È arrivata la notizia che un altro immigrato islamista del Mali, di nome Coulibaly, ha attaccato un’altra istituzione ebraica in Francia. Il primo, Amedy Coulibaly, aveva ucciso quattro ebrei in un supermercato kosher a Parigi il 9 gennaio scorso; questo omonimo ha ferito ieri tre soldati mentre erano di guardia davanti a un centro della comunità ebraica, a Nizza.
La polizia dice che Moussa Coulibaly, circa 30 anni, con precedenti per furti e violenze e apparentemente non collegato ad Amedy, ha estratto da una borsa un coltello lungo circa venti centimetri, ferendo un soldato al mento, un altro alla guancia e un terzo al braccio.
Casualmente, mi trovavo Nizza circa quattro ore prima dell’attacco e qualche giorno addietro ero passato davanti a quel centro ebraico, durante una tappa del tour che ho effettuato nei quartieri a maggioranza musulmana di dieci città in Francia e Belgio. In questi viaggi ho ripetutamente incontrato soldati armati fino ai denti con il compito di proteggere le istituzioni ebraiche, il che mi ha indotto a trarre alcune scettiche conclusioni in merito alla loro presenza:
Si tratta di soldati, non di poliziotti, e pertanto non sono addestrati a questo tipo di violenza urbana.
Tendono a lasciarsi distrarre dai loro smartphone e dalle belle ragazze che passano.
Tengono i mitra ben stretti, ciò che li rende vulnerabili a eventuali attacchi da parte di chi spari da un’auto.
Come confermato dall’ultimo attacco, la protezione visibile, in realtà, contribuisce a provocare gli islamisti e gli altri antisemiti.
Questi militari sono preposti solo temporaneamente alla protezione delle istituzioni ebraiche in seguito all’attacco al supermercato kosher di Parigi, e tra non molto verranno rimossi.
Essi proteggono solo le istituzioni e non le persone che le frequentano e che sono più vulnerabili che mai.
In breve, i soldati sono facili bersagli il cui dispiegamento serve ben poco a proteggere la comunità ebraica o a risolvere il problema più ampio della violenza islamista. Ma ciò offre un altro esempio di “teatrino della sicurezza” appagante a livello emotivo, che dà temporaneamente a tutti la sensazione costruttiva di fare qualcosa.
Una vera soluzione richiederà misure più drastiche e a più lungo termine che riguardino l’identità nazionale, le politiche sull’immigrazione, gli sforzi per l’integrazione e un’efficace attività di sorveglianza.
4 febbraio 2015 – www.danielpipes.org
traduzione di Angelita La Spada