I meravigliosi ornamenti di piume costituiscono per gli Indios un vero e proprio codice attraverso cui si esprime, con una varietà di messaggi inimmaginabile, la visione stessa del mondo: un’operazione rituale/culturale che la “civiltà” occidentale tende a soffocare e a distruggere.

“Presso i Kaingang come presso i Caduvei, i cui tuguri simili agli altri loro vicini attraggono l’attenzione soprat­tutto per un eccesso di miseria, la rea­zione iniziale è quella della stanchezza e dello scoraggiamento. Di fronte a una società ancora vitale e fedele alla sua tradizione, lo choc è così forte

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Copricapo da danza con piume di arara e tucano.
Tribù Javari-Kamaiurà del nord, ora estinta.

che si rimane sconcertati… : i corpi dei Bororo hanno una modellatura affinata e delle tonalità ravvivate dal brillare dei cosmetici e delle pitture, si direbbe uno sfondo destinato a mettere in ri­lievo ornamenti più splendidi: colori grassi e brillanti di zanne e artigli di animali selvatici, insieme con piume e fiori. È proprio come se una civiltà in­tera aspirasse con tenerezza appassio­nata alle forme, alle sostanze e ai colo­ri della vita…”1
Così Lévi-Strauss descrive in Tristi tropici il suo arrivo in un villaggio di indigeni appartenenti alla tribù dei Bororo. La miseria dei Kaingang e dei Caduvei, di cui parla l’autore, non è però solo una miseria economica, ma anche e forse soprattutto un immiseri­mento culturale. Tra le tribù integrate e avvicinate dalla società occidentale aleggia un’atmosfera che genera “stanchezza e scoraggiamento”, men­tre tra le altre si entra in un mondo vi­tale che, quasi per contrasto, appare e si manifesta attraverso una fantasma­goria di colori, attraverso gesti e sguardi che rivelano una perfetta inte­grazione con il mondo che li circonda. Già i primi europei che arrivarono in Brasile rimasero impressionati dalla bellezza dei loro ornamenti, che pare­vano raggiungere l’apice della magni­ficenza nel caso dei diademi plumari, ricercati addirittura dai re portoghesi. In effetti gli oggetti che gli indios fab­bricano con le piume presentano una varietà e una ricchezza tali da dar vita a una vera e propria “arte plumaria”: si tratta di ornamenti costruiti sia per decorare oggetti (pettini, armi, ma­schere, strumenti musicali…), sia co­me ornamenti corporei: diademi, bracciali, coprispalle, ghiere per la nu­ca, forcine per i capelli, visiere, orna­menti nasali e labiali, collane… Ma per ampliare ancor di più le loro possi­bilità decorative, le piume possono ve­nire applicate direttamente sul corpo; ad esempio gli indios della tribù Kayapò, in alcune occasioni, fissano fra i capelli le piccole piume bianche del Sarcorahamphus papa2.
Gli uccelli utilizzati sono moltissimi: ara, aironi, tucani, anitre, falchi ecc.; per avere sempre a portata di mano la materia prima delle loro opere i Bororo tengono perfino nei loro villaggi de­gli ara resi semidomestici, in modo da poterli periodicamente spiumare. Non contenti della molteplicità dei colori a loro disposizione (una varietà enorme di gialli, rossi, blu, neri, marroni, ro­sa, bianchi…), gli indios hanno anche inventato una tecnica, il tapirage, che consiste nello spennare un uccello vi­vo, spesso un pappagallo, e nel soffregarne la pelle con sostanze irritanti, in modo che le nuove piume crescano an­cora più variegate e screziate3.

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Maschera Ypé, Rio Tapirapé, Mato Grosso.

Tutta questa cura nella realizzazione di simili manufatti non dipende tanto dal piacere dell’abbellirsi e del decora­re, quanto piuttosto dal bisogno di differenziarsi dal mondo della natura attraverso un’opera di cultura. Mentre a noi gli ornamenti plumari appaiono belli solamente per la vivacità dei colo­ri, per l’originalità delle forme e degli accostamenti, per gli Indios invece essi sono belli in quanto li considerano una sorta di scrittura multicolore e multiforme. La loro bellezza non è muta, bensì trasmette una serie com­plessa di messaggi sulla sessualità, sull’appartenenza clanica, sulla posi­zione sociale, sul cerimoniale religio­so: insomma, attraverso le piume gli Indios manifestano la loro visione del mondo, rappresentano visivamente le loro istituzioni sociali.

Cappello da richiamo per cacciatori. Lo usavano i guerrieri MenOkò come richiamo per gli uccelli durante le battute di caccia nella foresta.
Cappello da richiamo per cacciatori. Lo usavano i guerrieri MenOkò come richiamo per gli uccelli durante le battute di caccia nella foresta.

Chiaramente non tutte le piume hanno la medesima importanza: alcune pre­sentano una simbologia molto sempli­ce e unitaria, altre possono assumere — sulla base delle cerimonie in cui vengono usate, come pure sulla base delle pitture corporali di chi le indossa — una molteplicità di significati. Il diadema krokroti dei Kayapo-Xikrin, ad esempio, “può rappresentare un occhio come se le piume fossero delle ciglia, o, in un altro contesto, può rap­presentare il sole come se le piume fos­sero dei raggi. Ma simbolizza prima di ogni altra cosa la forma circolare del villaggio, così che le piume azzurre centrali vengono a significare la piaz­za, il luogo maschile e rituale per ec­cellenza — le file di piume vermiglie, poste più all’esterno, significato le ca­se e il mondo domestico delle donne — mentre le piume bianche, legate all’estremità del diadema, raffigurano la foresta attorno”.4 Il significato del krokroti però non si ferma solo e sem­plicemente alla simbolizzazione del villaggio, in quanto quest’ultimo a sua volta rappresenta e raffigura nella sua topologia il mondo dei vivi e quello dei morti, il mondo terreno e quello so­prannaturale.

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Coppia di piume da naso usate dalla tribù Eripatksa,
nord-est del Brasile, ora estinta.
Questi ornamenti erano indossati con un copricapo
completo di capelli umani
durante la cerimonia dell’iniziazione dei giovani.

Queste società rendono dunque mes­saggio tutte le cose che le circondano: dalla forma del villaggio alle case, dal­le piume agli oggetti d’uso comune, dalle pitture corporali al taglio dei ca­pelli. Gli Indios, che non conoscono scrittura, finiscono così per vivere in un mondo interamente trasformato in scrittura/opera d’arte. La loro stessa vita, che a noi pare seguire un ritmo esclusivamente naturale, è invece una continua operazione culturale-rituale, tesa a differenziarli dalla natura e a porli in dialogo con essa. Quegli orna­menti plumari, che ci fanno sembrare gli Indios come degli uomini-uccellie quindi dei primitivi, sono al contrario la manifestazione di una complessa opera di diversificazione, riguardante sia il gruppo al suo interno sia il rap­porto con le tribù limitrofe e con il mondo della natura. La cultura per questi popoli è infatti l’ordine che si contrappone al disordine, la scansione che allontana la paura dell’indistinto, la simmetria al posto dell’asimmetria.

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Copricapo composto da piume di diversi pappagalli. Gli uomini della tribù Kajapo lo indossavano, legandolo attorno al capo, tutti i giorni. I colori, diversi l’uno dall’altro, denunciavano lo stato sociale del proprietario.

Nella natura tropicale, cosa esiste di più netto e distinguibile delle piume colorate degli uccelli? Ecco allora che queste stesse piume aiutano gli indios a trasformare il gruppo indistinto del­la loro comunità in un insieme scandi­to e suddiviso in clan e sottoclan, dove ognuno di questi gruppi possiede le proprie piume distintive, così come possiede un insieme preciso di riti, miti e tradizioni. Allo stesso modo gli or­namenti che noi apprezziamo per gli straordinari accostamenti coloristici, e che quindi vediamo come un tutt’uno, vengono invece ammirati dagli indios in quanto formano, grazie alla varietà dei colori, un insieme nettamente sud­diviso. Se a noi piace la compenetra­zione dei colori, essi apprezzano piut­tosto la loro impenetrabilità: le piume, con il loro rimandare alle diverse spe­cie degli uccelli, spezzano simbolicamente la continuità del tutto creando un universo discontinuo, scandito e proprio per questo bello.5 Per svelarci almeno in parte la loro bellezza queste opere d’arte ci richie­dono quindi non solo di studiare un universo a noi sconosciuto ma anche di immedesimarci in uno sguardo che solo gli Indios possiedono appieno. Gli ornamenti plumari nascono all’in­terno di una cultura particolarissima, che a sua volta non è scindibile dal tra­dizionale modo di vivere degli Indios: quello stile di vita, inteso nel suo senso più ampio, che oggi è per loro sempre più difficilmente praticabile. Non è possibile quindi, come vuol proporre la FUNAI (ente nazionale brasiliano per la protezione degli Indios), inte­grare queste popolazioni nella “comu­nità nazionale” e al contempo rispet­tarne “cultura, tradizioni, usi e costu­mi”.6 Gli indios che vivono in villaggi privi dell’antica struttura spaziale e so­ciale, che lavorano la terra come brac­cianti agricoli, che scrivono e leggono in brasiliano, che vedono la foresta trasformata in un’immensa piantagio­ne, perdono la ragione stessa del loro fare artistico.

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Copricapo composto di piume di arara rosse e blu, piume di gallo selvatico nero e piccole piume bianche legate alle estremità.

Magari incentivati da una qualche for­ma di guadagno, questi indios potran­no ancora costruire ornamenti plumari, non certo più arte plumaria. Arte infatti non è solo l’ornamento piumario, ma è anche l’indio stesso, dipinto di argilla bianca e urucu, che con in mano un copricapo di piume rosse, gialle e nere, attende di partecipare al­la cerimonia dello javari.7 Per noi l’opera d’arte è un oggetto; l’indio ci rivela che arte è anche corpo, ma un corpo che si innalza verso il mondo so­prannaturale dei miti e degli dèi. Con la morte dell’ultimo indio che vive an­cora nella tradizione noi veniamo così a perdere il mistero di uno sguardo estetico profondamente diverso dal nostro. Ma con una simile perdita cancelliamo una volta di più l’insegnamento di una cultura che, nella sua alterità dalla no­stra, avrebbe potuto indicarci in ogni campo nuove conoscenze.

NOTE

1 C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, Il Saggiatore, Milano, 1982, pp. 203-204.
2  Cfr. L.B. Vidal, Arte plumaria kayapò, in AA.VV., Arte plumaria del Brasile, Brasilia, 1982,   p. 37.
3 Cfr. E. Cerulli, Le culture indigene del Brasile, in Indios del Brasile catalogo, De Luca, Roma, 1983,  p. XIX
4 Cfr. L.B. Vidal, op. citp. 38.
5 Cfr,, su questi problemi, C. Lévi-Strauss, Il cru­do e il cotto, Il Saggiatore, Milano, 1966, in parti­colare le pp. 74, 423-424.
6 Cfr. AA.VV., A verdade sobre o Indio brasileiro, GuaviraEditores, Rio de Janeiro, 1981, p. 45, dove si trovano elencati i “Deveres do Estado brasileiro para corno Indio – exercidos pela FU­NAI’, doveri fra i quali è enunciato anche quello di “respeitar, no processo de integraçao do indio à comunhào nacional, a coesào das comunidades indigenas, os seus valores qulturais, tradiçòes, usos e costumes”, finalità che non è sentita in contraddizione con quella di “promover a educalo de base apropriada ao ìndio, visando à sua pro­gressiva integraçao na sociedade nacional”.
Vedi ad esempio la bella fotografia contenuta in O. e C. Villas Bóas, Indios do Xingu, Ed. Gràfi- cos Brunner LTDA, Sào Paulo, 1978, p. 74.

Pubblicato nel 1984 su:

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