La concentrazione e il consolidamento in Libia delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico migratorio ha portato a una profonda trasformazione delle sue modalità operative. Per cogliere al meglio le possibilità offerte da una domanda inesauribile proveniente dagli aspiranti migranti intercettando il maggior numero possibile di richieste era opportuna una modifica delle iniziali modalità del traffico, eliminando l’accompagnamento dei migranti da parte delle “navi madri”, che in precedenza li trasportavano a ridosso delle acque territoriali italiane, lasciandoli poi sui barconi. Con il crescere del numero dei trasporti e con il maggiore presidio che le varie missioni navali nazionali e internazionali stavano realizzando nel Mediterraneo, sarebbe assai cresciuto il rischio che le navi dei trafficanti venissero intercettate, con conseguente arresto dei rei e sequestro delle navi.
I trafficanti
Il sempre maggiore numero delle unità navali nel Mediterraneo con funzioni di search and rescue poteva essere volto a loro favore dai trafficanti, che in questa seconda fase decisero di arretrare il raggio di azione delle loro imbarcazioni, facendo agire natanti più piccoli e più veloci nella fuga, da utilizzare non più per il trasporto ma solo per l’accompagnamento dei barconi dei migranti in funzione di ausilio per il rifornimento dei viveri e l’indicazione della rotta (i “facilitatori”) sino al momento in cui i barconi dei migranti fossero stati soccorsi.
Per aumentare l’impunità in modo da renderla assoluta restava un solo ulteriore piccolo passo: fare in modo che i natanti dei facilitatori non dovessero più entrare in acque internazionali, il che comportava che le navi dei soccorritori avanzassero il loro fronte di azione. Tale situazione era stata ben compresa dai comandi delle missioni navali che, infatti, si erano ben guardati dal farlo (la finalità di tali operazioni è il contrasto ai trafficanti, mentre l’attività di soccorso in mare costituisce un obbligo nascente dal diritto internazionale del mare per chi si trova nelle vicinanze di natanti in pericolo), ma a partire dagli ultimi mesi del 2015 gli spazi delle acque internazionali lasciati liberi dalle unità navali militari è stato occupato dalle navi delle ONG che per intercettare il maggior numero di migranti si sono spinte sino a ridosso del confine tra le acque territoriali libiche e quelle internazionali.
I gommoni
Le condizioni sempre più precarie dei mezzi utilizzati dai trafficanti per il trasporto dei migranti (spesso gommoni senza chiglia, di fabbricazione cinese, con motori inadeguati alla navigazione in alto mare) determina una situazione di pericolo che prescinde dalle condizioni del mare e, quindi, giustifica sempre l’intervento di soccorso che viene effettuato con la regia dell’IMRCC italiano, che interviene in un’area SAR estesa di fatto sino a 1.100.000 km quadrati circa a causa del disimpegno delle autorità maltesi, che pure dovrebbero presidiare un’area SAR di non modesta estensione lungo la rotta del Mediterraneo centrale interessata da questo traffico, ma che sistematicamente rifiutano l’utilizzo dei loro porti per l’approdo.
Stando alla ripartizione delle aree SAR negli atti ufficiali, l’area SAR di responsabilità italiana è di 500.000. km quadrati e non è direttamente confinante con le acque territoriali libiche perché si interpone l’area SAR maltese, che è di circa 250.000 km quadrati, ma in tale area l’MRCC maltese si rifiuta di intervenire alle richieste di soccorso. In sintesi, le modifiche intervenute sulle modalità del traffico sono consistite nel costante arretramento del raggio di azione dei trafficanti e nel correlativo avanzamento delle navi private dei soccorritori.
Gli sbarchi
L’effetto del consolidamento del traffico organizzato in Libia lo si percepisce a partire dal 2014, anche se non bisogna dimenticare che in quegli anni era ancora forte in Italia e ancor di più in Grecia il traffico proveniente dalla Turchia, riguardante in maggior parte i migranti siriani e asiatici. Nel 2015 il numero dei migranti in Italia scende del 9 per cento rispetto a quell’anno record, ma si attesta comunque su 153.842 migranti, il secondo maggior numero sino ad allora. Non va inoltre dimenticato che ancora incide su questi dati il flusso proveniente dalla Turchia, che si interrompe solo nei primi del 2016, a seguito dell’accordo stipulato tra l’Unione Europea e la Turchia.
Il nuovo record raggiunto nel 2016 di 181.436 migranti è da ascrivere quasi per intero alle organizzazioni dei trafficanti libici, record al quale si affianca quello tragico dei morti in mare accertati: ben 5022. È questo l’anno del definitivo arretramento dei trafficanti al di qua delle loro acque territoriali.
La politica
Cosa succede nel 2017? Nel primo semestre arrivano ben 83.000 migranti, pari al 18 per cento in più rispetto al semestre corrispondente dell’anno precedente, che era stato quello dei record; nel secondo semestre il numero degli arrivi scende a 36.000, il 34 per cento in meno rispetto al secondo semestre del 2016. Il dibattito conseguito alle inchieste di varie commissioni parlamentari e le misure governative adottate con l’impulso determinante del ministero degli Interni (dagli accordi con il governo libico riconosciuto dalla Comunità internazionale per l’apprestamento di una guardia costiera libica, al codice di condotta che viene sottoscritto da alcune ONG) portano a tale contrazione: le dimensioni del traffico organizzato dei migranti non sono una variabile dipendente esclusivamente dal volume della domanda e da quello dell’offerta ma è condizionato dalle risposte che a livello politico e, solo in minima parte, giudiziario vengono adottate dalla controparte che è più di tutte coinvolta, e cioè l’Italia.
Anche i dati dei primi quattro mesi del 2018 confermano tali indicazioni: in tale periodo si è registrato un numero di arrivi di 9418 migranti, inferiore del 75 per cento al numero record del primo quadrimestre del 2017 (37.235), ma gli arrivi di aprile sono in netto aumento rispetto ai tre mesi precedenti e tale tendenza sembra confermata dai dati di maggio e da quelli ancora provvisori di giugno.
Carmelo Zuccaro, “Il Fatto Quotidiano”.