La giunta italico-comunista Pigliaru ha deciso di dedicare l’edizione 2016 di Sa die de sa Sardegna ai “migranti”, un ulteriore passo verso la distruzione delle nostre etnie europee. Ovviamente le reazioni da parte dei sardi non si sono fatte attendere. Eccone alcune.
Per non dimenticare di cosa si sta parlando, giova ricordare che il 28 aprile del 1794 i sardi cacciarono da Cagliari il viceré Balbiano assieme ai funzionari sabaudi. La circostanza diede luogo alla rivoluzione anti-feudale, in seguito guidata da Giovanni Maria Angioy e purtroppo fallita. Gli eventi spinsero il nostro generale a fuggire a Parigi (in buoni rapporti col governo francese) dove morì nel 1808, mentre i Savoia diedero vita ad una brutale repressione del dissenso.
Ricordiamoci, in questa rivoluzione, di personaggi come il notaio cagliaritano Francesco Cilocco, anti-piemontese e capitano di un’armata di migliaia di uomini che, assieme al patriota Gioacchino Mundula, il 27 dicembre 1795 assediò Sassari per arrestare tutti i feudatari. I ricercati riuscirono a fuggire ed in seguito si vendicheranno con una feroce rappresaglia guidata dai fratelli del Re Carlo Emanuele IV di Savoia. Cilocco verrà torturato con la corda (la pratica del sollevamento poteva spezzare le ossa); tramite tenaglie infuocate (per strappare capezzoli, unghie e carne) e con la fustigazione (a doppia suola intessuta di piombo per strappare la pelle). Infine verrà impiccato, decapitato (da morto), il suo cadavere verrà bruciato e le sue le ceneri sparse al vento. Correva il 1802.
Oggi l’assessore regionale alla cultura, Claudia Firino, con la sua fascia tricolore (pensate un po’), dedicherà queste immani tragedie ai migranti. Come dedicare San Valentino alla battaglia di Lepanto o il Natale allo sbarco in Normandia.
Quando un popolo scorda la propria storia, con essa svanisce anche il senso del ridicolo.
Le vicende di una nazione e di un territorio vengono così declassate al ruolo di una lotteria da sagra paesana, dove ogni anno il fortunato di turno si aggiudica una lavatrice.
E proprio perché al peggio non c’è mai fine, al danno si è scelto di aggiungere la beffa: probabilmente in Regione avranno scordato che migliaia di giovani sardi continuano ad emigrare all’estero, in fuga da una Sardegna pregna di ricchezze ma povera di talenti politici in grado di valorizzarne l’economia. Festeggiare chi arriva scordandosi di chi parte è il sintomo dell’analfabetismo culturale in cui siamo precipitati, tanto più insidioso poiché nascosto dietro il rassicurante volto della retorica buonista. Quella che sfrutta la tragedia di chi fugge da un conflitto in Africa e Medio Oriente per ricavarne una manifestazione tesa a deviare il senso e la portata storica di un’epoca in cui i sardi hanno cercato di far valere le proprie ragioni per l’indipendenza, contrastando l’autorità costituita.
L’impressione è che nel nuovo millennio il ricordo de “Sa Die” si sia trasformato in un’occasione per parlare di tutto, tranne del suo significato.
Ricordiamoci che se uomini come Thomas Jefferson o George Washington non avessero mai messo in discussione le leggi inglesi oggi non esisterebbero gli Stati Uniti d’America.
Le fasce tricolori che il prossimo 28 aprile si ergeranno su discorsi accompagnati da sbadigli ed applausi di circostanza rappresenteranno uno schiaffo alla nostra cultura ed uno sfregio alla memoria di quanti tentarono di migliorare col sangue, e non solo a parole, le sorti della nostra isola.Adriano Bomboi, “Sa Natzione”
È già polemica su “Sardinia terra de migrantes”, tema scelto quest’anno con delibera di Giunta per le celebrazioni del 28 aprile. “Pigliaru e Firino dedichino a chi vogliono la festa de L’Unità o altro evento privato, ma non Sa die de sa Sardigna, che appartiene a tutti i sardi”, attacca il coordinatore regionale di Forza Italia, Ugo Cappellacci, a stretto giro dopo la presentazione del programma di giovedì da parte dell’assessore alla Cultura. “Chi non rispetta la propria identità non può essere credibile quando predica di aiutare e difendere altri popoli – spiega l’ex governatore – il 28 Aprile è stato dichiarato per legge giornata del popolo sardo, Sa Die de sa Sardigna e la sua celebrazione non è modificabile da ghiribizzi estemporanei della Giunta di turno. È singolare che una Giunta sedicente sovranista tratti Sa Die come se fosse un party a tema solo per dare una connotazione politico-propagandistica a ciò che appartiene a tutti, non ad una parte sola”. Quanto al filo rosso proposto da Claudia Firino, “da più di cento anni esiste già una giornata dedicata al migrante e al rifugiato – prosegue Cappellacci – ma forse la circostanza è sfuggita perché, passata la festa, sia i sardi che i migranti vengono abbandonati al loro destino da una Giunta più attenta a compiacere il Governo Renzi, ad assecondarne le scelte che per un’immigrazione senza controllo che tradisce il fine umanitario”.
“Cosa c’entra una festa regionale che dovrebbe unire tutti i sardi come Sa die de sa Sardigna con i migranti?”. Anche il Psd’Az, per voce del consigliere regionale Marcello Orrù, critica il tema scelto dalla Regione per le celebrazioni del 28 aprile. “La Giunta Pigliaru, intitolandola Sardinia terra de migrantes, snatura il significato di Sa die – contesta l’esponente sardista – si tratta di una strumentalizzazione inaccettabile, l’ennesima da un assessore alla Cultura politicizzato e che utilizza il suo ruolo istituzionale per portare avanti battaglie minoritarie e faziose”. Secondo Orrù, “è inaccettabile il parallelismo tra gli attuali migranti che arrivano in Sardegna dall’Africa e gli emigrati sardi che nel corso della storia hanno varcato il confine dell’Isola per lavorare e contribuire, con il sudore della fronte, alla crescita dei Paesi dove si trasferivano”. Ma, cosa ancora più grave, “Claudia Firino dedica la festa ai migranti proprio quando la Sardegna sta affrontando i mille problemi di una immigrazione clandestina difficile da gestire e controllare e che diverrà un enorme problema nei prossimi mesi”. E conclude: “È una vergogna. L’assessore, l’unico nella storia che verrà ricordato per le sue campagne pro gender e pro clandestini, apra i libri e studi meglio la storia sarda”.
“Globalist”