Il prossimo lunedì 12 marzo alle ore 18,30 a Padova in via del Santo 121 verrà commemorata la figura di pensatore federalista di Silvio Trentin, militante dell’emigrazione antifascista e autore dell’importante saggio Stato Nazione Federalismo composto in Francia nel 1940 e stampato clandestinamente in Italia per cura di Mario Dal Pra nel 1945, dopo la morte dell’autore.
La manifestazione è stata organizzata dal Centro Studi sui Federalismi (via San Massimo 137, Padova – tel. 0498722256) animato da Elio Franzin, un qualificato studioso che al pensiero di Trentin ha dedicato un ampio saggio sul sito “Critica Sociale” nel 2010, ma che vanta un passato di grande impegno a favore delle “Piccole Patrie” per aver difeso sin dal lontano Sessantotto i diritti dei sudtirolesi (con lo pseudonimo di T. Zimmermann) e per aver fondato negli anni ‘70 il Comitato Italia-Euskadi a favore dei Baschi.
La rivalutazione di Trentin appare davvero giusta e opportuna, perché in anni difficili dove prevalevano le peggiori tendenze centraliste, dalle difficili condizioni dell’esilio, nei ristretti cenacoli di “Giustizia e Libertà” seppe con lucidità indicare in uno Stato federale e di larghe autonomie la prospettiva migliore per la rinascita dell’Italia dopo la buia parentesi della dittatura.
Il professor Zeffiro Ciuffoletti nel suo ampio saggio Federalismo e regionalismo ha giustamente ricordato che i due “giellisti” più lungimiranti, il sardo Lussu e il veneto Trentin, mentre in Italia si rafforzava il peggior centralismo romanocentrico “riproposero l’autonomia regionale come uno dei possibili risultati di un’azione ‘rivoluzionaria dal basso’, volta a realizzare un collettivismo di tipo federalista, secondo la linea proudhoniana e un superamento del sistema capitalista, individuato come uno dei principali supporti della dittatura fascista e nazista” pensando a delle regioni con “adeguata autonomia, anche legislativa, su tutti le materie sottraibili alla competenza unitaria dello Stato”.
Purtroppo, Trentin per adesso è un vinto e un dimenticato.
A Liberazione avvenuta, l’ipotesi autonomista e federalista venne rapidamente e sbrigativamente accantonata e l’autogoverno di tipo elvetico messo da parte perché il Partito d’Azione di cui Trentin aveva fatto parte venne stritolato elettoralmente dalla contrapposizione frontale fra i due schieramenti opposti filo-occidentale e filo-sovietico.
Anche in sede di analisi delle sue teorie, Trentin è stato sempre lasciato nell’ombra, mentre ha avuto grande risalto il più modesto Manifesto di Ventotene di Spinelli e Colorni; più proiettato verso l’europeismo e meno attento alla concreta riforma localistica dello Stato nostrano, e dunque, nella sua astrattezza, meno scomodo delle proposte di Trentin che negli ultimi mesi di vita dettava al figlio Bruno un progetto di costituzione italiana per la nascita di un nuovo regime democratico fondato su consigli aziendali e territoriali nelle diverse regioni.
Una lucida utopia.
Va anche detto che riportare l’attenzione di studiosi su questo autentico federalista e democratico aiuta a sbarazzare il campo da molta paccottiglia ideologica che, purtroppo, sta circolando in questi giorni. È ridicolo e farsesco che qualche sprovveduto faccia l’apologia di un personaggio ambiguo come il repubblicano Mario Bergamo che in qualche modo fu certo anche “federalista”, ma che nel 1936, quando Mussolini invase proditoriamente l’Etiopia, si dichiarò pentito, scrisse a Mussolini e chiese di tornare in Italia per la maggior gloria della Patria. Di presunti precursori di questo tipo, i “venetisti” non hanno proprio bisogno.
Al contrario, sono figure controcorrente e lungimiranti come Trentin e il valdostano Emile Chanoux che meritano d’essere studiate e, se possibile, diventare ispiratori della nuova rivoluzione federalista, autonomista e autogestionaria che liberi davvero le popolazioni delle Regioni Alpine e Padane.