Il Portogallo figura senz’altro tra i Paesi linguisticamente più omogenei del continente europeo, in quanto sul suo territorio – che accarezza gli 11 milioni di abitanti – si conta un solo idioma minoritario. Si tratta del mirandese, una lingua parlata nel nord-est del Paese, in una regione conosciuta come Tierra de Miranda situata a ridosso del confine con la Spagna. Tale varietà linguistica appartiene al ramo iberico della famiglia romanza, in particolare al sottogruppo asturiano-leonese, al contrario della lingua lusitana che – assieme al gallego e al fala – va ascritta alla categoria galiziano-portoghese.
Storicamente la situazione della Tierra de Miranda è stata di tipo diglossico, poiché gli abitanti – solitamente bilingui – ricorrevano al mirandese in situazioni informali, mentre il portoghese, unica lingua ufficiale, era impiegato nella pubblica amministrazione, nel sistema scolastico e nelle istituzioni ecclesiastiche. Inoltre molti residenti conoscevano anche il castigliano, data la prossimità al confine di Stato.
Per secoli, la sopravvivenza della parlata minoritaria è stata garantita dall’isolamento della regione: difatti, la carenza di infrastrutture rendeva poco frequenti le comunicazioni con i forestieri. La situazione cambiò nel corso del XX secolo, durante il quale la lingua portoghese espanse i propri domini di utilizzo a scapito del mirandese, che finì per essere ignoto alle generazioni più giovani.

Una ripresa recente

Il processo di sostituzione linguistica non ha una spiegazione monocausale; al contrario, l’evoluzione sopraccitata va imputata a un ventaglio di fattori.
Anzitutto, la diffusione di giornali, riviste, radio e televisioni – assieme all’apertura di collegamenti ferroviari – aumentarono i contatti con il mondo lusofono, riducendo il relativo isolamento che per secoli aveva caratterizzato la Tierra de Miranda. Inoltre, la costruzione dello sbarramento idroelettrico sul fiume Duro comportò l’immigrazione di numerosi lavoratori forestieri, i quali – inutile dirlo – conoscevano soltanto il portoghese, adoperato per interagire con gli autoctoni. Anche la scolarizzazione di massa giocò un ruolo notevole: gli insegnanti – oltre a incrementare la competenza nella lingua nazionale – invitavano alunni e genitori ad abbandonare il mirandese, in quanto secondo loro poteva ostacolare l’apprendimento degli studenti. Infine, va rammentato lo stigma sociale di cui era vittima l’idioma minoritario, considerato rozzo, volgare e appannaggio dei ceti sociali più bassi, quindi sacrificabile sull’altare del progresso socioeconomico.
Negli anni ’80 erano stimati 15.000 parlanti, scesi a 6000 secondo i calcoli più recenti, complici l’emigrazione e il calo di natalità. I locutori sono distribuiti in 23 insediamenti, dei quali 21 appartenenti al comune di Miranda do Douro e 2 a quello di Vimioso.

Dinanzi alla deriva linguistica, a partire dagli anni ’80 sono stati effettuati importanti sforzi per rivitalizzare il mirandese, nella speranza di salvaguardarne l’esistenza.
Nel 1985, infatti, il governo portoghese concesse un permesso speciale che consentiva il suo insegnamento facoltativo nelle scuole locali. Quattordici anni dopo, invece, l’idioma fu riconosciuto ufficialmente dallo Stato, che permise il suo utilizzo nella pubblica amministrazione e nella cartellonistica. Inoltre, dal 2001 è attiva l’Associazione della lingua mirandese, intesa a promuovere il patrimonio linguistico e culturale della Terra de miranda, in primis attraverso appositi corsi rivolti agli adulti.
Tali iniziative hanno comportato non solo una maggior presenza dell’idioma nello spazio pubblico, ma anche un cambiamento di prospettiva. Difatti, se fino a qualche decennio fa il patrimonio linguistico locale era ritenuto un’inutile anticaglia, un fattore di arretratezza, una scomoda eredità da dimenticare, attualmente è percepito come bene immateriale da conservare e di cui andare orgogliosi, in quanto parte integrante della cultura e dell’identità regionale.

Foto del titolo: suonatore di cornamusa della Tierra de Miranda (Direção Regional de Cultura do Norte).