Storicamente l’uomo e l’orso hanno condiviso spazi e risorse, ma non solo.
La cultura di quasi tutti i territori montani è intrisa di aspetti legati a questa specie ed a quello che, quasi sempre nel bene, ha rappresentato e rappresenta per le persone.
Tutto ciò assume aspetti e connotazioni particolari quando si parla dell’orso bruno marsicano, popolazione relitta dell’Appennino centrale, classificata come una sottospecie dell’orso bruno europeo, di cui si contano circa 50 esemplari, che in gran parte frequentano le montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Proprio in quest’area dell’Italia centrale, a poche ore di auto da grandi città come Roma e Napoli, l’uomo è riuscito in un’impresa rara per l’Europa occidentale, dove l’orso è stato perseguitato e portato all’estinzione con l’unica eccezione di un’area nel nord della Spagna, molto simile per caratteristiche ambientali e culturali all’Appennino abruzzese-molisano.
Su queste montagne l’uomo e l’orso si sono coevoluti, imparando a rispettarsi nonostante le “normali” storie di uccisioni che, ovviamente, hanno sempre visto l’orso soccombere ai colpi di fucile o delle potenti tagliole. Tutto questo però fino all’inizio del ‘900, quando l’orso venne protetto con l’istituzione del Parco d’Abruzzo ed escluso dagli elenchi delle specie cosiddette nocive, come ad esempio il lupo, nei cui confronti la persecuzione è andata avanti fino alla seconda metà degli anni ’70.
Tra le alterne vicende politiche e sociali italiane, l’orso è arrivato fino agli anni ’80, cioè al turismo di massa, alla montagna vista quasi esclusivamente come luogo di ricreazione, dove i pastori erano più rari degli orsi e nessuno aveva fatto i conti con stime di popolazione poco coerenti con la realtà dei fatti, ovvero le poche decine di esemplari che hanno portato la IUCN – International Union for Conservation of Nature, a considerare la popolazione ad alto rischio di estinzione.
Ed è stato allora che la coevoluzione uomo-orso e l’azione di tutela posta in essere nell’area protetta dalla Forestale hanno fatto la differenza per provare ad assicurare un futuro alla specie, facendo leva non solo su norme vecchie e nuove, tra cui quelle imposte dalla comunità internazionale, ma anche sulla cultura di chi il territorio lo vive e non teme l’orso, nemmeno quando uno dei cinquanta esemplari entra in paese per mangiare polli, mele e insalata.
Scanno, come altri paesi dell’area frequentata dagli orsi marsicani, è un grande esempio di tolleranza verso Tata Urz’, Nonno orso, come viene spesso chiamato dai vecchi pastori, anche grazie all’azione costante e quotidiana dei Forestali come Maurizio Carfagnini, che per oltre vent’anni hanno seguito le vicende degli orsi, sensibilizzando il territorio e riaffermando quella cultura di convivenza che purtroppo, anche a pochi chilometri di distanza, è stata messa in discussione dal gesto sconsiderato di chi, per poche galline, ne ha ucciso uno.
Per illustrare questa “convivenza possibile” (anzi, aggiungiamo noi, “indispensabile”) il Corpo Forestale dello Stato e l’Agenzia Stampa Adnkronos hanno realizzato questo splendido film/documentario, intitolato Gemma, la madre degli orsi.
Approfondimenti
La presenza dell’orso bruno nell’Italia peninsulare e in Padania
In Italia l’orso è presente con due distinte popolazioni che frequentano le Alpi centro-orientali e l’Appennino centrale.
Le Alpi La prima deriva da un ambizioso progetto comunitario, il Life Ursus che alla fine degli anni ’90 consentì di reintrodurre 10 esemplari dalla Slovenia nel gruppo dell’Adamello-Brenta, riportando così il plantigrado nell’area in cui era stato presente fino a qualche anno prima, anche se con pochissimi individui. L’operazione ha avuto successo e, così come previsto, la popolazione è andata via via crescendo, arrivando a circa 50 esemplari che hanno ricolonizzato gran parte del Trentino, e interessato in maniera abbastanza stabile anche le aree circostanti della Lombardia, dell’Alto Adige e del Veneto, arrivando però ad avere collegamenti diretti con la popolazione slovena, con la quale sono stati accertati scambi di individui ben oltre le aree di confine del Friuli. Proprio questa continuità con la Slovenia, e più in generale con l’Europa centro-orientale, rende la popolazione alpina meno vulnerabile rispetto a quella appenninica, in quanto può sempre contare sul possibile apporto di individui ed escludere così qualsiasi rischio di estinzione. In questa situazione anche i conflitti con le attività tradizionali, e più in generale con l’uomo, possono essere visti in un’ottica sostanzialmente diversa da quella rigorosamente conservazionistica al riguardo dell’orso marsicano. Infatti, ferma restando la necessità di assicurare alla specie tutti gli spazi che originariamente frequentava e perciò condizioni di tutela rigorosa, per questa popolazione possono essere previsti interventi gestionali a carico di singoli soggetti che, in alcuni casi, dovessero presentare particolare criticità e problematicità, al punto da minacciare il resto della popolazione.
L’Appennino Totalmente differente è invece la situazione dell’orso marsicano, classificato come sottospecie dell’orso bruno e proprio per questo bisognoso di una protezione estremamente rigorosa che tuteli ogni singolo soggetto. In attesa della pubblicazione dei dati del monitoraggio su base genetica svolto con il Life Arctos nel 2014, la popolazione di orso marsicano è composta da circa 50 esemplari, in gran parte concentrati nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, e nelle aree limitrofe fino ai monti Simbruini, al Sirente-Velino e alla Majella. In queste aree negli ultimi anni il piccolo nucleo ha consolidato la sua presenza fino alla riproduzione di una femmina che nell’estate 2014 è stata vista in compagnia di due cuccioli dell’anno, evento mai registrato prima lontano dall’area del Parco Nazionale.
Questo evento, unitamente ad altri dati confortanti sulla nascita di cuccioli nel 2014, ben 11 nel Parco d’Abruzzo, testimonia della grande vitalità di una popolazione minacciata da numerosi fattori, quasi tutti di origine antropica. Questi, oltre a incidere significativamente sulla mortalità (nel periodo 2007-2014 è stata documentata la morte di ben 26 esemplari), limitano fortemente l’espansione dell’areale dell’orso nell’Appennino centrale, dove gli spazi potenzialmente idonei per la specie sono tantissimi, ma non sempre accessibili o mal collegati con la popolazione sorgente dell’area del Parco Nazionale.
L’impegno della Forestale per la conservazione dell’orso bruno
La tutela e la conservazione di specie protette e minacciate di estinzione sono da sempre tra le finalità istituzionali del Corpo forestale dello Stato, ulteriormente rafforzate con la legge di riordino del 2004. Tale funzione è stata svolta nel tempo attraverso molteplici interventi che vanno dal controllo, per lo più prevenzione e repressione del bracconaggio, fino ad attività di monitoraggio che dagli anni ’80 vuol dire anche ricerca scientifica.
È stato infatti proprio il Corpo forestale dello Stato ad introdurre, a metà anni ’90, nell’area appenninica e grazie ad un progetto Life, il monitoraggio su base genetica dell’orso bruno marsicano, consentendo così di avviare una banca dati genetica che raccoglie informazioni accurate sulla consistenza numerica di questa popolazione.
La metodologia messa a punto è stata successivamente sviluppata ed affinata dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) e dall’Università La Sapienza di Roma, coi quali il Corpo forestale dello Stato ha sempre collaborato, consentendo di consolidare le informazioni di cui dispone la comunità scientifica, che nelle prossime settimane si arricchiranno dei dati del monitoraggio genetico condotto nel 2014 col progetto Life Arctos.
Oltre al monitoraggio della popolazione, la Forestale ha contribuito negli anni anche ad altre importanti iniziative per la tutela della specie, sia nell’area appenninica che in quella alpina, estrinsecando in pieno il ruolo di polizia di prossimità nelle aree rurali e montane e contribuendo alla conservazione della specie.
Accanto alle attività di prevenzione e repressione del bracconaggio, ha contribuito alla messa a punto ed attivazione di procedure per la gestione degli orsi confidenti, la cui presenza nei centri abitati delle aree montane viene non di rado vista come un problema di ordine e sicurezza pubblica. A questo scopo, grazie al progetto Life Arctos, sia nell’area alpina che in quella appenninica, è stato adeguatamente formato personale in grado di gestire le diverse criticità, secondo procedure coordinate e condivise tra i diversi enti interessati alla gestione del fenomeno che, sebbene limitato a pochissime unità, può destare preoccupazione.
Per quanto riguarda invece le iniziative connesse alla conservazione della specie, di particolare rilievo sono state le ricerche avviate negli anni passati in merito alla opportunità di individuare modalità di gestione forestale compatibili ed anzi funzionali alla tutela della specie.
Significativa la ricerca con la quale sono state monitorate diverse tipologie di faggeti e querceti per conoscere la produttività stagionale (che nel faggio varia tantissimo) in termini di ghianda e mettere in correlazione questi dati con l’andamento della popolazione. Seppure con un esiguo numero di anni di studio, è emersa una interessante correlazione tra l’annata di pasciona (produzione molto abbondante) del faggio e le nascite di cuccioli di orso che, proprio nell’anno successivo alla pasciona, sembrano essere maggiori.
(foto di Pietro Guida)