“Guardate, c’è un lembo di terra fertile vicino al ruscello, e noi là seminiamo il grano. Il resto è deserto. Un tempo possedevamo una terra ricca, umida, dove l’erba era alta e la selvaggina abbondante, una terra cosi vasta che un corsiero avrebbe durato fatica ad attraversare in otto giorni. Washington s’è prese tutte le nostre terre, non possediamo più nulla… Ogni inverno tossisco sempre più forte e presto me ne andrò. Ma non è per questo che sono triste. Sono triste pensando alla mia gente. Chi l’aiuterà, quando non ci sarò più?” (Nuvola Rossa)
Se Nuvola Rossa pensava ad aiuti esterni o ad una resistenza armata, i fatti gli hanno dato ragione. L’apparato militare e tecnologico di cui disponevano i colonizzatori rappresentava infatti un ostacolo insormontabile per la cultura dei “Pellerossa”. Ma c’era una forza enorme di cui il vecchio guerriero, ormai cieco, confinato in una riserva e a pochi anni dal massacro di Wounded Knee non era probabilmente in grado di tenere conto: l’“indianità” come volontà di conservazione della propria identità culturale e di recupero della tradizione. Un momento importantissimo sulla strada di questo recupero è rappresentato, per gli Indiani degli Stati Uniti e del Canada, dalla gestione in prima persona dell’informazione relativa alle loro condizioni materiali, alle loro aspirazioni e alle loro lotte. Se, nella famigerata definizione di A. Jackson, l’unico indiano buono era quello morto, per molti anni l’unico indiano buono è stato (e per certi versi continua ad essere tuttora) quello mitico, il leggendario cavaliere delle praterie, creatura idealizzata di un irrecuperabile passato.
Frutto di questo approccio romanticheggiante ad una realtà tragica e attuale sono stati libri come Le memorie del capo Volpe Rossa di Dee Brown, Toccate la terra di T.C. Mc Luhan ecc., opere in cui gli Indiani d’America non accettano di riconoscersi (Vine Delorja jr, in “Akwesasne Notes”, autunno 1972). Queste opere, spesso mistificanti, avevano l’effetto di distogliere l’attenzione dalle drammatiche condizioni attuali degli Indiani, confinati nelle riserve o ridotti spesso a sottoproletariato urbano, decimati da elevatissimi tassi di mortalità e distrutti dall’alcool e dalle malattie: la morte per denutrizione (specie durante la stagione invernale), la generale deficienza alimentare, la media di vita assai bassa (30-45 anni), fatti che si associano di solito alle condizioni di vita del Terzo Mondo, costituiscono infatti la realtà di quasi tutte le riserve indiane, macchie scandalose di una delle aree più ricche della Terra.
Ai massicci massacri del passato, il presente ha sostituito le vie più subdole ma ugualmente efficaci dell’integrazione forzata, della costrizione al silenzio culturale e informativo (le scuole native vengono chiuse, le notizie boicottate o distorte), della precaria assistenza sanitaria, dell’applicazione parziale del codice penale (minoranza assai esigua, in certe zone gli indiani costituiscono un terzo dei detenuti).
La violenza fisica diretta non si è, d’altra parte, del tutto esaurita se la “caccia all’indiano” sembra costituire, in certe località, un diffuso sport di gruppo dei giovani “wasp” (cfr. Akwesasne Notes estate 1974; estate 1975).
La difesa della sopravvivenza ideologica e la battaglia legale per il rispetto dei trattati costituiscono i due fronti su cui è più impegnata la battaglia attuale degli Indiani d’America e, di tanto in tanto, fatti eclatanti come l’occupazione dell’isola di Alcatraz nel 1969 o la resistenza armata a Wounded Knee nel 1973 ricordano agli Stati Uniti e al mondo che gli Indiani esistono e non vogliono perire. Ma c’è anche una lotta continua, capillare, spesso anonima: buona parte di essa viene condotta sulle pagine delle pubblicazioni native.
Di queste, la più diffusa nell’America del Nord è “Akwesasne Notes”, nata inizialmente come voce ufficiale dei Mohawk tradizionalisti della piccola riserva di Akwesasne, compresa tra lo stato di New York e le province canadesi del Quebec e dell’Ontario.
I Mohawk fanno parte della Grande Federazione Irochese, e la riserva di Akwesasne (“là dove starnazza la pernice” in lingua nativa) è uno dei piccoli lembi di terra che sono rimasti agli Irochesi dopo che essi sono stati depredati del loro vasto territorio, i cui confini erano rappresentati dal Vermont ad Est, l’Ohio ad Ovest, la Pennsylvania a settentrione a Sud e, a Nord, da una linea al di là dell’attuale confine col Canada.
La Nazione Irochese, costituitasi nel 1570 come alleanza contro i nemici esterni ma anche per porre fine alle guerre fratricide per il possesso delle fertili vallate dell’attuale stato di New York, comprendeva le tribù degli Oneida, Mohawk, Seneca, Cayuga e Onondaga, cui si aggiunsero nel 1725 i Tuscarora e, successivamente, anche altri gruppi minori. Cacciatori e agricoltori, gli Irochesi si distinguevano per un forte senso federativo. Il fatto che i clan (matrilineari) fossero gli stessi per tutte le tribù costituenti la Nazione Irochese rendeva saldissima la coesione intertribale e rafforzava il senso di appartenenza alla stessa unità politico-culturale. L’efficace organizzazione militare (rafforzata dall’acquisto di fucili forniti dagli Olandesi già a partire dal 1600) ne fece una temibile potenza e fu uno dei fattori di solidità della Nazione Irochese.
Il movimento tradizionalista del profeta Handsome Lake diffusosi nel 1799, sottrasse gli Irochesi ad una totale deculturazione, e l’adattamento del dualismo religioso tradizionale (articolato attorno alle figure di due eroi culturali gemelli) alla situazione di conflitto con i Bianchi (per cui al mondo degli Irochesi, mondo della civiltà e dei campi coltivati, governato dal gemello buono, veniva contrapposto il “deserto esterno” cioè il mondo bianco delle metropoli, delle fabbriche e delle autostrade, dominato dal gemello malvagio) ha contribuito ad accentuare il senso di appartenenza a un mondo culturale e ideologico diverso da quello dei colonizzatori.
Forse non è un caso che un giornale come “Akwesasne Notes” sia nato in seno a una comunità che aveva alle spalle una tradizione cosi solida di identità culturale. Gli Irochesi, 78.475 al censimento del 1960, sembrano, tra l’altro, avere resistito meglio di altre popolazioni native all’internamento in riserve. “Akwesasne Notes” balzò in breve tempo a una tiratura di 50.000 copie e ad una grande notorietà tra le popolazioni native in occasione della protesta di ponte Cornwall, originatasi in seguito alla violazione, da parte del Canada, di impegni stretti tra la Gran Bretagna e la Nazione Irochese e che il Canada si era impegnato a rispettare.
“Akwesasne Notes” dedicò ampio spazio e grande attenzione alla protesta in atto e la sua voce e la sua importanza si estesero al di fuori dei contini della riserva. Attualmente, la rivista ha raggiunto una tiratura di 100.000 copie ed è divenuta una vera e propria rivista nazionale, polo di riferimento delle popolazioni native del Nord America; la sua sede ad Akwesasne è punto d’incontro e di confronto, momento di collaborazione per i membri di tutte le etnie autoctone.
Il campo di azione della rivista è assai vasto: rivisitazione della tradizione, opera di denuncia, pubblicazione di lettere, poesie, contributi dei lettori, attività nel campo ecologico, assistenza dei detenuti indiani. I suoi obiettivi si sono estesi progressivamente fino ad abbracciare i problemi e le lotte degli Indios dell’America latina e a seguire con interesse gli avvenimenti della politica internazionale: uno degli ultimi numeri (Akwesasne Notes primavera 1980), ad esempio, presenta il resoconto della missione di un inviato della rivista in Iran. Una speciale rubrica e riservata ai libri sulla cultura indiana e la sua attuale condizione (la rivista possiede una delle raccolte più vaste di libri su questo argomento). Questi diversi aspetti della rivista ne fanno un punto di riferimento obbligato per chiunque sia interessato alla condizione e alle lotte degli Indiani d’America. Essa vive inoltre esclusivamente dei contributi di collaboratori e simpatizzanti. Per entrambe queste ragioni ne diamo qui di seguito l’indirizzo: “Akwesasne Notes”, Mohawk Nation at Akwesasne, v. Rooseveltown, New York, 13683, U.S.A.