812, quando la Bessarabia passò dal principato di Moldavia all’impero russo in seguito alla sconfitta degli ottomani nella guerra russo-turca che aveva avuto inizio nel 1806.
Oggi quel territorio di circa duemila chilometri quadrati, poco più della metà della Valle d’Aosta, facente parte della Moldova ma sviluppatosi in modo sempre diverso dal resto del territorio moldavo tutt’attorno ai villaggi storici di Comrat, Avdarma, Cișmichioi, Congaz e Tomai, è abitato solo da centocinquantamila persone, peraltro in costante diminuzione da anni (all’inizio del nostro secolo erano oltre duecentomila).
Si tratta di un territorio poverissimo, ancor più di quello moldavo nel suo complesso. Qui sembra che la vita scorra come nella vecchia Unione Sovietica, con carri trainati da asini e muli che percorrono le malmesse strade di campagna, e edifici di stile sovietico in cemento e alluminio che pullulano nelle periferie delle pochissime città, come Comrat, il capoluogo, che conta ventimila residenti. La desolazione è interrotta nei pochissimi centri più grandi soltanto da qualche palazzo governativo in stile “sovietico imperiale”, da qualche statua di Lenin o da un monumento ai soldati dell’Armata Rossa, che ancora resistono imperterriti al fluire del tempo; e da qualche cupola sacra, come quelle dorate della cattedrale ortodossa di san Giovanni Battista che si stagliano sulle modeste e spesso bruttissime costruzioni di Comrat.
La lingua rumeno-moldava parlata nel resto del Paese è qui assente nelle comunicazioni ufficiali, di fatto solo formalmente presente in alcuni documenti a doppia lingua, ma quasi del tutto scomparsa nell’abituale locuzione della popolazione. Essa è rimasta ancorata al russo e talora persino ai suoi caratteri cirillici (che lo Stato moldavo aveva rinnegato subito dopo la conquistata indipendenza da Mosca) forse più ancora della lingua di origine turca che viene parlata a livello familiare da una gran parte della popolazione, ma che ha iniziato a perdersi nelle nuove generazioni.
In sostanza, soltanto metà – o poco più – della popolazione della Gagauzia usa abitualmente il dialetto turco che storicamente si parlava da queste parti dopo l’invasione ottomana, mentre non è mai cessato il legame anche linguistico con Mosca, nonostante la presenza del tutto minoritaria di popolazione slava (a differenza quindi della Transnistria dove gli slavi sono maggioranza).
Quello con Mosca e con la Russia appare un po’ ovunque un legame ancora attuale, anche se sembra vivere quasi di rendita o di ricordo per ciò che era in passato l’Unione Sovietica, con lo Stato che pensava a tutto; quindi è come se si trattasse di un rapporto che ha alle spalle una sorta di intramontabile affetto per quel mondo sovietico del passato, che si sa tramontato ma viene ancora visto alla stregua di un paradiso perduto.
Anche a questo si deve sicuramente la predilezione per l’uso della lingua russa al posto del moldavo (che è un dialetto rumeno), comunque rimasto sulla carta come lingua ufficiale anche di questa regione; con la conseguenza che anche gli organi di stampa, le radio e le televisioni locali, che usano il russo e i caratteri cirillici, con i loro contenuti possono continuare a modellare “il sentire comune della popolazione, divulgando idee politiche in forte opposizione con il governo centrale di Chișinău e raccontando la cronaca internazionale da una prospettiva sbilanciata verso est”. In questo contesto, diventa chiaro perché praticamente tutti “i politici locali rappresentano plasticamente la sinfonia monocorde dell’infosfera gagauza”. 1)
L’attuale caos sociopolitico
Ne sono riprova le ultime votazioni svoltesi per l’elezione del nuovo Başkan, il governatore regionale, nelle quali si sono sfidati otto candidati, tutti però in netta contrapposizione con il governo e i progetti europeisti di Maia Sandu, presidente della Repubblica di Moldova dal 2020. Il risultato finale ha visto prevalere la frangia filorussa più estremista, e a vincere le elezioni è stata Yevgenia Gutsul, membro del partito fondato dall’oligarca Ilan Shor, condannato per frode e riciclaggio, latitante in Israele e fedelissimo di Vladimir Putin.
Sarà un caso, ma il 25 marzo 2025 la Gutsul è stata arrestata per i medesimi reati, oltre che per frode elettorale, dalle autorità statali nella capitale moldava quando si trovava all’aeroporto internazionale di Chișinău pronta a partire per Istanbul. E ovviamente il suo arresto ha provocato una forte reazione in Gagauzia, dove si teme che una possibile condanna (considerata pilotata) porterebbe alla sua decadenza e all’indizione di nuove elezioni, se non all’intervento diretto di Chișinău nel governo della regione. 2)
In mezzo alle crescenti tensioni tra il governo centrale moldavo e la regione autonoma (e sempre più autonomista) della Gaugazia, la Russia sembra giocare una partita sottile: non interviene direttamente, ma protegge le fazioni filorusse della regione sempre più apertamente lontane dalle logiche politiche di Chișinău. E “mentre l’Europa a Bruxelles resta di fatto silente, Mosca guadagna consenso tra le minoranze e costruisce la narrativa del ‘pericolo occidentale’ che schiaccia le identità locali […]. La Gagauzia, dunque, non è solo una regione dimenticata: è un laboratorio per capire come Mosca esercita influenza senza carri armati, ma con reti economiche, alleanze personali e una propaganda calibrata sul risentimento”. 3)
Ulteriore testimonianza di questa contrapposizione politica tra il governo centrale e quello autonomista regionale, oltre che del chiaro nazionalismo filorusso di quest’ultimo, è la presenza della bandiera della Gagauzia, accanto a quella moldava negli edifici pubblici e spesso a sé stante un po’ dappertutto, anche sui balconi delle case.
La bandiera è costituita da tre bande orizzontali: in alto blu, colore che richiamerebbe l’origine turca della popolazione; al centro bianca, il colore utilizzato dalle popolazioni turche per rappresentare anticamente l’occidente; e in basso rossa, simbolo di coraggio e determinazione. Nella banda superiore, la più larga delle tre a coprire il 60% della superficie totale della bandiera, si trovano a sinistra tre stelle dorate, simbolo del passato, del presente e del futuro dei gagauzi.
Tale almeno è il significato che alla bandiera danno i documenti ufficiali, ma non è così difficile capire che i tre colori scelti dai gagauzi sono gli stessi di quelli presenti nella bandiera russa, anche se in quel caso le bande orizzontali sono di uguale dimensione e il bianco e il blu sono invertiti nell’ordine.
Se quindi la Gagauzia continua a guardare a Mosca, al contrario la strategia di Maia Sandu va nella direzione diametralmente opposta, prevedendo sempre più esplicitamente la potenziale riunificazione dell’attuale Moldova alla parte moldava della Romania, e quindi di fatto l’unione federale alla repubblica di Romania, come già detto.
Una riprova che le due parti vanno in direzioni opposte è anche evidente nella lingua: all’inizio del 2023 il governo centrale di Chișinău ha promulgato una legge che cancella la dicitura “lingua moldava” dalle comunicazioni ufficiali, sostituendola con l’espressione “lingua rumena”: un atto apparentemente formale, ma che riafferma sostanzialmente le radici storiche, culturali e linguistiche comuni tra i due Stati e i due popoli. Da ciò i gagauzi non possono che chiamarsi a maggior ragione fuori, anche se poi tra le loro rivendicazioni di fatto sembra che finora – o meglio fino al momento dell’arresto della governatrice Gutsul – a prevalere sia un formale bilinguismo che lascia però fuori il rumeno, cioè la malvista lingua “statale”, in favore del loro dialetto turco nell’uso quotidiano e familiare, affiancato al russo tanto caro dell’epoca sovietica usato per le comunicazioni burocratiche e ufficiali.
Capovolgendo quindi la situazione e il sentimento politico prevalente, quello moldavo viene visto tra i gagauzi come un nazionalismo per di più “straniero”, e questo li unisce di fatto ai pochi slavi ancora presenti sul “proprio” territorio (ucraini e russi).
“Hanno già provato a cancellarci dalla storia negli anni ‘40, poi ancora negli anni ’90, e oggi nuovamente. Vogliono costringerci ad abbandonare la nostra memoria collettiva e a farci usare una lingua che non ci appartiene”. A parlare così, in un’intervista rilasciata a Gianluca Pardelli, è Anna Zhekova, una delle personalità più rilevanti della cultura gagauza, impegnata da sempre a divulgarla e a preservarla. 4) Nata a Comrat nel 1939, la Zhekova ha assistito, anche se in tenera età, all’occupazione nel 1940 della sua patria da parte dei nazisti e dei loro alleati rumeni, prima del trionfo sovietico alla fine della guerra e dell’incorporazione dell’attuale Moldova nell’urss con la denominazione di Moldavia.

Negli anni ‘70 ha così contribuito a lanciare la prima rivista di approfondimento politico nazionale, in linea con le politiche del socialismo reale, e da allora ha continuato a fare attivismo in forma concreta prorussa, pur essendo considerata la più importante figura di intellettuale gagauza. Per questo, davanti al crollo del comunismo e alla deriva moldava verso occidente, facendosi portavoce del malessere del popolo gagauzo, è da tempo impegnata nella stesura di un libro di memorie in cui i ricordi personali si intrecciano alla storia del suo popolo.
Economia ridotta all’osso
Se la Moldova è un Paese molto povero (il suo pil pro capite risulta di 2500 dollari annui, con un’economia per di più aggravata da tassi di inflazione di poco inferiori al 30% annuo), ancor più povera è la Gagauzia: questo non fa altro che favorire ancor più il tasso di emigrazione dei giovani che cercano fortuna altrove e, in parallelo, l’aumento dell’età media della popolazione.
Secondo una dichiarazione rilasciata dalla nuova governatrice della regione poche settimane prima dell’arresto, si fa il possibile per aiutare i giovani, ma – affermava – non riceviamo abbastanza fondi dal governo centrale di Chișinău; quindi siamo fortunati ad avere dei Paesi amici che ci aiutano a sviluppare la nostra economia anche sotto forma di progetti specifici. Il riferimento è chiaramente alla Russia, ben più che alla Turchia (che comunque non ha mai perdonato ai gagauzi la loro antica abiura dell’islam), anche se alcuni aiuti giungono proprio dalla Turchia o da altri Paesi turcofoni del Caucaso, come l’Azerbaijan.
Ma se l’economia non riesce a decollare in Moldova, è ancora più complicato e difficile che possa farlo nella più povera Gagauzia. Qui il pil è legato di fatto alla sola produzione agricola (grano, semi di girasole, vini), ma con metodi tipici di un secolo fa, e a qualche forma di “artigianato industriale”, come quello legato alla produzione di tappeti di lana, usati in ogni famiglia (anche le più povere) sia per coprire il pavimento sia per decorare le pareti, ancora oggi prodotti a mano sugli antichi telai con una tecnica particolare detta “scoarta” (come accade anche nel resto della Moldova), con colori vivaci e raffigurazioni geometriche o figurali.
Dal canto suo l’Unione Europea, pur avendo iniziato a finanziare qualche progetto di ammodernamento in Moldova, grazie al programma “Misure di rafforzamento della fiducia”, non sembra essersi mai interessata più di tanto alla regione ribelle e palesemente filorussa della Gagauzia, dove l’unico progetto finanziato in questi ultimi anni è stato il restauro di un tradizionale mulino a vento in legno di metà ‘800 nel villaggio di Gaidar, che è stato quindi aperto al pubblico trasformandolo in attrazione turistica, ma ovviamente con scarsissimi ritorni concreti per la popolazione locale.
Ecco le ragioni per cui il futuro da queste parti rimane un’incognita: perché se gli anziani hanno delle radici e una lingua in cui riconoscersi, i giovani invece tendono a parlare ormai soltanto il russo e sono attratti dalla vita moderna e dalle mode, magari anche da quella occidentale, seppur da una prospettiva diversa. In questo clima, persino di figli in Gagauzia se ne fanno sempre meno proprio a causa della povertà generale e del tasso di emigrazione che continua a crescere di anno in anno. Tutto ciò non fa altro che alimentare il malcontento della popolazione, sicché la situazione sembra davvero senza una vera via d’uscita.
La questione (tutta politica) della lingua
Un cenno, a questo punto, lo merita la lingua “autoctona” dei gagauzi, appartenente al gruppo delle lingue altaiche e al sottogruppo delle turche meridionali. Una lingua che, a seconda delle epoche storiche, ha adattato la sua scrittura all’alfabeto cirillico o a quello latino; ragione per cui in questo momento – nonostante la Moldova utilizzi solo quello latino, anche per segnare ulteriormente la sua distanza da Mosca – in Gaugazia si assiste a un revival del cirillico.
Ufficialmente l’alfabeto gagauzo moderno, in linea con quello turco, è comunque basato sui segni grafici dell’alfabeto latino, con trentuno lettere: aA, äÄ, bB, bC, çÇ, dD, eE, êÊ, fF, gG, hH, ıI, iİ, jJ, kK, lL, mM, nN, oO, öÖ, pP, rR, sS, şŞ, tT, uU, üÜ, vV, yY, zZ. Va precisato che “I” ed “İ” sono due lettere distinte: “I” è la forma maiuscola di “ı” (senza il puntino), mentre “İ” (col puntino anche nel maiuscolo) è la forma maiuscola di “i”.
Nell’alfabeto gagauzo non esistono invece la “q”, la “w” e la “x”, che sono traslitterate rispettivamente con la “k”, la “v” e il digramma “ks”.
Nonostante la lingua gagauza sia stata dichiarata lingua ufficiale della regione autonoma, né il governo centrale di Chișinău né le autorità locali di Comrat (cosa che desta meraviglia) hanno mai introdotto nel sistema scolastico locale questa lingua per l’insegnamento o per i libri di testo. La maggior parte delle scuole basa l’insegnamento sulla lingua russa proprio in contrapposizione al resto della Moldova, dove ovviamente l’istruzione è impartita in rumeno. E anche negli ultimi anni che hanno visto l’introduzione nel sistema scolastico superiore di ben quattro lingue (il russo, il rumeno, l’inglese o il francese a scelta, e il gagauzo), la lingua locale è rimasta comunque all’ultimo posto. Nessuno può quindi meravigliarsi se il suo uso nelle ultime generazioni si stia perdendo.
Per provare a ovviare a questa situazione, fortemente sbilanciata in favore di Mosca, il governo turco sta provando a correre ai ripari: nel capoluogo Comrat, ha finanziato la costruzione di un enorme centro culturale e turistico, e ha trasformato il suo piccolo consolato del passato in una struttura consolare di grandi dimensioni, seconda solo a quella della capitale moldava. E pure il nuovissimo stadio di calcio della cittadina è stato pagato dai turchi, giusto per ribadire quanto Erdoğan tenga a questo pezzo di terra vicina allo strategico mar Nero.
Fino a questo momento, tra lo zar Putin e il sultano Erdoğan, la grande assente rimane ancora l’Europa.
Tradizioni locali
Due piccoli musei consentono di entrare in contatto con la storia, la cultura e le tradizioni dei gagauzi.
Il primo si trova all’interno di un grande edificio di epoca sovietica che si affaccia sul principale viale del capoluogo Comrat, emblematicamente dedicato a Lenin: il Museo Storico Regionale. Fondato negli anni ‘70 del secolo scorso, è un museo variegato, di paleontologia e archeologia, di natura e storia, di arte, artigianato e manufatti etnografici, che si è a mano a mano ingrandito offrendo uno spaccato dell’affascinante confluenza di culture ed epoche che hanno plasmato la Gagauzia. Le sue collezioni sono ricche di reperti che spaziano dall’età del ferro alla metà del ‘900 mostrando anche i vari cambiamenti geopolitici del territorio, intrecciandoli in una narrazione più ampia della storia moldava e della storia dell’Europa orientale.
Per quanto riguarda la parte più squisitamente etnografica, che poi è anche la più interessante e significativa, sono esposti in vari saloni icone popolari e altri oggetti di arte decorativa e di artigianato, una ricca collezione di attrezzi agricoli, ricami e costumi della tradizione e ovviamente il vanto dell’artigianato locale, i tappeti.
Ma ancor più importante è il museo nato negli anni ’60 del secolo scorso nel villaggio rurale di Beșalma (quattromila anime a una ventina di chilometri a sud di Comrat) per iniziativa di Dmitrii Karachoban, scrittore e profondo conoscitore della cultura gagauza e del suo folklore, il quale ha dedicato tutta la sua vita a tramandare le tradizioni del suo popolo e divulgarle a chi non le conosceva. Qui hanno trovato posto centinaia di pezzi di cultura materiale e spirituale dei gagauzi, che sono la testimonianza degli oltre due secoli di storia di questo popolo. Si conservano libri e pubblicazioni di scrittori e poeti gagauzi in varie lingue (in particolare russo e turco), film d’epoca visibili in una piccola sala di proiezione presente nel museo, e poi circa settecento pezzi tra abiti tradizionali, strumenti agricoli e da lavoro di uso quotidiano, tappeti fatti a mano, e, tra gli oggetti sacri, anche una preziosa icona dell’800.

A gestirlo c’è anche la figlia del fondatore, Lyudmila Marin-Karachoban, che con poche parole di inglese prova anche a spiegare come vivevano abitualmente i gagauzi fino a pochi anni fa: le donne lavoravano al telaio d’inverno mentre d’estate fornivano il loro aiuto nei lavori agricoli e nell’allevamento degli animali dal cui latte si ottenevano i formaggi. Ogni casa aveva il suo forno-focolare-stufa dal duplice scopo: sfornare ogni settimana il pane, cuocere i cibi quotidiani e scaldare l’abitazione in inverno, con una doppia feritoia in modo da non propagare in estate il calore all’interno.
Si mangiava a terra, su un piccolo tavolo rotondo (retaggio delle tradizioni degli antichi popoli carovanieri delle steppe), e si aspettava sempre il capofamiglia prima di prendere posto per mangiare. Ogni famiglia cercava di vivere di quel che produceva e alcuni contadini più ricchi davano lavoro ad altri più poveri impiegandoli come braccianti, facendo tuttavia anche dei prestiti per consentirgli di acquistare a loro volta un terreno dove poter costruire la casa.
Tra le tradizioni più autentiche della Gagauzia è rimasta quella della cerimonia delle nozze. Al museo di Besalma si può vedere un filmato che riprende un matrimonio gagauzo tradizionale; sempre preceduto, almeno tre mesi prima delle nozze, da un’altra festa coincidente con il fidanzamento, a sua volta legato a un “protocollo” uguale da secoli: a chiedere la mano della sposa non è l’innamorato ma un amico del potenziale sposo, che si reca a casa del padre della ragazza a negoziare il matrimonio (e il legame che si instaurerà di fatto tra le famiglie); se la risposta è positiva viene subito organizzata una prima cerimonia che permette al futuro sposo di conoscere ufficialmente la ragazza e alle due famiglie di conoscersi vicendevolmente, trattando eventualmente la parte finale degli “accordi”.

Alla cerimonia di nozze partecipano poi amici e parenti dei due sposi che non portano di norma regali materiali, ma offrono a seconda delle loro possibilità dei soldi nelle mani della sposa quando questa passa a salutarli nel corso del banchetto nuziale, dopo il quale non possono mancare danze e balli a cui tutti partecipano, con l’accompagnamento di una piccola orchestrina se le famiglie possono permetterselo, o quanto meno al suono di una modesta fisarmonica, lo strumento principe della musica popolare da queste parti.
Se il matrimonio è la festa familiare più importante nel novero delle tradizioni gagauze, è Hederlez la principale festa legata al ciclo della natura, a simboleggiare il risveglio primaverile e l’inizio del pascolo del bestiame, una delle attività tradizionali più importanti della vita sociale di quest’angolo d’Europa. La festa di Hederlez ricorre a data fissa il 6 maggio, giorno in cui il calendario ortodosso ricorda san Giorgio il Vittorioso.
I preparativi per l’Hederlez iniziano con largo anticipo, poiché le famiglie gagauze puliscono e decorano meticolosamente le loro case. Il giorno della festa, le persone si riuniscono all’alba in un luogo all’aperto vicino a un fiume, una foresta o un luogo sacro e portano offerte di cibi tradizionali, tra cui pilaf, kebab, pane e vino rosso. La parte “pagana” dell’evento si lega tuttavia anche alle liturgie festive che si svolgono nelle chiese ortodosse di tutta la regione.

Ma l’epicentro delle celebrazioni è a Ceadir-Lunga, sede di un’antica scuderia, l’unica in realtà che si possa definire tale in tutta la Moldavia. La festa, infatti, prevede una fiera equestre con l’esposizione e la compravendita di animali della razza Orlov e una serie di competizioni equestri, dette Altyn At (cavallo d’oro), culminanti nelle gare di trotto, seguite dai presenti con un tifo da stadio.
Musica e danza svolgono un ruolo significativo nei festeggiamenti: canti e balli popolari riempiono l’aria, creando un’atmosfera gioiosa e vivace. Le sfilate nei costumi tradizionali, adornati con colori vivaci e ricami intricati, si aggiungono alle competizioni equestri e agli spettacoli anche improvvisati che mettono in mostra la sportività e l’abilità ginnica dei giovani gagauzi mentre gareggiano tra loro in incontri di lotta libera e in gare di tiro con l’arco.
Si dice che questo sia uno dei pochi momenti in cui probabilmente i gagauzi mettono da parte i loro risentimenti politici nei riguardi del governo centrale di Chișinău per mostrare con grande orgoglio persino la loro povertà economica, testimoni di una cultura storica unica che non deve andare perduta.

N O T E
1) Gianluca Pardelli, Gagauzia: un enigma politico, da “InsideOver”, febbraio 2025.
2) La Guțul ha subito inviato, tramite i suoi legali, due lettere al presidente russo Putin e al presidente turco Erdoğan chiedendo il loro intervento per liberarla, considerando il suo arresto e la sua detenzione come parte di una campagna volta a indebolire lo status giuridico speciale della Gagauzia e accusando il governo centrale di voler provocare una guerra civile nella regione. Ha motivato il suo discorso a Putin col fatto che la Russia è sempre stata garante della difesa dei diritti e degli interessi del popolo della Gagauzia; a Erdoğan ha invece chiesto di condannare pubblicamente le pressioni politiche sui gagauzi. La detenzione di Guțul è stata ampiamente riportata dalla stampa russa e commentata anche dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova e dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che hanno entrambi definito il caso “illegale”.
3) Giuseppe Gagliano, La Gagauzia e lo spettro russo, da “Notizie geopolitiche”, marzo 2025.
4) Op. cit.