Mai sopravvalutare l’avversario

    Come cambia la “gente” – statisticamente, antropologicamente – mi ha aiutato a capirlo una mia cara amica psicanalista. Quando eravamo relativamente giovani mi diceva: “Delle persone che incontri, due su tre hanno problemi psicologici”. Da qualche lustro a questa parte, la sua locuzione è diventata: “Delle persone che incontri, due su tre sono borderline”.
    Questa è ovviamente la sua esperienza, forse influenzata dalla professione e dall’essere più facilmente in contatto con individui problematici. D’altra parte anche Erich Fromm diceva lo stesso in termini aritmetici, osservando aspetti negativi in due terzi della popolazione, sicché, vien da pensare, nei decenni sta cambiando non tanto la proporzione quanto la gravità dei sintomi.
    Il peggioramento del livello mentale è comunque percettibile, benché assai difficile da studiare su basi scientifiche. Si può solo fare affidamento sullo spirito d’osservazione (l’antropologo praticamente vive di quello) e sul ricorso a una buona dose di dubbiosa prudenza. Per esempio: sono peggiorati gli esseri umani, oppure le fasce che da sempre sfornano idioti stanno emergendo e sono più visibili e pervasive? Possibilmente entrambe le cose, che tra l’altro si trainano a vicenda.
    La “spinta demografica” dei minus habentes è tale da consentire loro di esprimersi e agire in àmbiti che da sempre gli erano preclusi; e proprio il loro numero, in quanto masse da usare come arieti nella politica e consumatori nell’economia, ha indotto l’élite a solleticarli invece di reprimerli, a offrire loro un’illusione di potere e competenza. Era inevitabile che da tali basi numeriche nascesse, forse per la prima volta nella storia europea, un partito formato da ignoranti e – al netto di manovratori occulti – diretto da altrettali ignoranti.  
    Un altro aspetto esperienziale del mutamento è il genere di avversario che statisticamente ci troviamo di fronte. Abbiamo sempre considerato tanto saggio quanto utile il detto “mai sottovalutare l’avversario”, nello sport come nella vita quotidiana. Quando ti dovevi battere in tribunale o in un’arena politica contro qualcuno, sapevi che il suo fine ultimo era ottenere il massimo risultato a tuo danno. Ogni sua mossa andava interpretata in questo senso, e se intravedevi una falla nel muro di cinta ti guardavi bene dal precipitarti dentro con il rischio di finire in un’imboscata.
    Da una ventina d’anni, sorpresa dopo sorpresa, superate le prime incredulità, ho sperimentato e capito che nella maggior parte dei casi l’avversario di turno è un fesso. Ho partecipato a scontri legali in cui la controparte si muove per puro odio, o per rabbia, o addirittura per una forma malata di autodanneggiamento. In tali frangenti il saggio motto di cui sopra diventa un’autorete. Non sottovalutare l’avversario significa darsi regole in un gioco senza regole, opporre la razionalità e il calcolo a una patologia. In definitiva perdere tempo e tranquillità mentale a lambiccarsi sulle complicatissime strategie di persone che non sanno neppure quello che stanno facendo.
    Ovviamente, ho cominciato pian piano ad applicare il nuovo principio – “mai sopravvalutare l’avversario” – anche agli aspetti più professionali, come le analisi politiche e geopolitiche. Per esempio, in quella mitica èra che chiamano prima repubblica, gli uomini di partito o di governo erano visibilmente in gamba e corrotti. Sapevi che ogni loro parola era finalizzata a rinforzare qualcosa – un’idea, un ente, una lobby, una congrega – che essi conoscevano e a cui dovevano rispondere. Per dire, un autonomista o indipendentista nel combatterli sapeva bernissimo che ogni loro discorso, appello, enunciazione, erano intesi a difendere il potere centrale di Roma. Erano nemici da non sottovalutare… anzi, a dirla tutta erano pressoché imbattibili.
    Nel mondo odierno, invece, ti colpisce l’evidenza che il politico medio sbaglia i congiuntivi, ha la cultura generale di un dodicenne, spara fesserie sui media che dovrà rimangiarsi dieci minuti dopo, ma soprattutto… e qui siamo agli aspetti veramente seri… nella maggioranza dei casi non sa neanche chi lo manovri e lo spinga a difendere princìpi e ideologie a cui non crede nemmeno lui.
    Ovvio che alcuni di loro, il gruppo elitario dell’establishment, conoscono le centrali internazionali del potere politico-finanziario. Prendono ordini dall’“alto” e in qualche caso ne fanno parte. In un certo senso è questo che suddivide il generico mondo della cosiddetta sinistra (ma potremmo parlare anche dei loro avversari) in comunisti e globalisti: i secondi hanno elaborato freddamente le ideologie distruttive woke (gender, immigrazionismo, green, pandemismo) che dettano ai primi, i quali le esaltano per motivi di utile personale (accettazione nei centri di cultura, protezione della magistratura, accesso ai grandi capitali, sfruttamento economico dei clandestini, controllo dei media, eccetera).
    Dunque, se quelli che vivono di finto antifascismo e di bandiere arcobaleno sono degli utili idioti (e quindi vanno combattuti senza mai sopravvalutarli) anche se diventano capipartito, i manovratori si presume che siano di ben altra pasta. Parliamo di quell’entourage internazionale (Soros, Rothschild, Schwab, gruppo Bilderberg, wef, cricca Clinton-Obama, massoneria, eccetera) talmente potente da non avere neppure bisogno di nascondersi, da permettersi di dichiarare pubblicamente qualcosa – il Grande Reset, per esempio – che se venisse spiegato o semplicemente riportato dalla nostra patetica stampa ufficiale farebbe scendere la gente in strada (e scappare la Bonino in Groenlandia).
    Be’, sono sempre stato convinto che costoro fossero imbattibili, dimostrando così di non avere ancora imparato la lezione fino in fondo. Sono ricascato (e certo ricascherò di nuovo) nel solito errore di sopravvalutare l’avversario. Nel giugno scorso ho fatto un breve riflessione sulle elezioni americane rifiutandomi di credere che il “governo mondiale” spingesse come suo unico candidato quel rimbambito di Biden. Lo vogliono mandare al massacro in televisione per tirare fuori dal cappello qualche peso massimo all’ultimo momento, ipotizzavo con astuzia. Ebbene, tutti abbiamo poi visto di chi si trattava: di una tizia che rimbambita lo è dalla nascita, un’alcolizzata con il quoziente intellettivo di un pangolino.
    Certo, ormai alla popolazione occidentale si comincia davvero a far credere di tutto, bombardata com’è da un giornalismo completamente eterodiretto; ma inventarsi ideologie secondo le quali un uomo può decidere di avere le mestruazioni e pretendere che il mondo intero se le beva, sembra un tantino ottimistico.
    Non che ci siamo liberati dei Soros (qui la gente continua a votare le sue marionette), ma almeno sappiamo che non sono imbattibili.

    antropologia quotidiana